pier delmonte
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martedì 27 gennaio 2015
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un buon film di guerra
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Da vedere ma per favore non dite che e’ un gran film e tanto meno capolavoro, Clint Eastwood ci offre una storia gia’ vista anche se reale, il supereroe americano in divisa, un film di guerra con le solite missioni, combattimenti, civili collaborazionisti e traditori, le solite turbe psichiche del reduce, i soliti funerali con tanto di tromba e bandiera ripiegata. Come per Million Dollar Baby ho l’impressione che questo film sia sopravalutato e ho dei dubbi pure sulla recitazione di Bradley Cooper. Non mi e’ piaciuto!
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parieaa
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martedì 27 gennaio 2015
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cooper da oscar
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Uno dei più grandi cineasti di questi tempi, e forse di sempre, è riuscito ancora, alla veneranda età di 84 anni, a regalarci un'altra perla di cinema. Forse non sarà il suo migliore film, ma resta comunque nettamente al di sopra della media. Una grande storia che ci racconta le imprese del cecchino più letale della storia dei Seals. Le idee e la posizione di Eastwood sono conosciute, e che le si condividano o meno, ciò che conta è che in questo film rimangono abbastanza nascoste o comunque sedate, perchè non ci sono eroi, non c'è eccessivo patriottismo (un po' ce ne deve essere per forza di cose, visto il genere e il regista ultra repubblicano e conservatore), non c'è violenza gratuita e nemmeno la fantomatica demonizzazione assoluta del nemico (chi lo dice probabilmente lo fa solo perchè nutre sentimenti anti-americani a prescindere).
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Uno dei più grandi cineasti di questi tempi, e forse di sempre, è riuscito ancora, alla veneranda età di 84 anni, a regalarci un'altra perla di cinema. Forse non sarà il suo migliore film, ma resta comunque nettamente al di sopra della media. Una grande storia che ci racconta le imprese del cecchino più letale della storia dei Seals. Le idee e la posizione di Eastwood sono conosciute, e che le si condividano o meno, ciò che conta è che in questo film rimangono abbastanza nascoste o comunque sedate, perchè non ci sono eroi, non c'è eccessivo patriottismo (un po' ce ne deve essere per forza di cose, visto il genere e il regista ultra repubblicano e conservatore), non c'è violenza gratuita e nemmeno la fantomatica demonizzazione assoluta del nemico (chi lo dice probabilmente lo fa solo perchè nutre sentimenti anti-americani a prescindere). Certo vengono completamente sorvolati alcuni aspetti chiave che hanno scatenato il conflitto e caratterizzato quegli anni bui, tanto che non viene nemmeno nominato il folle alcolizzato cocainomane che per 8 anni ha comandato l'esercito più potente della storia (un segno che ancora si vergognano un po' tutti del loro ex leader), nè tantomeno i fantomatici rapporti sull'esistenza di armi di distruzione di massa (e se vengono nominati lo sono solo di sfuggita), ma non credo che siano lacune imperdonabili, ma solo prevedibili. Il film non è un racconto sulla guerra, ma un racconto di quello che fa la guerra agli uomini, che vengono più o meno lentamente trasformati prima in soldati che non si pongono domande (in questo caso già dalla prima "missione" compiuta), e poi ancora in macchine senza pensiero e coscienza, la cui unica ragione per andare avanti è la sete di vendetta e vincere ad ogni costo. Questi passaggi sono tutti ben caratterizzati