catcarlo
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mercoledì 4 febbraio 2015
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american sniper
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In guerra, il cecchino è il combattente più odiato: un sentimento diffuso fra i soldati di ogni latitudine e credo che considerano la sua figura – pressappoco – come quella di un vigliacco che si nasconde e colpisce a tradimento. Pur conoscendone le idee politiche, ci si chiede perciò quali motivazioni abbiano portato lo zio Clint a buttarsi in un ginepraio ideologico simile dove – semplificando un po’ – il cecchino a stelle e strisce del titolo non è un figlio di buona donna (e, anche se lo fosse, sarebbe sempre il ‘nostro’ figlio di buona donna) mentre quello nemico, incarnato dal siriano ex campione olimpico Mustafà (Sammy Sheik), si attaglia perfettamente alla descrizione del ruolo.
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In guerra, il cecchino è il combattente più odiato: un sentimento diffuso fra i soldati di ogni latitudine e credo che considerano la sua figura – pressappoco – come quella di un vigliacco che si nasconde e colpisce a tradimento. Pur conoscendone le idee politiche, ci si chiede perciò quali motivazioni abbiano portato lo zio Clint a buttarsi in un ginepraio ideologico simile dove – semplificando un po’ – il cecchino a stelle e strisce del titolo non è un figlio di buona donna (e, anche se lo fosse, sarebbe sempre il ‘nostro’ figlio di buona donna) mentre quello nemico, incarnato dal siriano ex campione olimpico Mustafà (Sammy Sheik), si attaglia perfettamente alla descrizione del ruolo. E’ una delle ambiguità più evidenti di un film che non è certo tutto teso a glorificare l’interventismo statunitense, ma che a volte sembra alla ricerca di un impossibile equilibrio dando un colpo al cerchio e uno alla botte: da una parte c’è un nemico brutto, sporco e cattivo (oltre che spersonalizzato) a confronto dei ‘nostri ragazzi’ sempre pieni di etica guerriera se non di buone maniere, dall’altro si delinea l’idea sottesa che si tratti comunque di una guerra inutile e sbagliata che lascia pesanti segni sulla psiche una volta ritornati a casa - oltre che sui poveri iracheni, ma loro non contano. Una considerazione, quella riguardo alla guerra, che fa capolino solo a tratti nella sceneggiatura che Jason Hall ha tratto dalle memorie di Chris Kyle, il Navy Seal che è stato il più letale fra i cecchini della guerra in Iraq con uno sproposito di uccisioni certificate, oltre duecento: un texano dagli occhi di ghiaccio allevato da un padre solito a suddividere l’umanità fra leoni e pecore (Ben Reed in una scena terribile) e che imbraccia il fucile dopo l’attentato alle Torri Gemelle per andare ad ammazzare gente che con il 9/11 non c’entra nulla. Un uomo tutto d’un pezzo nel senso deteriore dell’espressione, dal fisico massiccio (Bradley Cooper per interpretarlo ha dovuto metter su venti chili di muscoli perdendo però più di qualcosa in espressività) e dalla feroce convinzione di essere sempre nel giusto, tanto da sostenere che i suoi centri sono stati tutti motivati, di solito come azione di copertura a truppe in azione sul terreno. Salvo poi fare colossali stupidaggini che costano non poche vite, compreso il momento clou della sfida a lunga distanza, due chilometri, con Mustafà (una licenza poetica, tra l’altro): il colpo che decide quella che è una trasposizione di un duello western – la scelta di seguire la pallottola in volo è una delle poche scelte di regia infelici – finisce per segnalare la posizione dell’intero reparto al nemico e uscire dalla trappola non sarà indolore. Ciò che il protagonista pensa della guerra è definito dall’incontro con il frattello Jeff (Keir O’Donnell) che sta tornando a casa e usa parole dure su quello che ha passato: Chris gli appioppa uno sguardo senza espressione – in fondo, Jeff è una pecora – per poi voltare le spalle e dirigersi verso il suo quarto turno al fronte. Turni che lasciano pesanti segni anche durante i ritorni a casa, tra figli quasi dimenticati e moglie (Sienna Miller) più di una volta dubbiosa (ma poi sempre pronta a tornare all’ovile): la sindrome post-traumatica fa capolino qua e là, ma l’essere considerato né più né meno che un eroe aiuta a sopportarla. La morte di Kyle per mano di un reduce che stava cercando di aiutare è una sorta di nemesi che dimostra