Carne et Ossa

A Pacentro, un comune dell'Abruzzo, ogni anno alla prima domenica di settembre si rinnova la tradizione della Corsa degli Zingari, una competizione che vede i partecipanti scendere da una montagna a piedi nudi su percorsi di terra e sassi per raggiungere la Chiesa dedicata alla Madonna di Loreto. Alcuni vi partecipano da decenni. Altri la affrontano per la prima volta. Ognuno con una propria motivazione.

Un documentario che approfondisce il senso di una tradizione che unisce sacro e profano.

Se si fa una ricerca sul comune di Pacentro si scopre che dal 2001 fa parte del club dei borghi più belli d'Italia. Oltre alla bellezza architettonica e paesaggistica, dopo avere visto questo documentario si avrà modo di scoprire come ce ne sia un'altra che ha radici ancestrali. È la bellezza affascinante della conservazione di una tradizione che ad un occhio esterno e disinformato potrebbe apparire assurda e priva di un senso se non di quello di un masochismo di gruppo. Zazzara riesce, con un ottimo lavoro di fusione tra riprese amatoriali anche datate e uno sguardo che sa come cogliere le motivazioni profonde di ogni partecipante, ad offrircene un'immagine che ce ne restituisce l'essenza.

Lo fa a partire dal nome, che non ha un riferimento a tradizioni rom ma prende la sua definizione dal termine dialettale zingaro che significa scalzo. Sullo schermo scorrono immagini che offrono sin da subito l'idea del superamento di una prova ardua le cui origini risalgono (come indica quell'"et" nel titolo) al medioevo, epoca in cui, così si dice, chi vinceva la competizione veniva nominato cavaliere dal signorotto locale. Oggi in palio c'è solo l'aver superato se stessi ed essersi misurato con la fatica e, soprattutto, con il dolore.

Le testimonianze che Zazzara ha raccolto (utilizzando la tecnica del posizionare tutti in uno spazio neutro e nella stessa collocazione) offrono un'amplissima varietà di motivazioni. L'arrivo nella chiesa, in cui ad attendere i partecipanti c'è la statua della Madonna di Loreto o il fatto che il via alla competizione venga dato con il suono delle campane, non implicano che chi corre sia necessariamente spinto da motivazioni religiose. Atei dichiarati partecipano per misurare sé stessi così come c'è chi non ha alcuna remora nel dire che non è per nulla decoubertiniano e vuole vincere. Una sola donna, nel corso dei decenni, ha partecipato e la sua presenza viene presentata grazie alle immagini d'epoca e alle sue riflessioni dell'oggi.

Poco importa se c'è chi pensa che sia una gara solo per uomini. Uomini che davvero dilaniano la propria carne mettendo a volte a nudo anche le ossa cercando, tra pietre e terra, tra cadute rovinose e repentine riprese, quella dimensione di rito iniziatico che la nostra cosiddetta 'civiltà' ha espunto dalle vite ma di cui resta un bisogno atavico che non è più solo appannaggio dei giovani ma chiede una sorta di riconferma ad alcuni adulti. James Watkins ha detto: "Non è grazie alla sua forza che un fiume fora la roccia. È grazie alla sua tenacia". La stessa considerazione nasce nei confronti dei protagonisti della Corsa degli Zingari. 