dallo stupefacente Bradley Cooper (che ormai non sbaglia un colpo ed è sempre più vicino al suo primo oscar, che comunque anche quest'anno credo gli sfuggirà): da un semplice bifolco texano, buonista e forse un po' ingenuo, che dal momento in cui vide l'attacco alle torri gemelle, si pone l'irrangiungibile obiettivo di impedire che a nessun altro accadda una cosa del genere, viene man mano risucchiato sempre più in basso dalla spirale di odio e violenza, fino a quando ne rimane corrotto, e al posto di tornare a casa decide di tornare sul teatro di guerra, non per proteggere qualcuno, ma solo per la Vendetta. Forse all'inizio lui credeva realmente di poter fare solo del bene, ma alla fine anche in lui i più puri e sinceri sentimenti, vengono schiacciati sotto il peso di troppe responsabilità e preoccupazioni e lasciano il posto al ben più brutale "uccidere per non essere uccisi". Il suo voler a tutti i costi immolarsi per gli altri, il continuo stress di vedere nemici ovunque e in chiunque, la paura di poter morire in qualsiasi momento e di perdere tutto quello che voleva proteggere, lo hanno talmente tormentato e logorato, che quasi irrimediabilmente perde realmente tutto. In questo scenario di degrado morale ed etico svetta come ancora di salvezza la moglie, che con il suo amore riesce a ridargli la vita e la gioia di vivere (interpretata da un'ottima Sienna Miller). Il resto del cast però resta abbastanza ininfluente e le loro personalità non sono per nulla approfondite (comprese quelle dei "cattivi"); ed è forse proprio questo il vero punto debole del film: manca la caratterizzazione di tutti gli altri attori, e soprattutto una qualsivoglia indagine introspettiva del popolo iracheno, che dopotutto era un popolo invaso da uno straniero e per motivi ben poco chiari. Ovviamente non era il regista giusto se ci si attendeva questo (vero, lo fece con i giapponesi, ma le differenze sono notevoli). La fotografia è ottima, gli effetti sonori anche, così come le scenografie e la sceneggiatura (a parte poche battute). Pecca invece un po' il comparto azione (le scene di guerra potevano essere più avvincenti e realistiche), anche se non è poi tanto grave, visto che lo scopo del film era ben altro, e non scambierei mai, in questo caso, la tensione delle esplosioni e degli inseguimenti, con quella degli appostamenti e delle sfide tra cecchini. Ciò che conta, secondo me, di questo film è il vero messaggio che sottintende: non è importante chi sei o cosa fai, se vieni chiamato eroe o terrorista, tanto la guerra ti uccide comunque, in un modo o nell'altro, e non c'è nessuna parata o medaglia che possa portarti indietro.
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zarar
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lunedì 26 gennaio 2015
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un triste eroe
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C’è un personaggio ricorrente nei film di Clint Eastwood: un individuo che ha in sé qualcosa di autistico, un blocco dentro, che gli rende la realtà intorno estranea, se non ostile. Diffidente, burbero, scomodo, senza illusioni. Non vuole essere infastidito da nessuno e non infastidisce nessuno, ha una sua passione, o una sua ossessione solitaria. Ha bisogno di misurarsi con qualcosa di violento. Non cerca consensi né popolarità. Ad un certo punto succede qualcosa nella sua vita che lo mette alla prova e tira fuori da lui qualcosa che neppure lui saprebbe spiegare, qualcosa che lo spinge ad aprirsi cautamente verso l’altro. Dentro di lui si dilata qualcosa che finalmente è un sentimento, una nuova consapevolezza? Non illudetevi, un destino cinico e baro stroncherà questo inizio di speranza.
