La grande bellezza

Il titolo-epigrafe di questo commento viene da "Le anime morte" di Gogol, ed è rivolto ai non rari critici che hanno dato votazioni basse a questo film in base all'accusa che sia un compiaciuto esercizio letterario di replica di "La dolce vita" di Fellini, ma priva della "pietas" di Fellini. In realtà proprio introdurre sguardi benevoli alla Fellini oggi potrebbe fare del film una "replica" priva di verità.

Confrontiamo la situazione di oggi con quella del 1960, a cui risale "La dolce vita": allora l'Italia era all'inizio del boom economico. Roma era al centro dell'attenzione mondiale anche per le Olimpiadi estive, le uniche che si siano mai svolte in Italia. Oggi invece la spinta all'innovazione e al successo che in quel momento animava l'Italia si è completamente spenta. Di ciò che caratterizzava situazioni e personaggi di allora è rimasto solo il degrado, accentuato e ulteriormente involgarito e i residui di un passato glorioso.

Ad esempio, al posto dell'elicottero che inaugurava "La dolce vita" trasportando una statua di Cristo per aria e facendo stupire i romani (la nuova tecnologia a servizio della continuazione degli antichi valori di Roma: arte e religione) qui la gente è stupita con la sparizione di una giraffa fra le rovine romane (ma il mago avvisa che è un trucco). Per attirare l'attenzione e passare per "Intellettuali" si sbatte la testa contro il muro.
Chi crede ancora nell'arte, come il personaggio di Verdone, finisce per lasciare il campo e rifugiarsi nella sua casa natale, cioè nel passato più profondo.

Il protagonista, che ha passato la vita aspettando "la grande bellezza", forse quella promessa dal sorriso giovane, ingenuo e pulito della Ciangottini nelle immagini finali di "La dolce vita" finisce per rendersi con to che potrà al massimo avere delle "piccole bellezze" come quelle che ancora fioriscono fra la bellissime rovine di un passato antico e glorioso.

Mi sembra di non aver mai visto un ritratto così preciso di questa povera Italia e della sua disperazione.