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Un canto per Emma Stone

L'attrice è la protagonista del film di Yorgos Lanthimos Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia Povere creature!. Dal 25 gennaio al cinema.
di Pino Farinotti

Emma Stone (Emily Jean Stone) (35 anni) 6 novembre 1988, Scottsdale (Arizona - USA) - Scorpione. Interpreta Bella Baxter nel film di Yorgos Lanthimos Povere Creature!.
martedì 12 settembre 2023 - Celebrities

Una donna morta, incinta di un feto ancora vivo. C’è chi le ridà la vita e trapianta il suo cervello nel neonato. Questa nuova creatura di Frankenstein è nelle mani di Emma Stone, l’attrice fenomeno di questa epoca. Nel film è Anna, che cresce e affronta il mondo attraverso sentimenti nuovi e diversi, lontani da ciò che è conosciuto e accreditato. Non ha regole pregiudizi. E’ decisa e inarrestabile. La Stone sostiene tutto. Ma non è una novità.
Come detto sopra, la 33enne pluripremiata, è pronta a tutto. E dico che forse (o senza forse) nessuna è come lei. Yorgos Lanthimos, il regista che ha firmato il film Povere creature!, vincitore del Leone d’oro a Venezia ha detto che senza la protagonista Emma Stone, mai e poi mai avrebbe raggiunto quel premio. E’ un avallo decisivo.

Emma ha frequentato un paio di collegi, ma con scarso entusiasmo. Aveva la perfetta sensazione del suo destino. Esordisce in teatro a undici anni nella pièce "Il vento fra i salici", ma subito dopo scappa verso il cinema. Fa dei provini e … la prendono sempre. Poco più che ventenne eccola apparire in film “veri” Da quel momento sarà impegnata praticamente in tutti i ruoli di attrice, sempre dominandoli e sempre portando qualcosa di esclusivo. Come sempre occorre scegliere. Il film che la pone all’attenzione del sistema è Easy Girl, basato sul romanzo di Hawthorne, fra i maggiori dell’Ottocento. La critica consacra Emma, 22enne, come un astro nascente. A notarla è uno che conta, Woody Allen, che le affida il ruolo della sensitiva Sophie, accanto a Colin Firth in Magic in the Moonlight (2014), l’anno dopo la riprende in Irrational Man, nella parte di una studentessa che indaga su una morte misteriosa. In Sotto il cielo delle Hawaii non ha problemi nel ruolo di una pilota di caccia, dando filo da torcere al coriaceo e imprevedibile Bradley Cooper. Ma ancora decisivo è l’incontro col regista Damien Chazelle che le offre il ruolo di Mia in La La Land (guarda la video recensione), film capolavoro. Emma recita, canta e balla evocando i grandi musical della Metro degli anni Cinquanta, arte vera. La sua performance entra nell’antologia del cinema. Aiuta Emma, che ottiene l’Oscar, un ottimo Ryan Gosling.
L’attrice avrà anche la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia. E poi, tutto il resto della Stone, fino a Povere creature!.

Com’è mio costume ritengo di inquadrare l’attrice in un contesto generale. Da chi arriva il testimone dorato che adesso è nelle sue mani. Emma è l’ultima erede delle dive, magari “divine”, che da quando esiste il cinema hanno dettato bellezza, moda, comportamento. Sono… donne importanti. Torniamo indietro.