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C’è un personaggio ricorrente nei film di Clint Eastwood: un individuo che ha in sé qualcosa di autistico, un blocco dentro, che gli rende la realtà intorno estranea, se non ostile. Diffidente, burbero, scomodo, senza illusioni. Non vuole essere infastidito da nessuno e non infastidisce nessuno, ha una sua passione, o una sua ossessione solitaria. Ha bisogno di misurarsi con qualcosa di violento. Non cerca consensi né popolarità. Ad un certo punto succede qualcosa nella sua vita che lo mette alla prova e tira fuori da lui qualcosa che neppure lui saprebbe spiegare, qualcosa che lo spinge ad aprirsi cautamente verso l’altro. Dentro di lui si dilata qualcosa che finalmente è un sentimento, una nuova consapevolezza? Non illudetevi, un destino cinico e baro stroncherà questo inizio di speranza. American Sniper ripropone questa parabola esistenziale. Poco conta che il film sia un biopic che rifà la storia dello sniper Chris Kyle, il texano arruolato nei SEALs (Forze per Operazioni Speciali dei Marines) diventato leggendario per la sua capacità di eliminare cecchini del campo avverso e proteggere così i soldati americani in azione nel corso del conflitto iracheno.Un eroe assai controverso, un tipo che – tanto per dare un’idea - mise un fucile (vero) in mano a suo figlio già a due anni e la cui autobiografia di combattente cristiano contro il male assoluto lascia a dir poco perplessi. Il regista ha trovato in lui una variante di un carattere che da sempre lo interessa e che sa rappresentare come pochi. Il film ha due punti di forza: una rappresentazione potente di una guerra non convenzionale, quella Irachena, un inferno in cui la macchina da presa è l’occhio del cecchino, ha il raggio e la prospettiva di chi è dentro fino al collo ad una gigantesca trappola che consuma i tuoi nervi e ti costringe a un’impassibilità disumana; e insieme è una macchina da presa che, con grande impatto emotivo, letteralmente ti scaglia addosso, facendole precipitare dal fondo della scena verso di te – le azioni più cieche e violente – ‘trascinandoti dentro’, a sottolineare che nessuno può chiamarsi fuori da una guerra simile. E in questo contesto sa disegnare con asciuttezza, impassibilità e anche onestà il suo Kyle, l’eroe dei 120 nemici uccisi in azione, donne e bambini inclusi: rigido, non particolarmente simpatico, non accattivante; non cinico (il che gli darebbe una sorta di consapevolezza che non ha), a suo modo retto, ma manicheo ed elementare nel costruirsi un obiettivo accettabile di vita intorno ad un fucile, senza sfumature, senza dubbi, incapace di una visione critica che vada al di là della sua percezione istintiva. Non è difficile capire che è proprio una guerra atroce come tutte le guerre la situazione che può fare di lui un eroe. Quando un malessere più forte di lui, mai veramente elaborato, lo riporterà faticosamente nella normalità, tutto quello che il destino gli riserverà sarà la morte, una morte che avrà l’aspetto di una negazione beffarda di quell’unico principio a cui ha ancorato tutto: proteggere quelli della sua parte. E’ comprensibile, ma riduttivo, che questo film sia stato da molti esaltato o – all’opposto – criticato, su basi ideologiche. Sarebbe “di destra”. La visione di Eastwood è insieme più ristretta e più ampia. Ha a che fare con la difficoltà di vivere e di dare un senso a quello che si è e si fa quando si incardina in un dramma più largo che credi di dominare, ma in realtà finisce con il distruggerti.
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gruppocomodo
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lunedì 26 gennaio 2015
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sopravvalutato
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La prima cosa da dire è che American Sniper è un film lento.
Pur essendo un film di guerra, la tensione vera è palpabile solo in un paio di scene, che salvano il film da un voto ancor più basso.
Le scene con la moglie sono tutte super clichet, così come il concetto americano buono arabo cattivo che si esalta in tutto il film. Non dimentichiamoci che l'intervento americano in Iraq in seguito all'11 settembre era privo di ragioni concrete.
Siamo usciti dal cinema con una piacevole sensazione di nausea allo stomaco. Buona visione.
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francesco izzo
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domenica 25 gennaio 2015
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unfilm sobrio,essenziale,che tocca le corde giuste
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Altro bellissimo film di Clint Eastwood che,come Chris da tetti iracheni,alla regia continua a non sbagliare un colpo.
Il film trasmette i sentimenti genuini e patriottici del cow-boy texano che vuole servire generosamente il suo paese,e solo quando avverte la morte davvero vicina ,alla fine del film ,prova il desiderio di tornare definitivamente dalla moglie (dopo aver portato a termine ben quattro missioni).
Efficace proprio perché semplice,rende bene - l'attore è molto bravo - lo spaesamento del reduce che aumenta di missione in missione al ritorno a casa.
E - brava anche l'attrice - i diversi criteri ( e le incomprensioni ) che animano invece la moglie,addolorata per non averlo mai vicino a sè ed ai figli.
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Altro bellissimo film di Clint Eastwood che,come Chris da tetti iracheni,alla regia continua a non sbagliare un colpo.
