scavadentro65
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mercoledì 31 maggio 2017
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sangue di jude!
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Non è sempre facile produrre un lungometraggio dignitoso e interessante affrontando temi infinite volte riportati in libri, video, canzoni, film, telefilm ecc... Il Ritchie non sementisce la sua vena registica, confezionando un pacchetto su buoni livelli, con un cast di discreta qualità e un cattivo come Jude Lowe tutto sommato verosimile in un contesto fantasioso. I puristi ovviamente saranno inorriditi nel vedere l'orfano novello Oliwr Twist che si dibatte sino al ritorno a Camelot onde affrontare lo zio usurpatore, ma oggi la spettacolarizzazione e gli effetti speciali, traslati in battaglie piene di creature simili agli animali fantastici dove trovarli sono ormai necessari per accontentare i palati giovanili che si nutrono di videogiochi, e cercano anche nel cinema i riferimenti basici delle loro passioni.
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Non è sempre facile produrre un lungometraggio dignitoso e interessante affrontando temi infinite volte riportati in libri, video, canzoni, film, telefilm ecc... Il Ritchie non sementisce la sua vena registica, confezionando un pacchetto su buoni livelli, con un cast di discreta qualità e un cattivo come Jude Lowe tutto sommato verosimile in un contesto fantasioso. I puristi ovviamente saranno inorriditi nel vedere l'orfano novello Oliwr Twist che si dibatte sino al ritorno a Camelot onde affrontare lo zio usurpatore, ma oggi la spettacolarizzazione e gli effetti speciali, traslati in battaglie piene di creature simili agli animali fantastici dove trovarli sono ormai necessari per accontentare i palati giovanili che si nutrono di videogiochi, e cercano anche nel cinema i riferimenti basici delle loro passioni. Viene giocoforza ridotto lo spazio sentimentale che però non viene ignorato e serve a creare una narrazzione bene o male coerente e tesa a aprire vari scenari, implicitamente preparando il pubblico ad ulteriori sviluppi con altre pellicole sequel a seconda del successo della prima. Innegabile l'influenza che serie ormai cult quali "il trono di spade" (ma consiglio di leggere i tomi finora usciti che meglio avvincono) hanno pesato sul filone neo fantasy o comunque epico arturiano e simile sino a Assasin Creed.Originale la scelta di porre la spada excalibur come trappola per eleiminare alla radice il problema dell'erede al trono. Certo in alcuni passaggi non si riscontra alcuna conguenza con il mondo arturiano. Cade un pochino di tono nel political correct della tavola rotonda con le varie razze cavalleresche, ma la globalizzazione impone. Non un capolavoro ma un buon film con il pregio di non annoiare nè calare di ritmo.
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alberto
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sabato 13 maggio 2017
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artù secondo guy ritchie
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Guy Ritchie è un regista che fa sempre discutere e riesce a dividere il pubblico: dal cult "Snatch" allo scult "Travolti dal destino", remake del filmone di Lina Wertmuller. Anche questo suo nuovo adattamento della leggenda di Re Artù ha ricevuto già le critiche più disparate, da alcuni accusato addirittura di essere al limite del trash, o, più semplicemente, un polpettone. La principale fonte della sceneggiatura scritta da Ritchie, Harold e Wigram è l'opera letteraria "La morte di Artù" di Malory del xv secolo, un mix di varie testimonianze francesi e inglesi sul Re e i Cavalieri della tavola rotonda, e il fulcro della storia risiede nell'accesa rivalità tra il protagonista e suo zio Vortgyn, sovrano senza scrupoli e con tanta sete di potere da sacrificare i propri cari a delle creature magiche, richiamando quasi il profondo messaggio dell'anarchia del potere molto caro all'ultimo Pasolini.
