La prospettiva di un cecchino che non c’è più: il mezzo con cui Clint Eastwood ci mostra la ferita aperta della guerra in Iraq. È lo sguardo di Chris Kyle (Bradley Cooper), Navy Seal della Marina degli Stati Uniti con patente da infallibile sniper (tiratore scelto), capace in sei anni di servizio di uccidere 160 bersagli, 160 vite umane che ad ogni nuova ricarica del fucile lo avvincono in una letale morsa psicologica.
Il vecchio Clint non prende posizione ma lascia a noi decidere che cosa è stato bene o male in quel conflitto in Medioriente: semplicemente ci mette accanto alla storia di Chris Kyle, cresciuto in Texas con un padre che vedeva il mondo tripartito: le indifese pecore; i lupi, che azzannano le pecore; i cani-pastore che difendono le pecore dai lupi. Quel cane-pastore che il piccolo Chris dimostra d’essere già da bambino, quando difende il fratello Jeff dal pestaggio di un bullo.
Ed è proprio un bambino – pronto a gettare una granata addosso ai marines – che finirà nel mirino di Chris Kyle, e sarà il congegno perché noi conosciamo il suo passato: la decisione di trasformare la sua vita da cavalcatore-di-rodeo in servitore della patria con l’arruolamento nel 1999, sospinto dagli attentati alle ambasciate Usa in Tanzania e Kenya del 1998; l’amore e il matrimonio con la fascinosa Taya (Sienna Miller); l’attesa di diventare padre di un bimbo. In venti minuti tutto scorre sospeso nell’aria come il tragitto di un proiettile che da lontano fende l’aria. Quel proiettile che in un attimo ucciderà il bambino-con-la-granata, quel proiettile che per il soldato Chris Kyle sarà il principio di un futuro da “Leggenda”. E la condanna a convivere con gli spettri delle vite spezzate.
Fra macerie di abitazioni assistiamo alle brutture di un conflitto nel quale nessuno è al sicuro, nemmeno gli iracheni, che pagano le confidenze ai soldati americani con le torture del “Macellaio” (Mido Hamada), spietato assassino al servizio di Al Zarqawi e capo del cecchino Mustafa (Sammy Sheikh), il quale combatte a distanza una battaglia personale contro Chris. Questa è la storia vera di un giovane americano entrato nell’esercito del proprio Paese per difenderlo dalle minacce del terrorismo, ma poi incapace di tornare a vivere la propria vita lontano dalla guerra, intrappolato dentro quel mirino da puntare su nemici che si aggirano nelle vie distrutte dalle bombe, sopra i tetti di città decrepite. Un uomo derubato di quell’umanità che tanti troppi veterani faticano a recuperare una volta in patria.
Eppure Chris torna (illeso) negli Stati Uniti, dopo aver colpito il suo ultimo bersaglio, quel Mustafa che aveva seminato morti attraverso la precisa lente di un altro fucile da cecchino. Chris Kyle torna dalla moglie e dai figli, torna per riuscire a guarire dalle conseguenze di una guerra che Clint Eastwood ci ha mostrato con spietata lucidità al ritmo di caricatori che si scaricano su corpi di uomini. Torna a casa dopo aver ucciso 160 persone, torna e cerca di guarire dai fantasmi dell’Iraq (nel 2009 lascerà la Marina); ma nel 2013 proprio un veterano che stava aiutando a dimenticare quei traumi post-bellici lo uccide all’età di soli 38 anni.
Uccide un uomo, che Eastwood ci ha fatto conoscere fra le tracce di carri armati e blindati, fra pallottole che incidono la carne, granate che esplodono, incursioni nelle case di Falluja, Ramadi, Sadr City. Lì dove c’è la storia umana di Chris Kyle, universale paradigma per le conseguenze di una guerra che sta a noi giudicare.
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