Prima di andare a vedere il film di Eastwood mi ero informato superficialmente sul cecchino protagonista; mi ero fermato ad una definizione letta digitando Chris Kyle su google, dove era descritto come “il cecchino più letale dell’esercito americano”; non avevo approfondito, né avevo notato che accanto alla data di nascita c’era quella della morte; mi ero fatto ingannare dalle immagini che lo ritraevano, sembravano tutte immagini attuali, e quindi non mi era venuto in mente che potesse essere morto.
Così, il finale è stato difficile da digerire … ormai non me l’aspettavo
Eppure questo finale mi ha fatto riflettere. Un finale beffardo, con cui il grande Clint ha voluto dire qualcosa.
Mi sovviene l’ultima scena, quella in cui Chris scherza con la moglie ed ha una pistola in mano … subito mi sono allarmato, perché, pur non conoscendo la triste fine che attendeva il protagonista, ho visto troppi film per sapere ormai che quando si indugia troppo nel finale vuol dire che qualcosa deve accadere ancora. Chris ha una pistola, è in casa con la sua famiglia e gli pare normale tenere in mano una pistola; poi quando la lascia la posa da una parte, mentre ci sono i suoi figli lì con lui … a me che non sono abituato a vedere armi in luoghi domestici quell’immagine mette agitazione.
In ogni caso l’epilogo è questo: un grande eroe di guerra, sopravvissuto a mille insidie e agguati in Iraq, trova la morte nel suo paese, dove le armi sono inspiegabilmente e inutilmente a disposizione di chiunque. Ci ho visto un attacco al secondo emendamento della Costituzione americana.
Per me quindi American sniper è un film che descrive uno scenario di guerra, l’Iraq, ed uno di pace, che però è contaminato da un’anomalia.
In Iraq la violenza è all’ordine del giorno ed è inevitabile; chi vive là deve farci i conti suo malgrado ed è uno sciagurato perché ha avuto in sorte di vivere in quella parte terribile del mondo; chi vive in occidente e negli Stati Uniti in particolare, è fortunato perché si trova in un posto che al confronto è un paradiso. Dove c’è pace è il paradiso in terra per chi ha visto l’inferno della guerra.
La violenza se non ti viene imposta non devi praticarla, te ne devi tenere alla larga e goderti le gioie quotidiane di una vita serena. La violenza chiama violenza e ti cambia dentro e ti sottrae alle gioie della vita.
È un film che ritrae le atrocità della guerra nei luoghi in cui la guerra si combatte e mostra come non rimanga confinata là soltanto, seguendo chi l’ha vissuta senza smetterla di tormentarlo, anche lasciando segni indelebili nella memoria e nei corpi dei reduci.
È un film che parla anche di patriottismo, senza enfasi; il sentimento patriottico non viene esaltato, è descritto come un sentimento genuino, ma ingenuo. Il patriottismo è celebrato con potenza emotiva solo nel finale, quando la nazione si commuove per la morte del suo eroe.
Non è un film antimilitarista: la dignità, il valore, la buona fede di chi combatte sono valori che vengono rispettati e restituiti allo spettatore, come anche lo spirito di fratellanza tra i militari, l’abnegazione, la fede cieca nella giusta causa. Le scene di guerra sono proposte anche in modo avvincente; la guerra non è demonizzata, ma ancor più efficacemente è descritta in maniere imparziale, spiegata accuratamente, fatta comprendere in tutti i suoi aspetti e certo ne risulta messa a nudo l’atrocità
Le scene di battaglia, curatissime e tecnicamente ineccepibili, costituiscono la parte centrale del film; proprio per via di questa scelta la pellicola, che risulta scorrevole e tiene in allerta lo spettatore, non riesce a coinvolgere emotivamente con la stessa forza trascinante di altre opere del grande autore americano. Solo il finale restituisce tensione.
Uno dei migliori film di guerra che mi ricordi
[+] lascia un commento a paolp78 »
[ - ] lascia un commento a paolp78 »
|