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Guy Ritchie è un regista che fa sempre discutere e riesce a dividere il pubblico: dal cult "Snatch" allo scult "Travolti dal destino", remake del filmone di Lina Wertmuller. Anche questo suo nuovo adattamento della leggenda di Re Artù ha ricevuto già le critiche più disparate, da alcuni accusato addirittura di essere al limite del trash, o, più semplicemente, un polpettone. La principale fonte della sceneggiatura scritta da Ritchie, Harold e Wigram è l'opera letteraria "La morte di Artù" di Malory del xv secolo, un mix di varie testimonianze francesi e inglesi sul Re e i Cavalieri della tavola rotonda, e il fulcro della storia risiede nell'accesa rivalità tra il protagonista e suo zio Vortgyn, sovrano senza scrupoli e con tanta sete di potere da sacrificare i propri cari a delle creature magiche, richiamando quasi il profondo messaggio dell'anarchia del potere molto caro all'ultimo Pasolini. La magia, l'elemento fantasy, è diffuso nella pellicola grazie soprattutto alla mitica spada Excalibur, che comanda Artù, permettendogli di sbaragliare un intero esercito alla stregua di un supereroe Marvel, ma soprattutto alla convivenza in questo mondo tra maghi e creature come serpenti e i soliti elefantoni, e umani, che progressivamente formeranno la solita resistenza contro il regime del sovrano che conferma ancora una volta la veridicità della teoria della ciclicità della storia di Vico. Non si può di certo dire che la regia di Ritchie sia convenzionale, ma se da una parte riesce ad abbreviare un lasso di tempo conferendo alle scene più ritmo ed esigendo la concentrazione dello spettatore, come quella della formazione di Artù, cresciuto in un bordello ma diventato abile guerriero già in giovane età, dall'altra a volte esagera, come in quella della spiegazione dell'incontro coi vichinghi, che potrebbe far venire un pò di mal di testa. Tra l'altro c'è una certa differenza tra la prima parte, ricca di scene con dialoghi inutili colmati dal serrato montaggio di Herbert, ma anche di molte sequenze spassose (da ricordare quella in cui dichiara ironicamente di non avere intenzione di combattere), e la seconda, che riesce a intrattenere di più e presenta molti momenti d'azione ben fatti, tra frecce e improvvisi scatti d'ira della spada, resi epici dalla bellissima soundtrack di Daniel Pemberton. Di certo la qualità del film è incrementata dagli attori: il sovrano Jude Law, che ha già lavorato col regista; Eric Bana, il primo Hulk cinematografico, ma soprattutto Charlie Hunnam, che credo sia il più adatto a interpretare la figura di Artù, carismatico, valoroso, ironico al momento opportuno, sicuro di sé ma allo stesso tempo incerto sul suo destino, che deve accettare in ogni caso. La sceneggiatura invece rimane a mio parere un pò confusa, forse perché molte cose andranno chiarite con i prossimi previsti 5 capitoli. Inoltre chi cerca una storia nuova si mantenga proprio lontano da questo lunghetto film (circa 2 ore), da vedere per le interpretazioni e consigliato agli amanti dei film d'avventura, d'azione e fantasy, che apprezzeranno la concitazione della seconda parte e il fragile equilibrio tra lo speciale e il normale.
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ashtray_bliss
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giovedì 6 luglio 2017
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l'artù 2017 delude fortemente.
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A parte gli indiscutibili gusti personali, stento a comprendere le valutazioni positive che si è guadagnata questa, ennesima, rivisitazione del mito di re Artù, da parte di pubblico e critica. Tralasciando anche la mia totale incomprensione verso i reboot di vario genere, di un'altra pellicola su King Arthur non se ne sentiva la mancanza dato il numero, abbondante, di opere cinematografiche di diverso spessore che hanno ampiamente coperto il mito in tutte le sue sfumature. Da Excalibur del '81 al omonimo King Arthur del 2004 passando per il Destino di un Cavaliere con Richard Gere e Julia Ormond, il cinema è ormai saturo di questo bellissimo e intramontabile mito.
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A parte gli indiscutibili gusti personali, stento a comprendere le valutazioni positive che si è guadagnata questa, ennesima, rivisitazione del mito di re Artù, da parte di pubblico e critica. Tralasciando anche la mia totale incomprensione verso i reboot di vario genere, di un'altra pellicola su King Arthur non se ne sentiva la mancanza dato il numero, abbondante, di opere cinematografiche di diverso spessore che hanno ampiamente coperto il mito in tutte le sue sfumature. Da Excalibur del '81 al omonimo King Arthur del 2004 passando per il Destino di un Cavaliere con Richard Gere e Julia Ormond, il cinema è ormai saturo di questo bellissimo e intramontabile mito.
