Titolo originale | King Arthur: Legend of the Sword |
Anno | 2017 |
Genere | Avventura, Azione, Drammatico, |
Produzione | USA |
Durata | 126 minuti |
Regia di | Guy Ritchie |
Attori | Charlie Hunnam, Jude Law, Katie McGrath, Annabelle Wallis, Eric Bana, Aidan Gillen Djimon Hounsou, Astrid Berges-Frisbey, Hermione Corfield, Mikael Persbrandt, David Beckham, Georgina Campbell, Freddie Fox, Poppy Delevingne, Clotilde Le Roy, Kamil Lemieszewski. |
Uscita | mercoledì 10 maggio 2017 |
Distribuzione | Warner Bros Italia |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,49 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 12 settembre 2017
Guy Ritchie dirige un film d'avventura ispirato a "Le Morte d'Arthur" di Thomas Mallory pubblicato nel 1485. In Italia al Box Office King Arthur - Il potere della spada ha incassato nelle prime 3 settimane di programmazione 1,9 milioni di euro e 859 mila euro nel primo weekend.
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CONSIGLIATO NÌ
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Un tempo uomini e maghi convivevano pacificamente, ma quel tempo è finito: ed è subito guerra. Inizia in medias res King Arthur: Il potere della spada, durante la battaglia cruciale per Camelot, con l'assalto finale di Mordred al castello di Uther Pendragon. Elefanti gargantueschi, soldati inceneriti dalla magia, mura e ponti che crollano come fossero costruiti con il lego, ma nemmeno un nemico tanto spaventoso può alla fine nulla contro il potere di Excalibur. Sarà invece un tradimento a segnare le sorti del regno e a far sì che il giovane figlio del Re, salvato dal fiume come Mosé, cresca tra i vicoli e i bordelli di Londinum. L'usurpatore teme il prescelto capace di estrarre la spada dalla roccia e obbliga tutti gli uomini in età a fare il tentativo circondati da guardie pronti a catturarlo e farlo immediatamente giustiziare.
Il film di Guy Ritchie mantiene gli elementi del mito arturiano ma li rimescola, in un (troppo) concitato mix di epica, magia, corti, foreste e combutte tra gangster.
Succede così che Mordred sia un nemico del padre di Artù anziché suo figlio, che Merlino non incontri nemmeno Artù e che altri personaggi chiave della saga non appaiano né siano citati. Questo anche perché il progetto, fin da quando si è iniziato a parlarne nel 2014, prevedeva di dipanarsi su sei film, e dunque ci sarà tempo (se lo vorrà il box office) per gli eclatanti assenti come Ginevra, Lancillotto e Morgana. Su Merlino poi Ritchie deve aver cambiato idea strada facendo, visto che aveva cercato senza successo di dare la parte a Idris Elba e dunque doveva avere un ruolo assai più sostanzioso della piccolissima comparsa rimasta nel film, dove nemmeno lo si vede in volto (rimandando così la questione del casting). A differenza di altri blockbuster e franchise dove il regista è spesso l'ultimo arrivato, quando ormai la sceneggiatura è già stata ritoccata infinite volte da scrittori e produttori, qui Ritchie è coinvolto fin quasi dal principio e si vede che il film è del tutto suo. Trasforma infatti Artù nel più tipico dei suoi personaggi, un piccolo gangster di Londra (qui Londinum), astuto e dalla faccia tosta, ma in fondo pure dal cuore d'oro - non per niente è soprannominato Art, che in inglese suona un po' come Heart.