che, a volte, la realtà sa essere più significativa della fantasia: in ogni caso, le scene del funerale fissano ancora una volta un altro aspetto che il resto della narrazione ha comunque già più che abbozzato e cioè che, nel grande paese di provincia che sta tra le sponde dei due oceani, è radicatissima la mentalità manichea, con cui Kyle è cresciuto e secondo la quale ha sempre vissuto, in cui gli Stati Uniti sono il centro attorno a cui gira il resto del mondo e stanno per definizione dalla parte giusta. Le sottolineature e le contraddizioni fanno sì che la pellicola non sia quel monolite di propaganda che alcuni hanno voluto vedere, ma da qui ad affermare che si tratti di ‘un film contro la guerra’ (Eastwood dixit) ce ne passa: però è indiscutibile che qualche dubbio riesca a seminarlo evitando anche di far ‘scatenare l’inferno’ da parte di Kyle senior, come promesso in caso di mancanza di rispetto nei confronti della memoria del figlio. Dal punto di vista del racconto in se stesso, invece, c’è ben poco da dire, perché, a quasi ottantacinque anni, Clint dirige ancora con l’energia di un giovanotto, tenendo alto il ritmo nelle scene di combattimento altrimenti a rischio di ripetitività e poi cambiando decisamente registro nei momenti più intimi o toccanti, così che le oltre due ore di durata quasi non si avvertono: se l’Eastwood migliore sta di certo altrove, qui l’esperienza e i trucchi del mestiere gli consentono di portare comunque a casa il risultato di un buon filmone in fondo senza sbavature (almeno dal punto di vista cinematografico).
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vincenzo79
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martedì 10 febbraio 2015
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eroe in guerra, eroe nella vita.
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Un film capolavoro che racconta la storia in guerra ed in patria di un uomo che combatte ogni giorno per la libertà e la difesa del proprio Paese. Una storia che Clint Eastwood racconta in maniera eccezionale mostrando al mondo la verità dei conflitti e del post-guerra. Chris Kyle Texano di origine decide di arruolarsi nei Navy Seal e partecipa alle campagne in Iraq come tiratore scelto pronto a sacrificare la vita per la Patria. Storia divisa tra Iraq ed America dove Kyle ha famiglia. Storia che vede un Seals aiutare i reduci di guerra in Patria e morire per mano di un ex Marines affetto da stress post-traumatico. Un grande Bradley Cooper che esprime al meglio il personaggio che interpreta rendendo il film un Vero Capolavoro.
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Un film capolavoro che racconta la storia in guerra ed in patria di un uomo che combatte ogni giorno per la libertà e la difesa del proprio Paese. Una storia che Clint Eastwood racconta in maniera eccezionale mostrando al mondo la verità dei conflitti e del post-guerra. Chris Kyle Texano di origine decide di arruolarsi nei Navy Seal e partecipa alle campagne in Iraq come tiratore scelto pronto a sacrificare la vita per la Patria. Storia divisa tra Iraq ed America dove Kyle ha famiglia. Storia che vede un Seals aiutare i reduci di guerra in Patria e morire per mano di un ex Marines affetto da stress post-traumatico. Un grande Bradley Cooper che esprime al meglio il personaggio che interpreta rendendo il film un Vero Capolavoro.
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lore64
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lunedì 23 marzo 2015
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due ore di idiozia
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Si tratta di una ripugnante americanata priva di qualsiasi aggancio alla realtà, fatta per portare il gregge nelle sale secondando la bigotteria nazionalistica della plebe più grossolana del mondo, quella statunitense. Mi limiterò ad accennare i difetti principali:
1) il protagonista è interamente deformato rispetto al libro: il Kyle reale si trovava a proprio agio nel ruolo di mercenario, quello cinematrografico viene romanzato affibbiandogli una serie di disagi psicologici inventati di sana pianta, abbastanza puerili da risultare comprensibili allo spettatore medio. Lo scopo è quello di fare un drammone popolare sulla falsariga di Rambo (film sul medesimo livello di serietà ed intelligenza): l'eroe afflitto ripudiato dalla patria ingrata (e via scretinando).