Il film trasmette i sentimenti genuini e patriottici del cow-boy texano che vuole servire generosamente il suo paese,e solo quando avverte la morte davvero vicina ,alla fine del film ,prova il desiderio di tornare definitivamente dalla moglie (dopo aver portato a termine ben quattro missioni).
Efficace proprio perché semplice,rende bene - l'attore è molto bravo - lo spaesamento del reduce che aumenta di missione in missione al ritorno a casa.
E - brava anche l'attrice - i diversi criteri ( e le incomprensioni ) che animano invece la moglie,addolorata per non averlo mai vicino a sè ed ai figli.
Sono belle le battute e i motti di spirito fra i soldati,affraternati dal comune destino.
Ed è comprensibile - perché umana- anche la rabbia che li prende quando vedono cadere un commilitone, e che li porterà poi dritti in un'imboscata.
Alla fine del film - già dall'ultima telefonata fra lui - che disorientato chiede un po' di tempo per riprendersi - e la moglie preoccupata ed addolorata - gli occhi cominciano a inumidirsi; e così restano fino alla fine,seguendolo nella sua generosità che continua stando vicino ai reduci mutilati, poi nel suo affetto solare e scherzoso per la moglie ed i figli, ed infine nel suo ultimo atto di generosità verso un reduce che gli costerà la vita. Chapeau Mr Eastwood.
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cicceddi
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domenica 25 gennaio 2015
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non facciamoci ingannare...
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Stentavo a credere a ciò che avevo visto dopo essere uscito dalla sala di proiezione: Un filmetto abbastanza scialbo senza debite analisi psicologiche,ricco di clichè visti e rivisti,personaggi stereotipati e dialoghi alquanto inutili e piatti. In sostanza è questo il mio personale commento rigurdante questa nuova creazione di nonno Clint. Partiamo dal tipo di narrazione,semplice e lineare, che alterna fasi crude di guerra con fasi di vita normale: tutto sommato l'organismo narrativo funziona anche se ostacolato dalla banalità dei dialoghi e delle situazioni. Mio Dio,quante volte abbiamo visto queste tipologie di scene ? Addestramento in stile FMJ,uomini in fin di vita che raccomandano di consegnare oggetti alle mogli,"Figlio di pu-----a non puoi morire soldato","Amore non partire".
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Stentavo a credere a ciò che avevo visto dopo essere uscito dalla sala di proiezione: Un filmetto abbastanza scialbo senza debite analisi psicologiche,ricco di clichè visti e rivisti,personaggi stereotipati e dialoghi alquanto inutili e piatti. In sostanza è questo il mio personale commento rigurdante questa nuova creazione di nonno Clint. Partiamo dal tipo di narrazione,semplice e lineare, che alterna fasi crude di guerra con fasi di vita normale: tutto sommato l'organismo narrativo funziona anche se ostacolato dalla banalità dei dialoghi e delle situazioni. Mio Dio,quante volte abbiamo visto queste tipologie di scene ? Addestramento in stile FMJ,uomini in fin di vita che raccomandano di consegnare oggetti alle mogli,"Figlio di pu-----a non puoi morire soldato","Amore non partire"... Indubbiamente la sceneggiatura è tratta da un'autobiografia di un cecchino, ma è un certo Clint Eastwood a dirigere,non di certo un tipetto alle prime armi: mi sarei aspettato meno scene di guerra/briefing/situazioni inutili all'apprendimento del vero messaggio della pellicola; soprattutto avrei voluto godere di una analisi più dettagliata dello stereotipato nemico islamico e un approccio alla pellicola generalmente più psicologico da parte del regista. In sintesi ci ritroviamo di fronte a una produzione vuota altamente militarstica nel quale l'unico messaggio è "America è bene,il resto è il male" senza nemmeno mostrare cosa sia il vero "male": si preferisce l'azione alla riflessione e il risultato altro non può che essere una pellicola,fatta discretamente, indicata però SOLO ad un target americano-medio nel quale la sufficiente prestazione Cooper-Miller convince la maggior parte del pubblico. Bah,sarò troppo bacchettone ?