Le grandi dive nell’età dell’oro del cinema non avevano parentele con la realtà. Non era gente, come si dice, che potevi incontrare per strada. Erano uno strumento per l’identificazione e per il sogno. Il cinema di quel tempo favoriva questo transfert.
L’evoluzione naturale generale, di ruolo e di immagine, sarebbe stata verso il reale. Regine come DietrichGarbo, Katharine Hepburn, che identificano la prima grande generazione di spettacolo, avrebbero certo trovato cittadinanza nel cinema dei decenni successivi, ma sarebbero state derubricate semplicemente a grandi attrici e a esseri (quasi) umani. Anche la generazione successiva, che identifico con AudreyMarilyn e Grace, continuava a ospitare le divine intoccabili, seppure con qualche piccolo segnale di appartenenza al normale genere umano. Certo, lo star system ci sarebbe sempre stato, ma sarebbe accaduto sempre più spesso che una spettatrice seduta in platea possedesse la stessa avvenenza, o magari maggiore avvenenza, del modello sullo schermo.
Un’attrice che raccolse il testimone di quelle citate sopra, mettendoci un plusvalore anche culturale, è certamente Jane Fonda. Brava, bella, intelligente. Icona figlia di icona, Jane ha portato nel cinema contenuti senza precedenti, il dolore vero, il sociale, la presa di coscienza, una militanza allora sconosciuta. E naturalmente una bellezza tanto straordinaria quanto normale, era diva e donna, e lo è ancora.

Poi arrivano coloro che hanno raccolto la definizione riferita a Jane detta sopra: bellissime e normali. Sono Julia Roberts, Nicole Kidman e Meg Ryan. La prima ha saputo esprimersi in molti ruoli. La “escort” di Pretty Woman ha creato un precedente che fa parte della memoria del cinema, con Erin Brockovich si è impegnata in un ruolo alla Fonda: era accorata e instancabile, difendeva i deboli; e ha vinto l’Oscar. Nicole Kidman ha dovuto affrontare la sua troppa bellezza. Si è fatta legittimare dal gran maestro Kubrick in Eyes Wide Shut, poi si è imbruttita per il ruolo di Virginia Woolf in The Hours. L’applicazione dolorosa le è valsa l’Oscar. Meg Ryan ha firmato, con Harry ti presento Sally, un’altra parte alla Pretty Woman, di quelle che creano un precedente al quale ci si riferirà sempre.
Una citazione d’onore non può non appartenere a Meryl Streep, a sua volta un unicum. Attrice capace di segnare tutte le sue stagioni, di adeguarsi nei ruoli a tutte le età. È stata la madre tormentata che abbandona il figlio in Kramer contro Kramer, con Oscar, ancora la madre ebrea costretta a decidere la morte di uno dei suoi figli nella Scelta di Sophie (altro Oscar), la romantica e dolente scrittrice Karen Blixen in La mia Africa; e poi la madre di famiglia che vive un amore profondo e accorato, una trasgressione di quattro giorni con Clint Eastwood, nei Ponti di Madison County.
Un’erede all’altezza è Angelina Jolie, che si è già costruita un buon piedistallo, sa fare tutto, dalla virtuale Lara Croft dei videogiochi alla madre disperata in Changeling. È plastilina preziosa nelle mani dei registi, ma… non è una regina. Dal grande libro, dai molti cast, estraggo Scarlett Johansson, Keira Knightley, Penélope Cruz, Anne Hathaway. Ma il cinema contemporaneo, in un panorama certo vasto, vede due donne dominanti. Belle, complete, diverse. Titolari di quel “quanto in più” che non è definibile.
La prima è Cate Blanchett, australiana, classe 1969, perfetta in ogni ruolo, fascino esclusivo e maturo. La Blanchett ha ottenuto due Oscar: non protagonista in The Aviator di Scorsese e protagonista in Blue Jasmine di Allen. Inoltre presenta uno sponsor potente: Giorgio Armani l’ha scelta come testimonial del suo marchio. Ha detto: “Cate rappresenta la donna per la quale io creo”.
E riecco Emma Stone. Così giovane ha già vinto tanto e chissà quanti altri riconoscimenti seguiranno. Quelle sue iridi azzurre e grandi e quel sorriso che racconta, oltre a un talento, uno charme e una grazia esclusiva, non trovano riscontro nel movimento del cinema di adesso. E poi ecco quel segnale misterioso e indefinibile che le divinità del cinema hanno concesso con parsimonia. Sarà Emma Stone a identificare un’epoca. Come le divine citate sopra. “Colleghe” che ho estratto dal libro magico del cinema. Purtroppo lo spazio mi ha costretto a una selezione e a dei privilegi.


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