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Si tratta di una ripugnante americanata priva di qualsiasi aggancio alla realtà, fatta per portare il gregge nelle sale secondando la bigotteria nazionalistica della plebe più grossolana del mondo, quella statunitense. Mi limiterò ad accennare i difetti principali:
1) il protagonista è interamente deformato rispetto al libro: il Kyle reale si trovava a proprio agio nel ruolo di mercenario, quello cinematrografico viene romanzato affibbiandogli una serie di disagi psicologici inventati di sana pianta, abbastanza puerili da risultare comprensibili allo spettatore medio. Lo scopo è quello di fare un drammone popolare sulla falsariga di Rambo (film sul medesimo livello di serietà ed intelligenza): l'eroe afflitto ripudiato dalla patria ingrata (e via scretinando).
2) L'azione militare NON HA IL MINIMO E PIU' LONTANO AGGANCIO CON LA REALTA'. Un soldato che telefonasse alla moglie mentre si trova in combattimento - foss'anche un generale a 3 stelle - finirebbe dritto dinanzi alla corte marziale. Certamente non potrebbe farlo dal suo telefono da campo, a meno di non subornare il comando reggimentale. L'idea che un cecchino abbandoni a piacere la propria postazione per unirsi alle perquisizioni ha la stessa verosimiglianza che se ne vada in giro a comprarsi un gelato. Ancora più assurda l'idea che conduca personalmente gli interrogatori, effettuati in esclusiva da sottufficiali appositamente addestrati. La ricerca di singoli capi guerriglieri viene deliberata a livello di armata o di divisione e quindi trasmessa alle unità subordinate: l'idea che un ufficiale dica a una ventina di soldati "trovatemi questa persona" va bene nei film dell'ispettore Coliandro, ma è tanto assurda quanto il fatto che a Kyle e sempre a lui capiti infallibilmente di trovarsi sulle tracce del medesimo ricercato. Completamente inverosimile il duello fra cecchini, tratto di peso da "Il nemico alle porte".
3) Per giustificare moralmente l'azione di Kyle, il regista ha la disonestà di mettere in mano a ogni iracheno ucciso un'arma, quando nel libro è specificato che KYLE AVEVA L'ORDINE DI SPARARE AUTOMATICAMENTE A OGNI ESSERE UMANO DI SESSO MASCHILE IN ETA' DI COMBATTERE, ARMATO O MENO. Non parliamo delle truculenze attribuite alla Resistenza irachena fra gente torturata col trapano, teste mozzate e conservate sugli scaffali ecc. La resistenza all'invasione statunitense fu condotta in gran parte da militari dello sconfitto esercito iracheno entrati in clandestinità: gente corretta che non si sarebbe mai sognata di perpetrare crimini del genere. Solo i militanti islamici radicali - quelli che finché scuoivano e castravano 18enni sovietici in Afghanistan erano diventati gli eroi dell'iconografia occidentale - compivano atrocità. Poca cosa del resto rispetto alle centinaia di civili inermi trasformati in torce umane dalle bombe al fosforo illegalmente adoprate dalle truppe statunitensi a Falluja (quelle però Eastwood non le mette in scena).
4) Il regista non ha ritegno di sbattere in prima pagina scene patetiche di inconcepibile grossolanità, stile quella del reduce salvato da Kyle che dice al figlio che suo padre è un eroe. Ci mancava solo la scritta intermittente "si prega il pubblico in sala di farsi un piantino".
Il fatto che si tratti di un film stupido quanto volgare è d'altronde plasticamente confermato dal fatto che al gregge piace e fa cassetta. Un'enorme caduta di stile, o meglio, una perfetta incarnazione della cinematografia statunitense.
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angelo franco giordi
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martedì 5 maggio 2015
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se pensi che questa guerra non ti cambi, ti sbagli
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Ci troviamo prima e dopo l'11 settembre, nei cieli di un'America spossata, in volo verso il miraggio di un delirio universale. Settimane di disastri, mille giorni di guerra e una sola leggenda.
Chris Kyle è cresciuto con qualche storiella di troppo per la testa. Quando era piccolo suo padre gli raccontava che le persone si distinguono in tre tipi, le pecore, i lupi e i cani da pastore. Le pecore pensano che il male non esista e non sono in grado di proteggersi. I lupi usano la violenza per sopraffare i deboli, mentre i cani da pastore sono quelli a cui Dio ha donato la capacità di aggredire e il bisogno incontenibile di difendere un gregge.