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miranbaricic
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domenica 25 gennaio 2015
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sono indeciso
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Non esprimo nessun voto per questo film, e c'è una ragione: il film è piuttosto bello, godibile, piacevole da vedere: è una pellicola di qualità. Ciò che in realta non mi convince sono le sue intenzioni, poichè per quanto godibile sia, l'ultimo lavoro di Eastwood si fa portatore della solita ideologia da americanaccio spaccone che "il mio paese non si tocca". Tutto si basa sulla formula "americano essere buono, musulmano essere cattivo", un manicheismo che il regista tutto sommato finge di confutare. Non è un'amara e matura riflessione sulla guerra che lo spettatore ha davanti, piuttosto ciò a cui assiste è una serie di personaggi che sono fra il supereroe dei fumetti e il tipico militare; sembra di essere davanti ad un episodio di Call of Duty (non lo considero un complimento).
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Non esprimo nessun voto per questo film, e c'è una ragione: il film è piuttosto bello, godibile, piacevole da vedere: è una pellicola di qualità. Ciò che in realta non mi convince sono le sue intenzioni, poichè per quanto godibile sia, l'ultimo lavoro di Eastwood si fa portatore della solita ideologia da americanaccio spaccone che "il mio paese non si tocca". Tutto si basa sulla formula "americano essere buono, musulmano essere cattivo", un manicheismo che il regista tutto sommato finge di confutare. Non è un'amara e matura riflessione sulla guerra che lo spettatore ha davanti, piuttosto ciò a cui assiste è una serie di personaggi che sono fra il supereroe dei fumetti e il tipico militare; sembra di essere davanti ad un episodio di Call of Duty (non lo considero un complimento). Eppure quello della guerra presa in questione è un tema piuttosto dolente, che non può essere trattato con così tanta superficiale indelicatezza; non si può trattare qualcosa di così pericoloso con un grossolano Chris Kyle, in ultima analisi celebrato per il fatto di essere un boia, un killer, il cui eroico patriottismo potrebbe (POTREBBE) essere più sottilmente letto come una inconsapevole giustificazione alla sua sete di violenza. Sto divagando... il film, in quanto a prodotto cinematografico puro e semplice è di qualità, è bello, ma non riesco a provare nessuna empatia, nei confronti della situazione di Kyle, dagli ideali che sinceramente mi trovo incapace di condividere. Se volete vedere il film vedetelo, ma sappiate.
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donato prencipe
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domenica 25 gennaio 2015
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una leggenda americana
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Il cecchino più letale nella storia degli Stati Uniti d'America, una leggenda come veniva chiamato dai suoi commilitoni e più volte ribadito nel film, a voler porre ancora di più l'accento sulla maestosità di questa persona. Ma era davvero questo quello che voleva Chris Kyle? Forse voleva solo difendere il suo paese, senza che il tutto diventasse un tiro al bersaglio, che colpisse in pieno la sua mente disintegrandola in tanti frammenti di piccoli incubi, con i quali è stato costretto a convivere da li in poi. La sua storia è l'ultima scommessa di Clint Eastwood, questa volta però non c'è una ragazzina sfrontata, piena di grinta e muscoli, a trovare la gloria a suon di cazzotti, ma un cowboy texano, che stanco di andare a caccia di animali decide di andare a caccia dei nemici del suo paese.