E con l'ambientazione urbana arrivano anche situazioni tipiche del cinema di Ritchie a partire dall'interrogatorio in cui, a uno dei capi delle guardie (interpretato da Michael McElhatton, il Roose Bolton de Il trono di spade), Art i suoi due compari raccontano una loro impresa saltando avanti e indietro tra inezie e cose rilevanti. L'infanzia di Art in città è poi riassunta in una sequenza da videoclip, dove vediamo la crescita accelerata del ragazzo tra pestaggi e piccoli furti, ma fin da piccolo già con la saggezza di nascondere il proprio denaro. Questi elementi dovrebbero nelle intenzioni dare una ventata d'aria fresca a una saga arcinota, ma il risultato è controproducente perché sono espedienti che erano già derivativi quando Ritchie era ancora un regista alle prime armi, figuriamoci ora.
Molto meglio il prologo, che riesce davvero a mostrare ad altezza d'uomo fatti titanici e poteri devastanti, ma successivamente non c'è più traccia di questo spirito epico, la musica diventa costante e incalzante come fosse rock (sebbene composta anche con strumenti storici da Daniel Pemberton). Allo stesso modo il racconto corre disperato bruciando personaggi e situazioni: non hanno quasi alcuno spessore la gran parte dei comprimari, tolto il solo Will interpretato da Aidan Gillen (il Ditocorto de Il trono di spade). In particolare una figura chiave come la maga rimane avvolta nel totale mistero, non ha infatti neppure un nome, perché Art ha di meglio da fare che parlare con lei, per esempio giocare a fare l'eroe riluttante anche dopo che proprio lei gli ha salvato la vita.
Ci sarebbe poi una sezione del film con tanto di viaggio iniziatico verso la montagna, dove l'eroe da solo dovrebbe affrontare varie creature e giungere a scoprire la verità su se stesso, ma il primo a cui sembra non importare è proprio Guy Ritchie, che la stringa in un montaggio veloce di scene accelerate a tempo di musica. Del tutto superfluo appare poi Tom Wu, nei panni di Kung Fu George, che non sappiamo perché sia a Londinum, e le cui doti di artista marziale sono del tutto sprecate, preferendo affidare le sequenze d'azione a un montaggio quasi epilettico (utile solo a evitare di mostrare il sangue e mantenere il tasso di violenza al di sotto dei divieti) oppure a effetti speciali da film di supereroi, con tanto di slow motion a profusione.
In quei momenti, in puro stile Warner, King Arthur: Il potere della spada sembra diretto più da Zack Snyder che da Guy Ritchie, come pure nello scontro finale che vira in zona Sucker Punch. Talmente simile alle introduzioni di certi videogame fantasy che alla fine si rimane delusi di non aver in mano un controller, per iniziare a giocare, e si ha la sensazione un po' frastornante e vacua di aver assistito a una partita giocata invece solo da Guy Ritchie e dove si è divertito soprattutto lui.
Dopo aver aggiornato, con meno sfumature ma più energia di Steven Moffat (Sherlock), le leggendarie indagini di Sherlock Holmes, Guy Ritchie mette mano al ciclo bretone ed è subito blockbuster ri-creativo. Un film ludico che offre, al primo sguardo e al primo trailer, svago e divertimento mentre rilegge e riscrive per il pubblico contemporaneo la cavalcata epica di Artù. Sulla carta la ricerca metafisica del racconto mitico è rimpiazzata dalla ricerca di sé e del proprio destino in un universo anti-realista. Il giovane Arthur ignora il proprio lignaggio e gestisce i suoi affari a Londinium fino a quando non estrae Excalibur, la spada nella roccia che emerge il suo passato e il sentimento eroico.
Precipitato in piedi nel suo 'regno' dovrà combattere i suoi demoni e guidare il suo popolo contro il tiranno Vortigern, l'uomo che ha ucciso i suoi genitori e usurpato il trono del padre.