"Hai sempre voluto fare il soldato? O, no, volevo fare il Cowboy"
La leggenda è il patriottismo delirante di un uomo privo di grandi interrogativi.
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Ci troviamo prima e dopo l'11 settembre, nei cieli di un'America spossata, in volo verso il miraggio di un delirio universale. Settimane di disastri, mille giorni di guerra e una sola leggenda.
Chris Kyle è cresciuto con qualche storiella di troppo per la testa. Quando era piccolo suo padre gli raccontava che le persone si distinguono in tre tipi, le pecore, i lupi e i cani da pastore. Le pecore pensano che il male non esista e non sono in grado di proteggersi. I lupi usano la violenza per sopraffare i deboli, mentre i cani da pastore sono quelli a cui Dio ha donato la capacità di aggredire e il bisogno incontenibile di difendere un gregge.
"Hai sempre voluto fare il soldato? O, no, volevo fare il Cowboy"
La leggenda è il patriottismo delirante di un uomo privo di grandi interrogativi. Un cecchino intuitivo, preciso e freddo. Di certo non lo giudicherò. Sta sul fronte per difendere l'umanità nel cuor suo. Sua moglie è disperata, incinta, preoccupata, lo chiama sul fronte in preda a bizzarri picchi ormonali. Lui in Iraq uccide 160 persone per via di quella storia sulle pecorelle raccontatagli dal padre.
"Sono pronto a rispondere di ogni sparo davanti al Creatore"
Tra i suoi colleghi di guerra mi piace ricordare il cecchino che compra il brillante di fidanzamento per la sua ragazza americana, in Iraq, perché costa meno.
Mi piace anche ricordare il cecchino nero che si presenta a un comandate dicendo: "Sono un nero nuovo modello, corro piano, salto poco, nuoto bene, vesto Gap, rendo orgogliosi i bianchi quando mi sbatto le loro donne, si, io me le sbatto".
Fastidiosa la tempesta di sabbia, non mi esprimo sul finale.
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ruggero
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giovedì 14 maggio 2015
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deluso
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Dopo aver visto quel capolavoro di Kathryn Bigelow dal titolo Hurt Locker da cui evidentemente Eastwood ha preso ispirazione,non posso che constatare che in American Sniper manca la drammaticità che il testosterone della Bigelow ha seminato lungo tutto lo svolgemento del film condendolo di scene che ben descrivono gli orrori a cui questi soldati vengono mandati incontro in un paese totalmente ostile.Non é un brutto film,ma manca di colpi di scena e tutto sembra divenire aspettato e scontato.Il buon Eastwood mostra segni di stanchezza ed é giusto così.
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elgatoloco
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martedì 1 marzo 2016
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film che si salva dagli equivoci interpretativi
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"American Sniper", direi, si salva dai pre-giudizi e dalle errate interpretazioni, quali""film militarista", "chauvinista", "imperialista", in quanto Eastwood sceglie di tradurre cinematograficamente l'autobiografia di Chris Kyle e non"prende posizione"rispetto a tale testo(pre-testo vero, dunque, del film), mantenendo un'oggettività rappresentativa(fenomenologica)che non è in alcun modo"neutralità"(del resto impossibile); ne rappresenta, con attenzione in primis visiva, id est alle immagini, stati d'animo, passioni, convinzioni ideali(certo"discutibili", nell'accezione letterale del termine), ma anche turbamenti, dubbi(nella parte finale, quando il"cecchinaggio"di"Legend"provoca, involontariamente, pesanti rappresaglie.