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Il cecchino più letale nella storia degli Stati Uniti d'America, una leggenda come veniva chiamato dai suoi commilitoni e più volte ribadito nel film, a voler porre ancora di più l'accento sulla maestosità di questa persona. Ma era davvero questo quello che voleva Chris Kyle? Forse voleva solo difendere il suo paese, senza che il tutto diventasse un tiro al bersaglio, che colpisse in pieno la sua mente disintegrandola in tanti frammenti di piccoli incubi, con i quali è stato costretto a convivere da li in poi. La sua storia è l'ultima scommessa di Clint Eastwood, questa volta però non c'è una ragazzina sfrontata, piena di grinta e muscoli, a trovare la gloria a suon di cazzotti, ma un cowboy texano, che stanco di andare a caccia di animali decide di andare a caccia dei nemici del suo paese. Il buon Clint affida la parte alla star del momento, Bradley Cooper, ingrassato per l'occasione di ben venti chili. La sua interpretazione è ineccepibile, dimostrando ancora una volta di essere l'attore di Hollywood più ricercato da registi e produttori. Il racconto della vita di Chris Kyle comincia dai suoi trascorsi in Texas, suo paese nativo, cresciuto a pane e valori, educato dal padre all'uso del fucile per andare a caccia. Divenuto adulto, stanco di cavalcare in giro tra un rodeo e un altro e per di più tradito dalla sua ragazza, decide di arruolarsi nei Navy Seal, distinguendosi da subito come infallibile cecchino. Tra un bersaglio ed un altro, incontra Taya (Sienna Miller) in un bar, la quale diventerà sua moglie e madre di due bambini. L'attentato terroristico dell'11 settembre alle torri gemelle lo proiettano in guerra in Iraq e da questo momento si susseguono nel film scene che mettono in raffronto la vita che viene affrontata da Kyle laggiù, appostato sui palazzi per colpire chiunque provi ad avvicinarsi minaccioso a un marine e quella vissuta ogni qualvolta ritorna a casa da sua moglie e dai suoi bambini. Un confronto spietato che crea in lui una confusione mentale ricca di dubbi, senza più certezze, incapace di comprendere e sopportare il netto distacco di due realtà completamente diverse, la tranquillità della vita famigliare di tutti i giorni, contro lo spargimento di sangue e le vite ammazzate come fossero pedine di un gioco da tavola senza che si possa ripassare dal via. L'aver impresso dentro di se quell'orrore vissuto ogni giorno, i sensi di colpa che affiorano per non riuscir a proteggere tutti i compagni destabilizzano la sua esistenza, riportandolo, al termine della missione, a vivere con la sua famiglia nel posto dove era cresciuto da ragazzo, in cerca di un po di pace e serenità... Il regista, reso celebre dal grande Sergio Leone coi suoi film western, riesce a mostrare sempre storie ad effetto, talune più crude delle altre ma pur sempre girate con grande talento ed ormai un'esperienza da vendere. Le scene sono di guerriglia pura e ci portano indietro nel tempo, quando il campo di battaglia era il Vietnam e non l'Iraq, anche se le sole differenze, forse, si riassumono nell'epiteto rivolto ai propri nemici, da “musi gialli” a “selvaggi”. Alcune incongruenze con l'autobiografia (nel libro è raccontata un'altra versione dell'episodio della donna con il bambino e non esisteva alcun “macellaio” a cui davano la caccia) da cui ne è stato tratto il film hanno reso la storia ancor più cinematografica. Lo stesso giorno al cinema sono usciti: “American Sniper” e “The Imitation Game”, sembrerà strano ma trattano entrambe la storia di due “eroi”, il primo venerato, pianto e celebrato, il secondo, invece, usato, maltrattato, dimenticato e non certo glorificato; forse bisognerebbe fare più attenzione quando si usa l'appellativo di “eroe”, perchè non è detto che siano sempre quelli a saper usare un'arma a dover divenire tali.
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camarillo
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domenica 25 gennaio 2015
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ideologia e retorica
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Non mi sembra giusto analizzare un film sulla base di parametri ideologici,perché fatalmente si finisce per privilegiare il "messaggio" a discapito della realizzazione artistica.E' dunque difficile per me,in questo caso,collocare correttamente la retorica di American Sniper all'interno di un giudizio critico.Non si può ignorarla,dato che permea di sé tutto il film,né si può stravolgerla per trasformarla in un manifesto pacifista - perché davvero non lo é -.A me pare che lo stesso Eastwood abbia risentito di questa difficoltà nella realizzazione del film.Kyle è una persona realmente esistita,e già questo rappresenta un vincolo narrativo pesante.Nel raccontarlo, Eastwood pare smentire il discorso di cui Million Dollar Baby,Flags of our Fathers,Letters from Iwo Jima,Gran Torino sono gli straordinari capitoli precedenti: in quei casi l'eroe americano,che il trionfo del cinema USA ha collocato automaticamente dalla parte giusta,è stato costretto a riconsiderare la propria natura e la propria identità.