Guy Ritchie decide invece di riproporlo e rilanciarlo, riscrivendo il mito e adattandolo alla sua personalissima ottica, creando quindi un ibrido tra un film d'azione e un fantasy che vorrebbe riecheggiare il Signore degli Anelli. Tuttavia, non mi è chiaro se il regista intenzionalmente volesse riproporre la mitologia di Artù in chiave post-moderna e tamarra, con palesi anacronismi storici (a Londinium figura nientemeno che il Colosseo) e linguistici (in originale il protagonista si rivolge ai suoi compagni d'avventura come "mate"), proponendo un re al quale ci si affeziona poco, e il quale è circondato da personaggi che sembrano raccolti da una periferia urbana inglese. Oppure, se aspirasse semplicemente a rilanciare la storia, rimodernandola nel tono e filtrandola attraverso il genere fantasy. In ogni caso il risultato è fallimentare e ben sotto le aspettative.
I lati negativi del film sono talmente tanti che fatico a trovare anche dei singoli elementi positivi, che mi siano veramente piaciuti, durante la visione di questo prodotto sul grande schermo. Diciamo che alcune scene sono ben confezionate e si respira la grandiosità del momento (su tutte la scena d'estrazione della spada, e quella subacquea).
Aggiungo nei meriti l'indiscutibile performance di Jude Law che anche in film mediocri (o peggio) riesce comunque a ricordarci il suo valore e spessore artistico donando delle ottime performance recitative. Il suo villain è l'unico personaggio interessante della storia e quello che andava maggiormente approfondito. Invece, come ogni film di portata commerciale che si rispetti, non ha tempo da dedicare all'introspezione psicologica dei suoi personaggi. Anzi, quest'ultima viene puntualmente sacrificata per dare ampio spazio agli effetti speciali, ad una regia virtuosa ma a volte troppo frenetica, e a molte -troppe- scene di battaglia mal gestite. Le battaglie aprono e chiudono il film ma sono girate in modo imbarazzante ed approssimativo. Non si capisce nulla di quello che stia succedendo, la camera è sempre in movimento e impedisce allo spettatore di capire cosa stia succedendo, a cosa si stia assistendo; e riesce solamente a procurare dei corposi capogiri e mal di testa.
Gli effetti speciali sono buoni ma talvolta esagerati (rcordiamo la scena col serpente verso la fine) e fini a se stessi. Infine, arriviamo alle recitazioni: a parte Jude Law anche il resto del cast è composto da attori di tutto rispetto: Hunnam, Berges-Frisbey, Bana. Eppure nessuno riesce a spiccare come dovrebbe, incatenati in una sceneggiatura che bada poco alla caratterizzazione ma molto all'azione e allo sfoggio di sfx.
Lo humor e l'ironia sono un'altra delle caratteristiche proprie della filmografia di Guy Ritchie e ovviamente anche qui abbondano. Ma se appartengono al contesto narrativo affrontato o se fanno divertire qualcuno è un tema alquanto discutibile. Personalmente ho reputato prolisse e non ben integrate alla storia le continue battutine ironiche pronunciate dai protagonisti.
Concludendo questa recensione, ammetto che mi aspettavo molto di più da un film del genere nonostante la firma di Guy Ritchie che è noto per rimodellare a suo piacimento dei classici. Eccetto le scene sopramenzionate, non mi sono divertita e, peggio ancora, non mi sono appassionata alla storia e nemmeno ai suoi personaggi. Ho apprezzato di più soltanto il villain Mortiger ma non è abbastanza per far aumentare la valutazione complessiva del film in questione. Troppi sfx, roboanti ma fini a se stessi, regia e montaggio talvolta troppo frenetici, recitazioni mediocri nonostante il cast di prim'ordine. Dialoghi scadenti e per nulla incisivi e infine, una sceneggiatura praticamente abbozzata e inesistente.
Ricordiamo anche che questo dovrebbe essere il primo film di un'intero franchise, del quale non sentirò la mancanza. Voto finale: Insufficiente 2/5.
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venerdì 12 maggio 2017
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film fresco e piacevole
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Un film fresco e piacevole, da guardare per svagarsi un po'. Il regista reinterpreta il ciclo arturiano in maniera originale, seppur con numerosi riferimenti al libro "The once and future king" di White. Bellissime le scenografie, la fotografia, le scene di combattimento. Un po' tamarro, ma neanche troppo, ha un buon ritmo, con una bella colonna sonora. Consigliato a chi ama film d'azione, avventura e vuole divertirsi!