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"American Sniper", direi, si salva dai pre-giudizi e dalle errate interpretazioni, quali""film militarista", "chauvinista", "imperialista", in quanto Eastwood sceglie di tradurre cinematograficamente l'autobiografia di Chris Kyle e non"prende posizione"rispetto a tale testo(pre-testo vero, dunque, del film), mantenendo un'oggettività rappresentativa(fenomenologica)che non è in alcun modo"neutralità"(del resto impossibile); ne rappresenta, con attenzione in primis visiva, id est alle immagini, stati d'animo, passioni, convinzioni ideali(certo"discutibili", nell'accezione letterale del termine), ma anche turbamenti, dubbi(nella parte finale, quando il"cecchinaggio"di"Legend"provoca, involontariamente, pesanti rappresaglie...), la crisi. Non un film apologetico delle azioni USA in Iraq, dunque, ma un film, appunto che ridà brani di storia, anche privata, di Kyle e quindi anche frames della Storia oggettivamente intesa. Ma lo sguardo del cinema di Clint Eastwood(che potremmo intendere come lo sguardo del cinema tout court, con varie riserve di non poche persone)è uno sguardo che non elimina, non"censura", ma accoglie una complessità che vuol rendere conto di una situazione, che"è nelle cose"..Sequenze"belliche"(meglio di cecchinaggio)e private si alternano efficacemente, odve la chiave drammatica del film non avrebbe avuto senso se fosse stata interrotta da inutili siparietti comici e/o di altro tipo(misto, diremmo)in quanto, invece, il dramma(con punte tragiche)caratterizza le guerre, i loro epifenomeni e il loro contesto. Interpreti più che semplicemente"in parte", con l'impressione(solo impressione, come noto)che "non recitino"... Ma è la vecchai querelle da Diderot("Paradosso sull'attore")in qua... El Gato
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annalisarco
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domenica 19 marzo 2017
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infallibile eastwood
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Un Clint Eastwood la cui regia raggiunge livelli molto alti in questo film che racconta la storia di ChrisKyle, cecchino dell’esercito americano realmente esistito e già noto prima di questa pellicola per la sua mira impeccabile.
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Un Clint Eastwood la cui regia raggiunge livelli molto alti in questo film che racconta la storia di ChrisKyle, cecchino dell’esercito americano realmente esistito e già noto prima di questa pellicola per la sua mira impeccabile. Non è facile raccontare una storia che sia un mix tra dramma, guerra, biografia, con un tema delicato come quello della morte. Perché seppur eroico, Kyle è un assassino, un militare con il compito di uccidere a sangue freddo qualunque nemico si appresti a insidiare l’esercito americano. Non ci sono cattivi e buoni, non ci sono eroi, non ci sono azioni moralmente giuste e sbagliate, c’è solo la realtà crudele e insensata della guerra. Bradley Cooper è semplicemente fantastico, riesce soltanto attraverso il suo sguardo a catapultarci nel suo stato d’animo : rabbia, paura, orgoglio, fierezza, disprezzo, consapevolezza del non essere nel giusto ma neanche nel torto. Uccidere un bambino non è giusto, non può mai esserlo, e questa esperienza è il punto cruciale nella vita di Kyle, è il suo primo sparo su un bersaglio vivo, il suo primo morto sulla coscenza e di certo non è quello che si aspettava. Mesi di addestramento e di tiri al berasglio non sono minimamente comparabili al campo e niente può prepararti davvero. Quei rumori, quegli scenari, quelle urla, rimarranno sempre nella testa del cecchino che, come spesso accade, non riesce a tornare indietro se non fisicamente. Il ritorno alla vita ordinaria non potrà che essere segnato da quello a cui è venuto a conoscenza: la guerra. Si sa che nel mondo c’è anche questo, ma viverlo e tutt’altro. Sapere che la gente muore mentre noi viviamo le nostre vite, circondati giornalmente dai nostri problemi falsamente importanti, non è qualcosa che Kyle può accettare. Eppure le nostre àncore di salvezza sono sempre le persone che amiamo: Taya (Sienna Miller), la sua bellissima e coraggiosa moglie, i loro bambini. Una storia che trascina lo spettatore avanti e indietro in due realtá, una familiare e una paradossale, ma entrambe reali. Eastwood e Cooper riescono a farci entrare nella testa di Kyle, nel suo cambiamento interiore, a mostrarci quanto più grande sia il mondo là fuori e quanto inutili e allo stesso tempo importanti siano le piccolezze di ogni giorno. Tutto è relativo: la guerra, falsamente doverosa ma in realtà insensata; la quotidianità, una piccolezza apparente ma la più grande ricchezza quando la