Anno | 2024 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Francesca Mannocchi |
Uscita | lunedì 4 novembre 2024 |
Distribuzione | Fandango |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 30 ottobre 2024
Il racconto dell'Ucraina attraverso le voci di quanti hanno vissuto l'orrore e le sofferenze della guerra.
CONSIGLIATO SÌ
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Francesca Mannocchi giunge a Bucha due giorni dopo la liberazione dalle truppe russe che l'avevano occupata per 33 giorni. Documenta, senza risparmiare nulla alla vista, l'eccidio compiuto ai danni della cittadinanza. Avvicina le persone conquistandone la fiducia perché le lascia parlare di ciò che hanno vissuto e che ancora stanno vivendo senza interrompere i loro racconti.
Ne esce un film carico di dolente compassione nei confronti di un'umanità provata ma non sottomessa.
Mannocchi è, senza ombra di dubbio, una delle corrispondenti di guerra più esperte e preparate. A differenza di alcuni reporter descritti da Michael Winterbottom in Benvenuti a Sarajevo che avevano maturato un fondo di cinismo, forse a protezione della propria sanità mentale, entra in empatia con la popolazione pur conservando lucidità di sguardo e di lettura delle situazioni. Il film inizia con un ragazzino che si aggira in una voragine prodotta da una bomba e la memoria cinefila va a un film di un russo che avrebbe saputo provare vera compassione nei confronti di Bucha invece che causarne il dolore. Il riferimento è ad Andrej Tarkovskij e alla sua opera prima L'infanzia di Ivan. Quella era un'altra guerra, la seconda mondiale, e una donna anziana che l'ha vissuta descrive ora cosa significhi per lei tornare a provare quelle stesse sensazioni. Allora erano i tedeschi ora sono i 'liberatori' russi che in quei 33 giorni lì hanno massacrato 458 civili impedendone in alcuni casi la sepoltura, realizzandola in fosse comuni in altri.
Qualcuno potrebbe pensare che da quel febbraio del 2022 di immagini della guerra in Ucraina ne abbiamo viste abbastanza. Ne abbiamo viste tante certamente ma spesso per frammenti da telegiornale o per reportage che non avevano il desiderio di non nascondere nulla mettendo chi guarda di fronte all'orrore più atroce ma anche alle più diverse reazioni degli esseri umani. I luoghi, le parole e i suoni diventano qui gli elementi che, insieme, danno la misura della ferocia umana ma anche della capacità di resistere nonostante tutto. La donna che ripete di essere sopravvissuta insieme ai familiari non lo fa per sentirsi superiore a chi invece la vita l'ha perduta. In lei si sente il desiderio di far prevalere la vita sulla morte. Si avverte in tutto il film il bisogno di guardare alle persone, a coloro che lasciano le loro case così come a chi decide di restare perché quella è la sua terra. Non si vede mai il presidente Zelensky. Lo si è visto e si continua a vedere già abbastanza altrove. Putin viene citato per affermare che intende ricostituire sotto il suo dominio il territorio che fu dell'Unione Sovietica. Ciò che conta qui sono i volti di chi vive in una casa sventrata, di chi racconta di soccorsi che non potevano arrivare, di chi descrive torture o fucilazioni. Francesca Mannocchi dà voce a queste voci senza sovrapporvisi. Lascia che si esprimano facendo sì che, uno dopo l'altro sommandosi, quelli che nel titolo per la distribuzione internazionale vengono definiti sussurri (whispers) divengano grida.