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cristian
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lunedì 22 maggio 2017
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tra storia e leggenda
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Il britannico Guy Ritchie torna dietro la macchina da presa in una veste a lui inconsueta dirigendo un fantasy d’avventura, King Arthur - Il potere della spada, solo apparentemente lontano dal genere a cui ci ha abituato. Il regista, pur affrontando un tema inflazionato e più volte rivisitato, riesce abilmente a non snaturare il proprio stile e a marchiare il prodotto con la sua indistinguibile impronta ottenendo un risultato che, seppur non entusiasmante, si può definire soddisfacente.
Il sovranoUther Pendragon (Erica Bana), padre di Arthur (Charlie Hunnam), viene spodestato da suo fratello Vortigern (Jude Law).
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Il britannico Guy Ritchie torna dietro la macchina da presa in una veste a lui inconsueta dirigendo un fantasy d’avventura, King Arthur - Il potere della spada, solo apparentemente lontano dal genere a cui ci ha abituato. Il regista, pur affrontando un tema inflazionato e più volte rivisitato, riesce abilmente a non snaturare il proprio stile e a marchiare il prodotto con la sua indistinguibile impronta ottenendo un risultato che, seppur non entusiasmante, si può definire soddisfacente.
Il sovranoUther Pendragon (Erica Bana), padre di Arthur (Charlie Hunnam), viene spodestato da suo fratello Vortigern (Jude Law). Il piccolo Arthur è costretto ad abbandonare Camelot e a crescere nei peggiori quartieri della città di Londinium. Diventato ormai un uomo, Arthur si rende conto di colpo che il destino scritto per lui è ben diverso da come lo aveva immaginato fino ad allora; estrae dalla roccia la mitica spada, inizia a scavare nel suo passato e si prepara a fare i conti con lo zio usurpatore.
Ricthie intride il suo King Arthur di azione forsennata, comicità, magia e una piccola dose di epicità. Un pizzico di dramma riesce ad accattivare lo spettatore fin dal prologo che vede protagonisti il re Uther e il suo malvagio fratello Vortigern. L’allontanamento da Camelot e il conseguente arrivo a Londinium del piccolo Arthur rappresentano l’ingresso ufficiale nel mondo proprio del regista. La città in cui cresce Arthur è un concentrato di miseria, malavita e decadenza in cui è ancora percepibile negli stili delle case e nei resti architettonici la passata occupazione romana. Arthur è un delinquentello che si forma tra i peggiori vicoli di Londinium, il classico criminale di bassa lega che insieme alla capitale inglese costituisce figura portante delle opere di Ritchie. La velocità dell’azione, la breve durata delle riprese, le ellissiei continui flashback e flashforward mai esasperanti sono un’altra consueta arma vincente a cui Ritchie difficilmente rinuncia. Il ritmo è dunque buono, mentre una certa leggerezza/superficialità della sceneggiatura potrebbe far storcere un po’ il naso. E’ però evidente che si è di fronte ad un’opera che vuole solo intrattenere, riuscendoci per buona parte, e non indurre a riflessione. Il film oscilla continuamente tra racconto semi storico e mitico, con l’aspetto magico che assume un ruolo importante soltanto per materializzare gli animi dei personaggi. La trama rispetta perfettamente tutti i canoni propri del cinema di Ritchie e di quello classico in generale, rinunciando a improvvisi colpi di scena o cambi repentini nel susseguirsi delle vicende che scorrono lisce e prevedibili ma senza annoiare lo spettatore.
Niente di esaltante la prova di un ormai lanciatissimo Charlie Hunnam nei panni di Arthur, personaggio che cresce nel degrado e il cui progressivo e inevitabile elevamento d’animo trova materializzazione nella leggendaria spada Excalibur. I personaggi che ruotano intorno ad Arthur sono abbastanza numerosi e per questo privi di una soddisfacente caratterizzazione. Vani i tentativi del regista britannico di creare un legame emotivo tra essi e il pubblico. Piuttosto riuscito l’odioso villain Vortigern interpretato da Jude Law, seppur non caratterizzato in maniera decisa. La sua vita di usurpatore del trono viene trascorsa tra gli enormi e sfarzosi saloni del castello di Camelot e i sotterranei bui e tetri dell’edificio che si fanno simbolo del lato viscido e crudele del re, a cui quest’ultimo fa ricorso per ordire i piani più subdoli.
