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Un colpo di cannone, una macchina fotografica che immortala la skyline della città immortale, un volo a pelo d’acqua su una trasparente fontana, che riflette le monumentali e misere macerie della capitale, macerie millenarie e moderne, macerie architettoniche e umane.
La cinepresa ritrae con la dolcezza di un acquerello e con la violenza di uno strappo alla tela, l’avventura di un luogo, di un posto che è anche un’identità, di un posto che è “l’apparato umano” che lo abita.
Sorrentino racconta la storia senza storia di un uomo che è Roma, che è il coro di volti, di corpi, di rughe, di rimpianti, di sogni infranti, di ipocrisie, di mostri che si nutrono di una bellezza pulsante, una bellezza radicata ma evanescente, una bellezza così potente che schiaccia e che viene schiacciata.
Tra volgari feste mondane e incantevoli sculture senza tempo, tra grotteschi ritocchi al botox e i passi lieti dei bambini, tra le menzogne e i dolci ricordi della giovinezza, tra un millantato impegno civile e un mistico silenzio su ciò “che non si può raccontare ma solo vivere”, tra questi opposti si costruisce un cosmo, si concilia l’inconciliabile, si innesca un meccanismo amaro ed esilarante, si accerta e si accetta una perdita, si ambisce a ritrovare o ricostruire.
La grande bellezza è un pugno allo stomaco, è una dolce carezza, è una lacrima, è uno sguardo, è un ammiccamento, è un rumore feroce, è un’illusione.
La grande bellezza è Roma, è l’Italia, o meglio ancora, gli italiani.
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