Questo il plot. Il trailer anticipa invece la visione anacronistica della cavalleria e dei cavalieri potenziata naturalmente a colpi di effetti speciali. Fight, fun and fuck you attitude sono di nuovo l'irresistibile cifra stilistica di Guy Ritchie che dirige il primo di sei sequel previsti in cantiere. Sempre che la cavalcata del brand 're Artù' non trovi ostacoli alla sua ambizione. Quello che è certo e desumibile dalle prime immagini è che King Arthur - Il potere della spada assomiglia a un assordante concerto rock che combina il mito classico con la retorica del cinema d'azione hollywoodiano contemporaneo. Lontano dallo spirito contemplativo e wagneriano di Excalibur di John Boorman, il blockbuster di Ritchie scaraventa lo spettatore in un universo digitale che procede per accumulazioni deliranti e frulla la materia di Britannia con una concezione puramente spettacolare dell'azione. Action che ancora una volta passa per l'alterazione dell'eroe. Alla maniera dello Sherlock Holmes di Robert Downey Jr., l'Arthur di Charlie Hunnam è un bad boy lontano dal saggio Artù di Nigel Terry o di Sean Connery.
Guy Ritchie sembra contaminare l'Alto Medioevo fondamentalmente mitico con una forma di ideologia democratica e individualista tipicamente americana. Questa ideologia, la stessa che ha nutrito (e nutre) Hollywood e la sua storia, passa sempre per il corpo dei suoi eroi, siano essi investigatori (Sherlock Holmes), agenti speciali (Operazione U.N.C.L.E.), trafficanti nomadi (Snatch - Lo strappo) o cavalieri (King Arthur - Il potere della spada). Esemplare su tutti, quelli passati e quelli a venire, è Holmes. Holmes secondo Ritchie non è soltanto il prodotto e il guardiano di una società conservatrice che ha assistito al trionfo del capitalismo industriale (Sherlock Holmes - Gioco di ombre) e in cui le differenze di classe sono particolarmente violente e la nozione di aristocrazia ancora vigente. Del modello letterario l'investigatore di Robert Downey Jr. mantiene il gusto per il travestimento e il mutamento frenetico ma aggiunge il valore dell'individuo irriducibile a qualsiasi determinazione sociale o storica. L'Holmes di Guy Ritchie frequenta tutte le sfere della società, dai bassi fondi, nei quali è a suo agio, fino alle alte sfere, dove è inesorabilmente sgradito. Perché è la rappresentazione incarnata della maniera popolare di essere un eroe del cinema. Barba incolta e perennemente scompigliato dentro vestiti sempre inzaccherati, è un ragazzaccio che si sbarazza di quella forma tipica di distinzione britannica, e rappresentativa di una classe sociale supponente, per indossare gli 'stracci' dell'uomo qualunque ma geniale. Stracci che dissimulano (anche) Artù e dietro ai quali si rivela la sua 'nobiltà'. La stoffa del cavaliere lanciato all'improvviso in un destino avventuroso dalla spada del titolo. Spada fallica, omaggio alla mascolinità come forza portatrice di ordine e civiltà, oggetto totemico centrale, simbolo del potere e di una saga che non conosce tramonto ma conosce un numero considerevole di trasposizioni sullo schermo. Più elettrizzante che mistico, il King Arthur di Ritchie è un salto nel vuoto che promette meraviglie e conferma un cast nobile. Accanto al son of anarchy Charlie Hunnam si schiera Eric Bana (Uther Pendragron), padre di Artù, contro si dispone Jude Law (Vortigern), despota sanguinario dai poteri magici e lo sguardo blu.