Con King Arthur - Il potere della spada Guy Ritchie porta sullo schermo l’ascesa eroica di un uomo alla ricerca del proprio passato e destinato a grandi cose. Cullandosi sulle numerose incertezze che tutt’oggi vi sono circa la veridicità storica di re Artù, il regista si sente libero di donare alla sua pellicola sia un marcato tratto pseudo storico sia uno mitologico, fatto di magia e di esseri soprannaturali, semidivinità della natura che agiscono nelle vicende umane. Non mancano clamorose citazioni di capolavori fantasy, soprattutto Il Signore degli Anelli di Peter Jackson che tanto ha lasciato in eredità al genere. Sicuramente non tra le migliori opere del regista britannico, King Arthur si rivela comunque un’esperienza piacevole tenuta su da un ritmo incalzante e dalle caratteristiche tipiche del cinema ritchiano.
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kristenmark
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venerdì 12 maggio 2017
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potenzialmente molto bello
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Che dire...quando mi sono avvicinata a questo film avevo in mente la bellezza e la dinamicità di "Sherlock Holmes" e i contorni moderni e rock del protagonista detective di Guy Ricthie. E, tutto sommato, da questo punto di vista non mi ha assolutamente deluso: i dialoghi sono veloci, divertenti (forse a volte non riuscendoci troppo) e moderni, certo anacronistici, ma è questo lo stile che si voleva dare, quello di un Re Artù moderno, svecchiato dalla solita fantomina del cavaliere tutto d'un pezzo, onesto, leale, fedele e ligio al dovere. Questo King Arthur è sicuramente l'amico che tutti vorremmo, l'uomo pronto a difendere i propri cari contro tutti e tutto, ma certamente non un paladino di giustizia, o meglio non della giustizia seguita dalle istituzioni.
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Che dire...quando mi sono avvicinata a questo film avevo in mente la bellezza e la dinamicità di "Sherlock Holmes" e i contorni moderni e rock del protagonista detective di Guy Ricthie. E, tutto sommato, da questo punto di vista non mi ha assolutamente deluso: i dialoghi sono veloci, divertenti (forse a volte non riuscendoci troppo) e moderni, certo anacronistici, ma è questo lo stile che si voleva dare, quello di un Re Artù moderno, svecchiato dalla solita fantomina del cavaliere tutto d'un pezzo, onesto, leale, fedele e ligio al dovere. Questo King Arthur è sicuramente l'amico che tutti vorremmo, l'uomo pronto a difendere i propri cari contro tutti e tutto, ma certamente non un paladino di giustizia, o meglio non della giustizia seguita dalle istituzioni. Si muove al confine della legalità, giustificato da una vita non proprio facile e dalla volontà di difendere coloro che ne hanno bisogno.
Da questo punto di vista, per l'originalità del soggetto, do un 4 stelle.
Il film, secondo me, perde nella descrizione dei personaggi, che al di fuori di Re Artù non sono caratterizzati in modo forte; nemmeno la Dama del Lago, che nella storia classica e anche nella pellicola ha un ruolo chiave, emerge in maniera significativa. Tutta la storia, fin dal "golpe" di Vortigen è raccontata in maniera confusa, lasciando probabilmente più spazio all'azione e alla dinamicità del tutto. Anche l'invidia dello zio di Artù per il regno del fratello Uther è descritta come una meteora senza essere contestualizzata, insomma un po' un fulmine a ciel sereno. Inoltre, non un granché viene detto sulla spada di Merlino, i suoi poteri sembrano ridursi alla possibilità di uccidere in modo magico gli avversari, dando al possessore della lama la possibilità di sbarazzarsi dei nemici rallentando il tempo, o almeno così pare. Certo, tutti noi sappiamo benissimo che la spada di Re Artù è un baluastro contro il Male, un oggetto sacro e magico che ha la facoltà di far trionfare il Bene nei secoli, eppure nel film ciò non traspare in modo chiaro.
Tuttavia, dal punto di vista scenografico, credo che siano disegnati contorni epici e fantasy molto suggestivi, con rimandi e, a parer mio, citazioni di grandi classici mitologici, se mi passate l'imprecisione, come Sirene, Arpie, Diavolo e persino, dal mio punto di vista, rimandi alla storia del "Faustus". Insomma un mix di tante cose, potenzialmente molto bello, ma poco caratterizzato.
