American Sniper |
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Un film di Clint Eastwood.
Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Jake McDorman, Luke Grimes.
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Azione,
Ratings: Kids+16,
durata 134 min.
- USA 2015.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 1 gennaio 2015.
MYMONETRO
American Sniper ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Un triste eroe
di ZararFeedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar |
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lunedì 26 gennaio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
C’è un personaggio ricorrente nei film di Clint Eastwood: un individuo che ha in sé qualcosa di autistico, un blocco dentro, che gli rende la realtà intorno estranea, se non ostile. Diffidente, burbero, scomodo, senza illusioni. Non vuole essere infastidito da nessuno e non infastidisce nessuno, ha una sua passione, o una sua ossessione solitaria. Ha bisogno di misurarsi con qualcosa di violento. Non cerca consensi né popolarità. Ad un certo punto succede qualcosa nella sua vita che lo mette alla prova e tira fuori da lui qualcosa che neppure lui saprebbe spiegare, qualcosa che lo spinge ad aprirsi cautamente verso l’altro. Dentro di lui si dilata qualcosa che finalmente è un sentimento, una nuova consapevolezza? Non illudetevi, un destino cinico e baro stroncherà questo inizio di speranza. American Sniper ripropone questa parabola esistenziale. Poco conta che il film sia un biopic che rifà la storia dello sniper Chris Kyle, il texano arruolato nei SEALs (Forze per Operazioni Speciali dei Marines) diventato leggendario per la sua capacità di eliminare cecchini del campo avverso e proteggere così i soldati americani in azione nel corso del conflitto iracheno.Un eroe assai controverso, un tipo che – tanto per dare un’idea - mise un fucile (vero) in mano a suo figlio già a due anni e la cui autobiografia di combattente cristiano contro il male assoluto lascia a dir poco perplessi. Il regista ha trovato in lui una variante di un carattere che da sempre lo interessa e che sa rappresentare come pochi. Il film ha due punti di forza: una rappresentazione potente di una guerra non convenzionale, quella Irachena, un inferno in cui la macchina da presa è l’occhio del cecchino, ha il raggio e la prospettiva di chi è dentro fino al collo ad una gigantesca trappola che consuma i tuoi nervi e ti costringe a un’impassibilità disumana; e insieme è una macchina da presa che, con grande impatto emotivo, letteralmente ti scaglia addosso, facendole precipitare dal fondo della scena verso di te – le azioni più cieche e violente – ‘trascinandoti dentro’, a sottolineare che nessuno può chiamarsi fuori da una guerra simile. E in questo contesto sa disegnare con asciuttezza, impassibilità e anche onestà il suo Kyle, l’eroe dei 120 nemici uccisi in azione, donne e bambini inclusi: rigido, non particolarmente simpatico, non accattivante; non cinico (il che gli darebbe una sorta di consapevolezza che non ha), a suo modo retto, ma manicheo ed elementare nel costruirsi un obiettivo accettabile di vita intorno ad un fucile, senza sfumature, senza dubbi, incapace di una visione critica che vada al di là della sua percezione istintiva. Non è difficile capire che è proprio una guerra atroce come tutte le guerre la situazione che può fare di lui un eroe. Quando un malessere più forte di lui, mai veramente elaborato, lo riporterà faticosamente nella normalità, tutto quello che il destino gli riserverà sarà la morte, una morte che avrà l’aspetto di una negazione beffarda di quell’unico principio a cui ha ancorato tutto: proteggere quelli della sua parte. E’ comprensibile, ma riduttivo, che questo film sia stato da molti esaltato o – all’opposto – criticato, su basi ideologiche. Sarebbe “di destra”. La visione di Eastwood è insieme più ristretta e più ampia. Ha a che fare con la difficoltà di vivere e di dare un senso a quello che si è e si fa quando si incardina in un dramma più largo che credi di dominare, ma in realtà finisce con il distruggerti.
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