Se il ciclo arturiano avvince da sempre l'immaginario collettivo è perché affonda le radici nei miti fondatori della civiltà occidentale. Esistono diverse letture della materia di Britannia e del Graal. Chi la considera una leggenda della Chiesa cristiana, chi ritiene che provenga dal folclore celtico, chi ancora, spingendosi più indietro nel tempo, pesca negli antichi culti della fertilità dei progenitori ariani. La spada portentosa di Artù e la robusta lancia di Lancillotto sono evidentemente simboli virili, mentre la roccia e la coppa (il Graal), oggetti contenitori, rappresentano il principio femminile. La spada nella roccia, la lancia e la coppa alludono all'atto sessuale, il più comune dei riti di fertilità. Strumenti per accedere al codice velato dell'esistenza, non stupisce che il cinema ne sia sedotto, producendo negli anni numerose versioni e fornendo film dopo film la chiave per una riflessione sul mito. Dal Lancillotto e Ginevra di Robert Bresson ai fotogrammi preziosi di Eric Rohmer (Il fuorilegge), da I cavalieri della tavola rotonda di Richard Thorpe al Camelot di Joshua Logan, dal film-opera di Hans Jürgen Syberberg (Parsifal) a Il primo cavaliere di Jerry Zucker, passando per la versione animata della Disney (La spada nella roccia) e per la rilettura timida di Antoine Fuqua (King Arthur), interpretata da Clive Owen e promossa come il frutto di una ricerca archeologica e un 'ritorno' alla verità storica del sovrano di Camelot. Ad oggi però la traduzione più sorprendente, per bellezza plastica, ricchezza simbolica e forza emozionale, resta Excalibur di John Boorman. Un film di portata epica e fusioni suggestive con la mitologia wagneriana. Accompagnato dalle melodie del "Siegfried" e ispirato al romanzo di Thomas Malory pubblicato nel 1485 ("La Morte di Artù"), Excalibur sposa l'elaborazione fantastica dello scrittore inglese fondata sugli elementi cardini della storia arturiana: la terra desolata, la ferita, il re agonizzante, la coppa e la spada. A corona un drago nel cui ventre giace Merlino. Artù estrae la spada e l'avventura ha inizio saltando da un'epoca all'altra nel medesimo spazio. Difficile fare meglio di Boorman ma non impossibile come dimostra La leggenda del re pescatore, che trasferisce le coordinate del mito dalla natura alla geografia urbana. Film visionario di Terry Gilliam, alla ricerca del Sacro Graal e della redenzione tra draghi e torrioni, La leggenda de re pescatore svolge la storia di un conduttore radiofonico di successo (Jeff Bridges) che smarrisce il senso della vita e perde tutto fino al giorno in cui incontra Parry (Robin Williams), "un cavaliere in missione speciale" sul green di Central Park. Singolare esemplare di cavaliere errante, convinto che la sacra coppa sia nascosta nella casa di un miliardario newyorkese, il Parry di Robin Williams conferma che il mito è ancora vivo e non smette di trovare riscontro al cinema. Linguaggio per eccellenza moderno che lo riattualizza, perdendone qualche volta la specificità storica ma mantenendone il nucleo di verità, che nemmeno modi narrativi incompatibili riescono a cancellare. In questo senso Indiana Jones e l'ultima crociata, pur lontano dall'immaginario medievale, è un esempio aderente. Nel film di Steven Spielberg il Graal perde la sua valenza religiosa, vanificata dalla progressiva laicizzazione del mondo contemporaneo, ma la sua ricerca è tutt'altro che un espediente narrativo. Catalizzatore di una serie di peripezie, il cui scopo è contrastare le mire del Führer, è piuttosto l'intelligente variazione di uno dei miti centrali della letteratura medievale, di cui ripropone il valore di perenne verità umana. Ieri come oggi sembra impossibile resistere ai sortilegi dell'incantatrice Morgana, alla tentazione di Lancillotto, all'inquietudine di Artù, al richiamo di un ciclo narrativo antico che si rinnova l'undici maggio col cavaliere-gangster di Guy Ritchie e con le straordinarie avventure dei cavalieri della Tavola Rotonda. Quelli che faranno l'impresa a colpi di spada e di cool.
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Non è sempre facile produrre un lungometraggio dignitoso e interessante affrontando temi infinite volte riportati in libri, video, canzoni, film, telefilm ecc... Il Ritchie non sementisce la sua vena registica, confezionando un pacchetto su buoni livelli, con un cast di discreta qualità e un cattivo come Jude Lowe tutto sommato verosimile in un contesto fantasioso.
