La grande bellezza

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IRRECENSIBILE Valutazione 5 stelle su cinque

di stefanosessa


Feedback: 462 | altri commenti e recensioni di stefanosessa
domenica 2 giugno 2013

   ''Ho fatto questo film non per puntare il dito, ma per cercare la bellezza e il sentimento dappertutto.''(Paolo Sorrentino)

 
Gli odiosi trailer che precedono la proiezione sono terminati,il film sembra iniziato.Non vi sono titoli di testa: non sembra neppure un vero e proprio principio, piuttosto sembra che la pellicola si inserisca in un solco già tracciato, agganciandosi ad un discorso già iniziato. Lo sguardo di una telecamera curiosa e fluttuante vaga su paesaggi cittadini per poi spostarsi in una della tante zone archeologiche della capitale.Immancabili giapponesi, guide turistiche e stranieri di ogni dove,una Babele etnico-linguistica in una cosmopoli dalla storia millenaria.Un canto gregoriano di voci femminili pare accompagnare le immagini.E invece no, la musica non accompagna nulla;l'inquadratura si sposta in un'antica chiesa dove un coro di giovani donne in tailleur sta intonando quel canto,che non è sovrapposto alle immagini ma costituisce il vero e proprio epicentro emotivo di queste. Uno dei tanti giapponesi prima di scattare l'ennesima fotografia stramazza al suolo.Un malore qualsiasi,dovuto al troppo caldo o forse alla troppa bellezza che gli si para davanti.
Dopo questi primi suggestivi minuti la scena cambia,addirittura si capovolge. Festa in discoteca: corpi sudati e sovraeccitati ballano e si avvinghiano,sexy cubiste ingarbugliano i pensieri di un Carlo Buccirosso ingrifatissimo.(Sua la prima vera battuta del film:''T'chiavass'').Dalle casse rimbomba il remix di Far l'amore di Raffaella Carrà. 
Due scene così opposte e complementari: la prima sacrale,quasi soprannaturale.Nelle sue forme misurate(le architetture romane) e nella linea melodica solista del canto è del tutto apollinea. Pagana e chiassosa,a tratti coatta la seconda.E' un necessario contraltare:terrigeno ed eccessivo,dionisiaco nella danza sfrenata e sessuale,tre millenni dopo non più sul suono dell'aulos ma su quello della consolle elettronica.Un mare di individui fusi tra loro.Entrambe le sequenze avvengono nel raggio di pochi chilometri:il mistico ed il godereccio sono partoriti nella stessa città,opposti ma giustapposti in una inconcepibile coerenza. Il primo quarto d'ora vale già il prezzo del biglietto, tutto quello che viene dopo è un plusvalore che Sorrentino ci dona gratuitamente.
Il film pullula di citazioni e riferimenti a volte caricaturali senza mai scadere in una vacua erudizione accademica.Ogni personaggio reale o fittizio tirato in ballo è funzionale al carettere della pellicola. Flaubert e il romanzo su nulla,Dostoevski e la Polina de Il giocatore,il ritratto canzonatorio di una performer contemporanea tra arte e stupidità evidentemente ricalcato su Marina Abramovich,una ex-soubrette in disfacimento psico-fisico interpretata da Serena Grandi(un autorichiamo). Jep Gambardella si presenta come una doppia citazione:autore di un romanzo di successo(L'apparato umano) scritto quarant'anni prima,non scriverà mai un'opera seconda:impossibile non pensare a J.D.Salinger che dopo The Catcher in the Rye si ritirerà a vita privata fino alla morte. Il napoletano verace Gambardella non si farà da parte,ma sarà piacevolmente risucchiato da quel vortice di mondanità di cui diventerà sovrano indiscusso(perché lui ha il potere di farle fallire le feste),passando dall'essere scrittore a giornalista di cultura e di critica teatrale.Il rimpianto di essere stato deludente,per sé più che per gli altri,lo accompagnerà come un'ombra per sempre.E qui si palesa il secondo riferimento: il Marcello Rubini de La dolce vita,dilaniato tra l'ambizione letteraria e la perenne ricerca di piacere,costretto per tirare a campare a scrivere articoli di costume e gossip,animale sociale allergico alla forma borghese della famiglia.
 Il debito con la grande opera di Fellini,tuttavia, non si riduce a questo.Stesse atmosfere,anche se in Sorrentino più cafone e burine; stesso imbarazzo dell'esistere,identico bisogno di vivere la notte tutte le notti;simile ricerca di sfogo sessuale,più agognato che realizzato.E poi c'è una Roma di rara bellezza:inferno e paradiso, amica puttana fonte di godimento e distrazione,madre matrona dall'abbraccio soffocante;descritta realmente attraverso occhiali immaginifici che riportano ad un grottesco mai banale.E' lei l'effettiva protagonista.