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Non mi sembra giusto analizzare un film sulla base di parametri ideologici,perché fatalmente si finisce per privilegiare il "messaggio" a discapito della realizzazione artistica.E' dunque difficile per me,in questo caso,collocare correttamente la retorica di American Sniper all'interno di un giudizio critico.Non si può ignorarla,dato che permea di sé tutto il film,né si può stravolgerla per trasformarla in un manifesto pacifista - perché davvero non lo é -.A me pare che lo stesso Eastwood abbia risentito di questa difficoltà nella realizzazione del film.Kyle è una persona realmente esistita,e già questo rappresenta un vincolo narrativo pesante.Nel raccontarlo, Eastwood pare smentire il discorso di cui Million Dollar Baby,Flags of our Fathers,Letters from Iwo Jima,Gran Torino sono gli straordinari capitoli precedenti: in quei casi l'eroe americano,che il trionfo del cinema USA ha collocato automaticamente dalla parte giusta,è stato costretto a riconsiderare la propria natura e la propria identità.Una revisione spietata,che non sfocia mai nel rimorso,ma che investe col suo acido corrosivo il concetto stesso di "parte giusta".La Storia consente a pochi fortunati la giustificazione della violenza e la fine della pietà;agli altri non resta che la contemplazione della propria natura,personaggi di un mondo feroce e terribile.Questo discorso investe la stessa storia artistica di Eastwood.Comincia con l'interpretare le decostruzioni dell'Eroe per antonomasia,il pistolero western senza nome,Buono per definizione;ma di questo essere dalla parte giusta,nei film di Leone o nel Cavaliere pallido,resta solo la definizione,appunto:i suoi personaggi sono in realtà sbandati,ladri,tagliagole,uomini in fuga.Poi è la volta di Callaghan,altro eroe per antonomasia,che salda malamente la sua psicotica vocazione per la violenza a fallimenti privati e comportamenti antisociali,fino a costruire un personaggio ambiguo che spesso abbiamo frainteso.Fino ad approdare agli ultimi lavori,nei quali questa ambiguità diventa tema esplicito e dominante,chiama in causa la storia americana,distrugge la possibiltà stessa di costruire mitologie e macchia di una luce livida e malata storie,personaggi e valori:gli eroi sono diventati gli spietati.Chris Kyle,apparentemente,non fa parte di questa galleria.La sua coscienza elementare si sviluppa in maniera unilaterale,contenuta entro un perimetro angusto da un'etica del sacrificio e da un patriottismo che ci paiono ottusi,privi di ogni dubbio.Il respiro del cecchino rallenta la realtà,semplifica il mondo che esiste solo per quello che mostra da dietro il cannocchiale del fucile.Fuori da questa visuale così angusta,Kyle non è capace di capire la frenesia con cui le cose si muovono;il mondo,se non è inquadrato in un mirino,gli è del tutto incomprensibile.Dunque,può essere letto solo nell'ottica del duello,perché solo così la giustificazione è nella vittoria.Eastwood nega dunque il suo discorso precedente?Non credo;avverte piuttosto che quel modello è ancora vivo,che è ancora possibile costruire eroi.Di più,si lascia attrarre da questa possibilià,e costruisce un film ingannevole e squilibrato,fondato sulla giustificazione,e poi sull'esaltazione,di un personaggio come Kyle.Tanto sa come andrà a finire:l'America uccide i propri eroi.In quello che forse sarà il capitolo finale di questo discorso,la retorica USA viene riproposta e uccisa,ma non discussa.Il film appare cerebrale;il respiro elementare di Kyle copre l'anima di Kowalski.
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renato c.
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domenica 25 gennaio 2015
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grande clint!!
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Bellissimo!!! Superiore ad ogni aspettativa!! Non mi dilungo oltre. Clint sei grande!!!
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