Guy Ritchie è un regista che fa sempre discutere e riesce a dividere il pubblico: dal cult "Snatch" allo scult "Travolti dal destino", remake del filmone di Lina Wertmuller. Anche questo suo nuovo adattamento della leggenda di Re Artù ha ricevuto già le critiche più disparate, da alcuni accusato addirittura di essere al limite del trash, o, [...] Vai alla recensione »
Il britannico Guy Ritchie torna dietro la macchina da presa in una veste a lui inconsueta dirigendo un fantasy d’avventura, King Arthur - Il potere della spada, solo apparentemente lontano dal genere a cui ci ha abituato. Il regista, pur affrontando un tema inflazionato e più volte rivisitato, riesce abilmente a non snaturare il proprio stile e a marchiare il prodotto con la sua indistinguibile [...] Vai alla recensione »
Guy Ritchie ci riprova, e dopo aver dato la sua interpretazione del mito di Sherlock Holmes, ci propone anche la sua visione del leggendario mondo del ciclo di Artù. Peccato che le analogie con il film sul dectective più famoso di sempre finiscano qui; è infatti solo il desiderio di riadattare un classico il ponte tra le due pellicole, visto che il risultato è completamente [...] Vai alla recensione »
A parte gli indiscutibili gusti personali, stento a comprendere le valutazioni positive che si è guadagnata questa, ennesima, rivisitazione del mito di re Artù, da parte di pubblico e critica. Tralasciando anche la mia totale incomprensione verso i reboot di vario genere, di un'altra pellicola su King Arthur non se ne sentiva la mancanza dato il numero, abbondante, di opere cinematografich [...] Vai alla recensione »
Che dire...quando mi sono avvicinata a questo film avevo in mente la bellezza e la dinamicità di "Sherlock Holmes" e i contorni moderni e rock del protagonista detective di Guy Ricthie. E, tutto sommato, da questo punto di vista non mi ha assolutamente deluso: i dialoghi sono veloci, divertenti (forse a volte non riuscendoci troppo) e moderni, certo anacronistici, [...] Vai alla recensione »
"King Arthur. Legend of the Sword"(Guy Ritichie, anche co-autore della sceneggiatura, 2017)è un film ispirato all'opera del 1400 di Thomas Mallory, ma anche, pesantemente, alla tradizione superonmistico-da "Superheroes"oggi dominante. Con un ritmo scatenato, decisamente travolgente in certi momenti, con l'uso anche assolutamente trash di mostri e relativi effetti [...] Vai alla recensione »
La leggenda di King Arthur è sempre e comunque affascinante e coinvolgente per gli amanti del genere fantastico-avventura-azione. Nella versione del 2017 dell’inglese Guy Ritchie (noto al grande pubblico per due delle versioni del recente Sherlock Holmes hollywoodiano), si dà molto peso all’azione, agli effetti speciali, alle riprese assai dinamiche dei fatti narrati, in un [...] Vai alla recensione »
con un budget così grande, con effetti e scenografie anche imponenti, nè è venuto fuori un film ridicolo con una trama veramente brutta. Poi capisco che sia un film abbastanza fantasy, ma ci sono delle ridicolaggini veramente fastidiose come che nell'Inghilterra dell'alto medioevo ci fossero persone di etnia africani (addirittura anche cavalieri).