Quindi, se il vostro desiderio è quello di essere spettatori di un film epico estremente preciso nei dettagli e nella storia, mi sento di sconsigliarvelo, ma, se avete voglia di film dinamico, moderno e "sveglio" sono sicura che passerete due ore molto piacevoli.
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julesv
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domenica 25 novembre 2018
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il solito ritchie, ma non al suo meglio
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Guy Ritchie ci riprova, e dopo aver dato la sua interpretazione del mito di Sherlock Holmes, ci propone anche la sua visione del leggendario mondo del ciclo di Artù. Peccato che le analogie con il film sul dectective più famoso di sempre finiscano qui; è infatti solo il desiderio di riadattare un classico il ponte tra le due pellicole, visto che il risultato è completamente diverso in questo caso. Se il contesto e il "mood" del film sono piuttosto azzeccati e in linea con lo stile e la poetica di Ritchie, non si può non notare un certo pressapochismo nella costruzione della storia. A partire dall riadattamento del mito, che non viene affatto approfondito e che per questo lascia l'amaro in bocca, visto che le premesse iniziali facevano sperare in qualcosa di nuovo e creativamente interessante; sembra quasi che al regista non interessi gran che il contesto fantasy e che questo sia invece solo un pretesto narrativo per far fare ai suoi personaggi scontri mirabolanti (che sarebbero altrimenti fuori luogo) funzionali per poter sfoggiare tutta la tecnica e la CGI di cui è a disposizione.
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Guy Ritchie ci riprova, e dopo aver dato la sua interpretazione del mito di Sherlock Holmes, ci propone anche la sua visione del leggendario mondo del ciclo di Artù. Peccato che le analogie con il film sul dectective più famoso di sempre finiscano qui; è infatti solo il desiderio di riadattare un classico il ponte tra le due pellicole, visto che il risultato è completamente diverso in questo caso. Se il contesto e il "mood" del film sono piuttosto azzeccati e in linea con lo stile e la poetica di Ritchie, non si può non notare un certo pressapochismo nella costruzione della storia. A partire dall riadattamento del mito, che non viene affatto approfondito e che per questo lascia l'amaro in bocca, visto che le premesse iniziali facevano sperare in qualcosa di nuovo e creativamente interessante; sembra quasi che al regista non interessi gran che il contesto fantasy e che questo sia invece solo un pretesto narrativo per far fare ai suoi personaggi scontri mirabolanti (che sarebbero altrimenti fuori luogo) funzionali per poter sfoggiare tutta la tecnica e la CGI di cui è a disposizione. Inoltre, nel tentativo di dare un impronta personale, alcune parti solitamente centrali nel cinema di questo genere (come ad esempio il viaggio di formazione in solitaria dell'eroe) sono messe in secondo piano per focalizzarsi invece su scene di diverso tipo, e soprattutto nella prima ora, per caratterizzare le due figure principali del protagonista e dell'antagonista, operazione riuscita solo in parte visto che non si parla di nulla di nuovo (anzi, di materiale ben noto ai più) e che comunque ci priva di quelli che potevano essere gli spunti più interessanti che il film aveva da offrire. Solo lo zio e il nipote protagonisti hanno una caratterizzazione psicologica (superficiale, e anche un po' troppo banale, riuscita solo grazie alle interpretazioni dei due interpreti), dote di cui tutti gli altri personaggi, senza eccezioni, sono del completamente sprovvisti. Ci sono sicuramente anche scene riuscite (come il prologo) e spunti interessanti (i poteri conferiti dalla spada sono in tutto e per tutto simili a quelli di un supereroe da cinecomic, e il tutto è reso molto bene dagli effetti), ma sono dei momenti singoli e quasi privi di un vero contesto in cui essere inseriti, dato che poi si sprofonda inevitabilmente nei clichè e "topos" del genere. L'azione è ben girata e divertente, molto da videogame (o meglio, da gameplay su youtube), e intrattiene volentieri, ma non basta, per una pellicola molto superficiale e sotto la media nella produzione del regista sotto quasi tutti i punti di vista. E comunque l'essere l'ennesima riproposizione di una storia ormai arci-nota non aiuta. Ma per incipit e tono da film che non si vuole prendere troppo sul serio c'erano grandi potenzialità, che non sono però state sfruttate neanche lontanamente appieno, peccato.
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elgatoloco
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lunedì 18 maggio 2020
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king arthur, what?
