American Sniper |
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Un film di Clint Eastwood.
Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Jake McDorman, Luke Grimes, Navid Negahban.
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Azione,
Ratings: Kids+16,
durata 134 min.
- USA 2015.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 1 gennaio 2015.
MYMONETRO
American Sniper ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Un'operazione di propaganda disonesta
di Andrea AlberiniFeedback: 203 | altri commenti e recensioni di Andrea Alberini |
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domenica 25 gennaio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Sconcertante assistere ad "American Sniper", l’ultima opera di Clint Eastwood. Il racconto filmico è molto netto come è netto lo scopo morale che vuole sostenere, presentato con chiarezza all'inizio. Il protagonista è un "cane da pastore che deve difendere le pecore dai lupi". E Eastwood non usa distacco nel presentare tale posizione ma chiaramente prende le parti del protagonista. Una posizione marcatamente sbilanciata. Inoltre la guerra in Iraq è, falsamente e frettolosamente, descritta, e quindi giustificata, come una lotta al terrorismo. Ma è nota a tutti (o dovrebbe esserlo) la genesi della guerra in Iraq: la ricerca delle armi di distruzione di massa (peraltro rivelatasi un pretesto). E quanto è costata e tutta la violenza e i lutti che gli Americani vi hanno portato senza alcuna legittimità. Tutto questo non compare nel film. Gli iracheni poi vengono sbrigativamente descritti come infidi, dediti al tradimento e a pratiche crudeli; vengono chiamati "bestie" e "selvaggi". Gli Americani sono presentati invece come corretti e onesti. Nessun cenno alla legalizzazione della tortura da parte americana, alla illegalità di Guantanamo, alla vergogna di Abu Grahib, alle macchinazioni, anche maldestre, tentate per giustificare la guerra (come quella dell’uranio nigerino). Questa reticenza è molto disonesta. L'unico elemento di critica offerto nel racconto è rappresentato dal commilitone Mark che dice "il male è dappertutto". Morirà in azione e ai suoi funerali viene letta una sua lettera di forte critica all'occupazione americana, ma il protagonista liquida subito la cosa dicendo, alla propria moglie che cerca di farlo ragionare in modo diverso, che posizioni del genere sono tipiche dei perdenti e dei deboli, che infatti soccombono. Questa sicumera viene incrinata solo alla fine: il protagonista, infatti, muore a causa di un reduce che voleva aiutare a superare il trauma lasciato dalla guerra. Subito dopo c'è l'ultima sequenza: la folla che saluta il passaggio della bara con bandiere e pianti di ragazze. Evocato il viaggio delle salma di Robert Kennedy attraverso l'America; ben altra pasta di uomo. In ultimo la dissolvenza finale dei guanti bianchi che con solennità appongono sulla bara le 160 aquile che rappresentano le vittime fatte dal cecchino. Se tutto questo non è retorica ... Indiscutibile la padronanza del mezzo espressivo, sia per l’aspetto tecnico-militare (efficace la ricostruzione del conflitto in aree urbane) sia per l’abilità narrativa. Quest’ultima porta inevitabilmente ad una identificazione col protagonista che incarna i valori tipicamente maschili di volontà, forza e protezione. A questo proposito, le immagini dell'eroe che tornato a casa aiuta i commilitoni mutilati aiutandoli nel passatempo del tiro a segno sfiora una involontaria comicità, per quanto amara: un'America comunque incapace di smettere di sparare. Un vero peccato per l'autore di "Iwo Jima" e "Gran Torino". Là era capace di calarsi nelle vesti degli avversari con grande apertura e sensibilità. Qui essi sono quasi privi di profilo psicologico, operano muti, in modo meccanico, puri corpi ostili da abbattere. Nessuna analisi delle loro ragioni. Eppure hanno combattuto, con immensa inferiorità di mezzi, contro l'esercito più forte del mondo che aveva invaso il loro paese senza validi motivi. L'abilità artistica di Eastwood nasconde questa evidenza e fa prendere allo spettatore le parti del forte contro il debole. Un'operazione di propaganda disonesta.
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