La storia di Re Artù, dalla fuga di uno spaventato bimbo rimasto orfano al ritorno a Camelot, per un'epica battaglia contro lo zio usurpatore. Guy Ritchie (Snach, Sherlock Holmes), offre la consueta versatile regia per mescolare epicità e commedia in quello che possiamo definire un maestoso prodotto storico. Un assemblato cast di volti noti (Lowe, Bana, Hunnam) ed effetti [...] Vai alla recensione »
Sono andato a vederlo con le aspettative molto basse visto che nè il trailer nè le critiche mi avevano convinto molto. Una sola cosa avevo arguito dai trailer: sicuramente ha stile! Mai le mie aspettative sono state più sbagliate. Il film è fantastico, costantemente incalzante e senza un attimo di tregua. La regia è superba e contiene uno dei migliori montaggi mai [...] Vai alla recensione »
Ottimo articolo su King Arthur, denso di riferimenti colti e non conosciuti da molti, come le origini celtiche dei quattro oggetti mitici spada, lancia, coppa e pietra. Mi fa piacere che ci siano persone così competenti in materia. Complimenti!
Un bel film appassionante e divertente. Il regista rielabora il ciclo bretone in maniera originale, cambiando gli elementi, per offrire un film diverso dal solito. Jude Law dà vita a un Vortigern davvero cattivo, un villain interessante. Artù è simpatico e scanzonato e tutto il film ruota intorno a lui, alla sua scoperta di s e alla sua ascesa. Belle le sequenze d'azione, un pò' tamarre, ma esaltanti. [...] Vai alla recensione »
Tralasciando la pessima trama di cui si è già scritto a sufficienza, dimenticando la terribile prestazione del cast, non soffermandosi sulle scenografie plasticose con effetti speciali da B Movie, cosa rimane da commentare? Il montaggio! Si fermiamoci su quello perchè va preso come esempio di come non si deve montare una pellicola.
Guy Ritchie ma cosa hai combinato?Si E'VERO protagonista e'la spada nella roccia,ma non aspettatevi una roccia!Non aspettatevi Re Artu'protagonista,meglio ancora Merlino.Ritchie ha diretto alla sua maniera la storia di Camelot,Artu',Mordred pensando di avere l'esploit dei Sherlok Holmes..macche'!una vera cantonata.La storia cosi'stravolta e con i flashback rituali al regista [...] Vai alla recensione »
attori perfetti, musiche stupende, effetti speciali assurdi, una storia trita e ritrita stravolta e modificata in un modo meraviglioso, ritmo incalzante e il protagonista che sa davvero emozionare,....le giuste battute spiritose senza cadere nel ridicolo e nella demenzialità come accade nei film marvel......diverte appasiona ed emoziona.......filmone......grande guy ritchie!!!!
Ci sono rimasto malissimoSembra un frullato di film di serie bInterpretato da personaggi improbabili con nomi assurdi intermezzato da video musicali e girato modi serie tv Ditemi che è uno scherzo
Pensavo di dovermi assorbire la solita storia del re arthur, invece ci si trova davanti ad un film fantasy mooolto action, con alcune scene particolari, ma soprattutto in 2/3 scene il potere dela spada mi ha "gasato". Non è un film che commuove o emoziona per sentimenti, ripeto, è un action, ma fatto con stile.
Semplicemente fantastico! Adoro la regia di Guy Ritchie, personalità e grande stile, e questo film ne ha da vendere! La rivisitazione della storia unita ad una più marcata controparte fantasy è perfettamente bilanciata secondo me, non perde l'epica originale, anzi la si vede con una veste nuova, uno stile nuovo, appunto quello di Richie, realizzando così una pellicola [...] Vai alla recensione »
Nonostante l'indubbia forza della colonna sonora (bellissima) e l'indubbia bravura di Guy, la storia latita, o meglio... La conosciamo già!!!!!! Alla fine se togli la trama cosa resta allo spettatore?
Mi aspettavo un film moderno ma allo stesso tempo un po' più classico, con una bella storia da raccontare e personaggi ben caratterizzati. Invece praticamente non c'è trama, solo gran battaglie con effetti speciali. Una gran delusione!
