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Storia "poconormale" del cinema: puntata 71

Una rilettura non convenzionale del cinema secondo Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Sequenze e modelli

venerdì 2 luglio 2010 - Focus

Sequenze e modelli
Nessuna canzone identifica un film, e identifica il cinema più di "As Time Goes By", cantata da Dooly Wilson in Casablanca. Il suo è un destino infinito: anche recentemente "As Time" ha mandato il suo segnale di eredità vivente e spendibile, portando Casablanca (1942) a vincere il sondaggio della più bella storia d'amore di ogni tempo, davanti a West Side Story e a Via col vento. La canzone ci ricorda il tempo che passa, che un bacio è solo un bacio, che uno sguardo è solo uno sguardo, ma poi ci pensa il tempo a scremare l'essenziale. Ecco, "essenziale" è la parola chiave.

Trasversali
Ci sono immagini, sequenze, modelli del cinema, che emergono, sono nati, si sono imposti e resistono. Sono trasversali nel tempo. Fanno parte di un'estetica, e di una grafica, che ci appartiene. Parte della nostra antropologia, lo dico in quella chiave naturalmente, la dobbiamo a quelle immagini e a quei modelli. E anche parte, nel conscio o nell'inconscio, del nostro comportamento. Ho già analizzato più volte questi temi, concludendo spesso col concetto del "non misurabile".
Ho recentemente ricordato il testamento di Woody Allen in Manhattan, "val la pena di vivere per". Il cinema è certo una cosa seria, ma non così seria. Val la pena di vivere è un'iperbole, può essere aggiustata così: val la pena di aver visto, nel disordine, anche quello trasversale, richiamato dalla memoria immediata: Fred Astaire e Ginger Rogers, Avatar, Nosferatu (Murnau), Harry Potter, Rocky/Rambo, Jack Sparrow, Max Von Sidow che gioca a scacchi con la morte, le bighe di Ben Hur, Travolta e la Febbre del sabato sera, le icone warholiane Brando-Dean-Monroe-Taylor, Wayne nel riquadro della porta, i pianeti di 2001, Chaplin fra gli ingranaggi, Nicholson fra i matti, Cary Grant appeso a Lincoln sul monte Rushmore, Gene Kelly in sotto la pioggia, l'eroe Shane, Lawrence nel deserto, De Niro sul ring, Newman al biliardo, Jean Gabin del Fronte popolare, La mamma di Almodovar, Robin Hood/Flynn e Crowe gladiatore, Laurel&Hardy che raccolgono la spazzatura, Maggiorani ladro di biciclette, Rita&Gilda, il Rex di Amarcord e Il signore degli anelli, il Titanic e Gassman/Brancaleone, Jeff Bridges e John Goodman e le ceneri sperse nel Grande Lebowski. E (non molte) altre sequenze. E, naturalmente Casablanca.

Migliori
Ci sono senz'altro decine, magari centinaia, di film "migliori" (nell'impegno, nella qualità, nella scrittura, anche nell'immagine e nell'estetica dette sopra) di Casablanca. Ma il film di Curtiz, con Bogart e Bergman possiede quel sortilegio non misurabile, appunto, che fa parte del cinema. Una cifra indefinibile magari figlia della fortuna, nel caso di Casablanca è anche la "fortuna" dei caratteristi, l'antinazista Henreid, il giocatore maledetto Lorre, il faccendiere grasso Greenstreet, il poliziotto furbo Rains. E poi quella ricostruzione inverosimile, in studio, un trucco talmente scoperto da essere più affascinante della città vera. E poi la storia d'amore, struggente, loro che si erano innamorati, poi separati, poi ritrovati, lei sposata a un altro ma sempre innamorata, e poi il grande Rick che rinuncia all'amore in nome del principio e del coraggio. Bogart/Rick, l'eroe doppio. E la Patria, coi francesi "occupati", che cantano anzi urlano la Marsigliese davanti ai tedeschi. Infine le eliche nella nebbia, il bacio casto dei divi, Dooley al piano, l'avventuriero e il poliziotto che, alla fine vivranno "una bella amicizia".

Saw e Draquila
Casablanca è un altro mondo, un'altra lingua, altri sentimenti, altro tutto rispetto al cinema contemporaneo. Non so se il target di Saw o di Draquila, incappando sul piccolo schermo nel film di Curtiz, si tratterrebbe più di qualche secondo. Probabilmente no. Ma, davvero, andrebbe fatto.
Qualità, aria fresca e deterrente.
Nel grande cartello inserisco un'ultima scheda, doppia. Woody Allen con Bogart, impermeabile e cappello, sopra di lui. Il piccolo ebreo perdente e a disagio, lo schlemiel (la traduzione più appropriata del lemma ebraico è una parola pessima, ma è quella: lo sfigato) che prende l'eroe a modello di tutto, in Provaci ancora Sam.
Il tutto desunto da quel fotogramma in bianco e nero, Humphrey e Ingrid, abbracciati come tanti si abbracciavano. Ma l'"essenziale" non appartiene ai tanti.

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