Ma dopo e dentro Roma c'è lui, Jep.Non è un personaggio,è un mondo nel mondo: è la maschera ambigua,dal fascino costruito ed effeminato.Può criticare e ridicolizzare tutti,ma solo perché ha già da sempre deriso se stesso.Mai prendere sul serio nulla, neanche Proust.
Sorrentino è un regista,ma soprattutto è un autore:la filosofia del suo cinema è unitaria e gnomica.Quindi nelle parole e nel modo di fare di Gambardella riecheggia l'apoftegma di Tony Pisapia ne L'uomo in più:''La vita è 'na strunzat''.Leggerezza e frivolezza(nel film si ride spesso),il bla-blaterare sotto cui si nascondono meschinità ed insicurezze,sotto cui si cela la voglia e la fatica di vivere.Questa è la grande bellezza:è il Tutto. Ogni luogo è bello,ogni persona è bella,ogni cosa è bella.Anche quelle brutte,ignobili,patetiche,squallide:bisogna solo saperle guardare.Se solo tutti avessimo gli occhi e le orecchie di Jep...
Tutti i personaggi sullo sfondo sono questo insieme di aspetti,in cui si instaura un ''rapporto non dialettico tra peccato e innocenza (dico non dialettico perché regolato dalla grazia)''.Interpretati da attori al meglio:Verdone,Herlitzka,Ferrari,Buccirosso,addirittura Lillo Petrolo ed una Ferilli mozzafiato(ma questo lo sapevamo) che regala una quantomai inaspettata interpretazione di grande livello.E' necessario dire,però,che in ogni personaggio traspare la magistrale direzione di Sorrentino.Nel 1960 Pasolini scrisse una importante analisi de La dolce vita che si concludeva con una descrizione complessiva dei personaggi del film,a mio parere valida anche per quelli de La grande bellezza.
''Guardate la Roma che egli descrive: è difficile immaginare un mondo più perfettamente arido. Un’aridità che toglie vita, che angoscia. Vediamo passare davanti ai nostri occhi un fiume  di personaggi umilianti, in un umiliante spaccato della capitale: tutti cinici, tutti meschini, tutti egoisti, tutti viziati, tutti presuntuosi, tutti vigliacchi, tutti servili, tutti impauriti, tutti sciocchi, tutti miserabili, tutti qualunquisti[...]Eppure non c’è nessuno di questi personaggi che non risulti puro e vitale, presentato sempre in un momento di energia quasi sacra.
Osservate: non c’è un personaggio triste, che muova a compassione: a tutti  tutto va bene, anche se va malissimo: vitale è ognuno nell’arrangiarsi a vivere, pur col suo carico di morte e di incoscienza.
Non ho mai visto un film in cui tutti i personaggi siano così pieni di felicità di essere: anche le cose dolorose, le tragedie, si configurano come fenomeni carichi di vitalità, come spettacoli.''
Nel personaggio di Jep l'approccio alla vita di Sorrentino è facilmente riscontrabile, ma Servillo ci mette la faccia.Il suo viso è un capolavoro,ogni espressione ti resta impressa per giorni, e la vigorosa voce da attore teatrale ti scava nel di dentro.E' recitazione alle stelle,indefinibile ed incommentabile.
Le immagini. Ogni definizione è una riduzione,ma potremmo dire che il cinema sia un pensare in immagini.E le immagini de La grande bellezza pensano.Sono sovraccaricche,barocche,scintillanti;si tramutano sempre in immaginazione(tema che nelle parole di Cèline apre il film ).Un muro bianco diventa il mare e si può immaginare di essere felici, nonostante tutto.
La musica.Come già detto è emblematica nelle prime due scene,ma riveste un ruolo decisivo anche nel resto(è proprio lei il trucco per dimenticarsi di sé e sparire,come la giraffa).Gli accostamenti sono assurdi:canti gregoriani e remix da discoteca, Arvo Part e La colita,Zbigniew Preisner(il compositore di Kieslowski) e Bruno Lauzi, Gorecki e Venditti. Soprattutto la musica non è mai didascalica,mai serva di qualcos'altro:si impone insieme all'immagine con pari dignità.
In conclusione:seppur è un'opera che sfrutta stilemi del linguaggio cinematografico di tipo felliniano con un modo di raccontare che non scade mai nella mera narrazione evemenenziale(possiamo dire che non esiste una trama) si tratta di un film che si impone con prepotenza nella storia del cinema italiano e mondiale.Sorrentino racconta, o meglio il suo cinema non si riduce ad una sequenza di fatti,ma ad una serie di interpretazioni.La sua ultima fatica è un lavoro che non si può ignorare e dal quale non si può prescindere, soprattutto è un film ''irrecensibile'' da non liquidare con poche parole.E' una pellicola che va studiata in tutti i suoi aspetti.(Ovviamente tale analisi non può che essere parziale ed incompleta).

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