Il film peggiore che ho visto negli ultimi 10 anni. Paradossale! Senza senso ne logica,completamente estraneo alla vera storia di re Artù. Un mix di fantascenza ed esagerszioni. Un disastro. Sconsiglio vivamente
Se è vero che il cinema cambia e dev'essere al passo con i tempi, è inevitabile che la storia di Re Artù, una delle materie letterarie più conosciute e riadattate di sempre, venga rivisitata adesso in chiave action, con un'esplosione di adrenalinici effetti speciali che solo l'attuale CGI rende possibile. A cimentarsi nel ciclo arturiano per il grande schermo sono stati in tanti, da Robert Bresson a John Boorman, da Jerry Zucker a Antoine Fuqua, fino al capolavoro Disney, ma questo ultimo prodotto compie un'evoluzione rispetto a tutto quello che il pubblico ha visto finora.
A Ritchie non interessa inquadrare storicamente la vicenda, come avviene nel King Arthur del 2004, e l'elemento magico e soprannaturale irrompe fin dalla prima scena: il regista abbandona la pretesa di fornire storicità a una materia leggendaria e lo spettatore è catapultato in un mondo governato da incantesimi e profezie, in cui Artù è investito di poteri sovrumani grazie alla spada Excalibur.
Il re di Boorman era un giovane inesperto, un essere umano non senza fragilità e debolezze, che si appella al continuo aiuto del saggio Merlino (che qui è solo evocato), ma che dimostrerà forza e valore quando salirà al trono e combatterà in battaglia. Il codice cavalleresco, che regola la vita di Artù nei vari adattamenti precedenti, in Ritchie è del tutto messo da parte: alle cigolanti armature di ferro del lontano Excalibur si sostituiscono ora camicie sbottonate con muscoli in vista; gli alleati di Artù sono membri di una gang di lottatori e insoliti scudieri moderni che si atteggiano più a bulli del ghetto che non a veri cavalieri. Lo stesso Artù è dipinto quasi come anti-eroico rispetto al personaggio tradizionale: esuberante, irriverente, irrispettoso, menefreghista, un vero e proprio teppista cresciuto in un bordello, con tanto di ciuffo pettinato con il gel e fisico da wrestler.
Sarà esistito davvero King Arthur/Artù? Sul tema si è dibattuto così tanto e a lungo da indurre l'archeologo John Nowell Linton Myres a osservare che non c'è figura in bilico fra storia e leggenda «che abbia fatto perdere più tempo agli studiosi». Ma che importa? Quel che conta è la forza di un mito che affonda nel buio dell'Inghilterra pre-medioevale, abbandonata dai Romani e flagellata da guerre [...] Vai alla recensione »
A Guy Ritchie va riconosciuto, fin dall'inizio della sua carriera, di aver tentato di offrire, al pubblico, tra alti e bassi, prodotti differenti, sopra le righe, adrenalinici, dal montaggio frenetico, innovativi e, sovente, divertenti. Ha un suo stile, ben definito, che non cambia in base al soggetto da trattare, che plasma, invece, per adattarlo al suo credo registico.
Uomini e maghi. Che una volta convivevano in armonia. Quando l'incanto si spezza tocca al ribelle Artù - orfano inconsapevolmente nato Pendragon - di estrarre Excalibur che riaggiusterà gli equilibri smarriti, estirpando il malvagio usurpatore Jude Law e facendosi incoronare solenne (e legittimo) re d'inghilterra. Dopo Sherlock Hobmes e UNCLE, il più pop fra i cine-rivisitatori della tradizione British [...] Vai alla recensione »
Per impadronirsi del trono, Vortigern (un perfido Jude Law) ha distrutto la famiglia di Artù. Che ora se ne sta a Londinium con la sua banda, senza sospettare quale destino lo attenda. Arrivato a Camelot estrarrà dalla roccia Excalibur, che dovrà imparare a controllare vincendo i propri fantasmi. Con il ciclo bretone, re Artù e la spada magica si erano misurati autentici campioni, da Robert Bresson [...] Vai alla recensione »