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"King Arthur. Legend of the Sword"(Guy Ritichie, anche co-autore della sceneggiatura, 2017)è un film ispirato all'opera del 1400 di Thomas Mallory, ma anche, pesantemente, alla tradizione superonmistico-da "Superheroes"oggi dominante. Con un ritmo scatenato, decisamente travolgente in certi momenti, con l'uso anche assolutamente trash di mostri e relativi effetti specciali, Ritchie riesce a coinvolgere soprattutto quando mostra King Arthur, o meglio il futuro"King", per ora solo Arthyr, che riaccede al trono, sconfiggendo "vilains"e streghe e maghi di ogni tipo. Charile Hunman e Astrid Bergès-Frisbey sono certamente in parte, nella loro"altercatio"tra Bene e Male, Eric Bana e altri altrettanto, Jude Law as Vortigern non si discute, in certo senso, ma ci si può legittimamente interrogare sulla finzione di un film come questo, egregiamente realizzato soprattutto(ma lo si è detto prima, repetita juvant ma rischiano di annoiare.
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"King Arthur. Legend of the Sword"(Guy Ritichie, anche co-autore della sceneggiatura, 2017)è un film ispirato all'opera del 1400 di Thomas Mallory, ma anche, pesantemente, alla tradizione superonmistico-da "Superheroes"oggi dominante. Con un ritmo scatenato, decisamente travolgente in certi momenti, con l'uso anche assolutamente trash di mostri e relativi effetti specciali, Ritchie riesce a coinvolgere soprattutto quando mostra King Arthur, o meglio il futuro"King", per ora solo Arthyr, che riaccede al trono, sconfiggendo "vilains"e streghe e maghi di ogni tipo. Charile Hunman e Astrid Bergès-Frisbey sono certamente in parte, nella loro"altercatio"tra Bene e Male, Eric Bana e altri altrettanto, Jude Law as Vortigern non si discute, in certo senso, ma ci si può legittimamente interrogare sulla finzione di un film come questo, egregiamente realizzato soprattutto(ma lo si è detto prima, repetita juvant ma rischiano di annoiare...)a livello spettacolare, ma dove per es.il tema, pur accennato della"Rounde Table", con tutte le sue implicazioni, anche"democratiche"(verrà la"MAgna Carta", peraltro non nascendo da e neppure dal nulla) non non viene analizzato adeguatamente. Complessivamente, un prodotto(la definizione non la intendo in senso spregiativo)che può servire, modestamente, a introdurre al tema adolescenti e in genere persone vogliose(o meno, chissà)di apprendere qualcosa riguardo a questo ambito, che sta tra storia e leggenda, ma che comunque influenza in modo determinante anche la cultura della modernità, visto, appunto, che"King Arthur"è ben diverso dal classico"re"(ma anche dal concetto imperiale)dominante, divenendo di volta in volta paladino degli oppressi(ma allora"Ivanhoe"e"Robin Hood"non snono da meno, anzi valgono probabilmente di più, sono più adeguati come"emblemi")per chi sia già passato attraverso letture e film esminate/i criticamente, forse a tratti proverà un poìdi fastidio. Anche l'inserzione, very american style, di persnaggi di culture diversissime(Africa, Cina)considerando la difficoltà dei viaggi all'epoca, appare complessivmanete come pretestuosa, ma lo richiede, forse il box office... A metà strada tra volontò di riscoprire elementi di cultura, popollar ee non e mero spettacolo, "king Arthur"(o meglio questo nuovo film ispirato alla saga arturiana)rischia di rimanere quasi"incagliato". El Gato
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shagrath
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domenica 10 settembre 2023
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personaggi improbabili in film assurdo
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Una rivisitazione della leggenda di Re Artù in chiave supereroistica e multietnica, multicolore, eterogenea, sospesa tra fantasy e... non si sa bene cosa. Il tentativo del regista Guy Ritchie di svecchiare il mito di Camelot fallisce miseramente, zavorrato da una trama resa inutilmente contorta. Il ritmo è infatti veloce, gli eventi, o per meglio dire gli effetti speciali e le scene d'azione si susseguono introducendo una miriade di personaggi e situazioni che non vengono approfonditi a sufficienza.
Non è un film noioso, l'attenzione viene tenuta alta da effetti visivi suggestivi, da numerose trovate registiche e tanta, tanta azione. Non è noioso, ma è di certo fastidioso: molte sottotrame appaiono o inutili o non spiegate.
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Una rivisitazione della leggenda di Re Artù in chiave supereroistica e multietnica, multicolore, eterogenea, sospesa tra fantasy e... non si sa bene cosa. Il tentativo del regista Guy Ritchie di svecchiare il mito di Camelot fallisce miseramente, zavorrato da una trama resa inutilmente contorta. Il ritmo è infatti veloce, gli eventi, o per meglio dire gli effetti speciali e le scene d'azione si susseguono introducendo una miriade di personaggi e situazioni che non vengono approfonditi a sufficienza.
Non è un film noioso, l'attenzione viene tenuta alta da effetti visivi suggestivi, da numerose trovate registiche e tanta, tanta azione. Non è noioso, ma è di certo fastidioso: molte sottotrame appaiono o inutili o non spiegate. Poi troppe pacchianate: anche il fantasy ha bisogno di una sua coerenza interna e non si capisce che bisogno ci sia di mettere degli elefanti alti come grattacieli a Camelot, il Colosseo in una Londra megalopoli, soldati neri tra le fila inglesi etc. Ai fini del contesto, ovvero della "lore" simili trovate non servono a nulla, anzi, distruggono qualunque credibilità del racconto perché contraddicono l'immaginario collettivo su Re Artù che uno può avere. Perfino i costumi fanno ridere, con pantaloni scuri, cinturoni, giacche nere e camicie bianche che sembrano riciclate da Pirati dei Caraibi. Continui cliché narrativi e situazioni inverosimili, risolte in maniera incoerente e confusa. Insomma un vero disastro ad alto budget.
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andreagiostra
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domenica 21 maggio 2017
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perché avere nemici invece di amici?
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La leggenda di King Arthur è sempre e comunque affascinante e coinvolgente per gli amanti del genere fantastico-avventura-azione. Nella versione del 2017 dell’inglese Guy Ritchie (noto al grande pubblico per due delle versioni del recente Sherlock Holmes hollywoodiano), si dà molto peso all’azione, agli effetti speciali, alle riprese assai dinamiche dei fatti narrati, in un susseguirsi fluido e avvincente. L’amicizia è la vera protagonista della sceneggiatura di Joby Harold, che inizia e conclude il suo racconto con una frase ovvia, ma non sempre scontata nella realtà vera: «Perché avere nemici invece di amici?».
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La leggenda di King Arthur è sempre e comunque affascinante e coinvolgente per gli amanti del genere fantastico-avventura-azione. Nella versione del 2017 dell’inglese Guy Ritchie (noto al grande pubblico per due delle versioni del recente Sherlock Holmes hollywoodiano), si dà molto peso all’azione, agli effetti speciali, alle riprese assai dinamiche dei fatti narrati, in un susseguirsi fluido e avvincente. L’amicizia è la vera protagonista della sceneggiatura di Joby Harold, che inizia e conclude il suo racconto con una frase ovvia, ma non sempre scontata nella realtà vera: «Perché avere nemici invece di amici?».
Il cast di attori è ottimo, dal protagonista Charlie Hunnam (Arther) al re tiranno e spietato usurpatore Jude Law (Vortigern), dalla giovane maga Astrid Berges-Frisbey (Guinevere) al re tradito Eric Bana (Uther), a tutti gli altri attori inglesi e statunitensi.
Il film, come tutti sanno già, è la storia del leggendario King Arthur che da giovane e scapestrato ladruncolo dei bassi fondi londinesi, riesce a riprendere il trono che era stato del padre ucciso a tradimento dall’amato fratello che col sangue e con l’inganno aveva preso il potere reale d’Inghilterra. Il piccolo Pendragon, salvato alla morte dal padre che lo nasconde in una piccola barca che si allontana lungo il Tamigi (così come Mosè lungo il Nilo nel vecchio testamento), viene salvato da una prostituta che lo alleva e lo cresce come un figlio. È lì che Pendragon, divenuto poi Arthur, apprende i segreti della vita e dell’arrangiarsi per sopravvivere e per divenire un vero capo; ed è lì che Arthur conosce la vera amicizia fatta di lealtà e fratellanza, anche a costo della vita. Saranno questi gli strumenti esperienziali che lo aiuteranno a vincere contro il potente e crudele zio tiranno Vortigern.
Tutto il resto della leggenda è da scoprire nelle sale cinematografiche, anche perché non è così scontata come sembra.
ANDREA GIOSTRA.
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