perdi; la famiglia, l’unica cosa che conta. Molte delle nostre scelte avvengono per una ragione, spesso dimenticata, e questo è ciò che ci racconta Eastwood con una breve escursione nell’infanzia di Kyle :”Ci sono tre tipi di persone: le pecore, i lupi e i cani da pastore”. Questa frase del padre di Chris pronunciata davanti ai figli piccoli, è stata l’inizio di tutto. Le pecore e i lupi non sono ammessi nella loro famiglia, non si deve aver paura nè tantomeno essere aggressivi; si deve proteggere il gregge, si deve essere il cane disposto a dare la sua vita per gli altri, bandito l’egoismo. E questo è quello che Chris vuole, difendere anche con la vita il proprio paese. Una fedeltà ai valori con cui è cresciuto che però non rendono meno grave il togliere delle vite, e Chris lo sa bene. Non si considera un eroe, non è fiero di quello che fa, l’unica cosa che lo spinge a continuare è il sapere che, in quelle circostanze, lui è il cane da pastore. Una fotografia spenta e adatta alla storia, sequenze alternate da un ritmo veloce per la quotidianità famigliare e lento per il racconto sul campo. Quelle ore su un tetto a scrutare invisibile le persone dentro ad un mirino, senza poter fare distinzione tra loro perché in quel momento sono semplicemente possibili bersagli. Chi c’era dietro a quella figura? Era un padre di famiglia? Una madre? Ormai è solo un corpo morto, perché è questo il destino riservato a chi, anche per un momento, ha scelto di togliere delle vite all’esercito americano. Ma quell’apparentemente semplice gesto del dito di Kyle è il responsabile della fine di una vita e dell’inizio di un tormento interiore, sempre. Orgoglio, giustizia, orrore, consapevolezza; tutto è mischiato, tutto scorre lento e veloce, paradossale e reale. American Sniper non si schiera, non ha la presunzione di dire ciò che gli americani fanno sia giusto, si limita a raccontare una storia e lo fa nel modo migliore.
Altre recensioni su:
www.annalisarcoblog.wordpress.com
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marcellodangelo1979
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domenica 4 gennaio 2015
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direi ...più che riuscito.
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La Fotografia e i riferimenti storici sono come sempre impeccabili .
Non si tratta di "Gran Torino" ma lo considero uno dei suoi film più riusciti.
La fine non poteva essere diversa dalla morale che ne viene fuori :
La guerra uccide in battaglia ma i segni più evidenti si toccano quando si ritorna a casa.
È comprovato che l'addestramento di certi corpi speciali porta seri squilibri psicologici ..
Dovremmo riflettere su questo e su come una "leggenda "americana non corrisponda ad un "macellaio" afgano,
In fin dei conti sparano entrambi .
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La Fotografia e i riferimenti storici sono come sempre impeccabili .
Non si tratta di "Gran Torino" ma lo considero uno dei suoi film più riusciti.
La fine non poteva essere diversa dalla morale che ne viene fuori :
La guerra uccide in battaglia ma i segni più evidenti si toccano quando si ritorna a casa.
È comprovato che l'addestramento di certi corpi speciali porta seri squilibri psicologici ..
Dovremmo riflettere su questo e su come una "leggenda "americana non corrisponda ad un "macellaio" afgano,
In fin dei conti sparano entrambi ....
Non ci sono guerre giuste o sbagliate.
Ottimo Cooper, si conferma poliedrico...
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tatiana micaela truffa
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mercoledì 7 gennaio 2015
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"la guera è guera"
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Il vecchio leone Clint Eastwood non sbaglia un colpo, e con American Sniper ci regala uno staordinario spaccato di vita in un equilibrio tanto perfetto quanto precario fra luci ed ombre, giusto e sbagliato.
Affidandosi all'abile recitazione di Bradley Cooper, ci fa vedere la vita attraverso gli occhi di Chris Kyle: prima bambino, alle prese con gli insegnamenti "militari" del padre e con un fratellino da proteggere; poi cowboy bonaccione, ed infine militare, a servizio della patria, a difesa dei commilitoni.
Filo conduttore dell'intera vita di Chris Kyle, è un profondo ed integerrimo senso della giustizia, che, unito ad una straordinaria precisione nello sparare, ed anche ad una spiccata abilità nelle strategia di guerra - oltre al coraggio inflessibile di chi persegue un ideale - lo porta a conquistarsi il nome di leggenda, come cecchino, all'interno del corpo militare statunitense.
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Il vecchio leone Clint Eastwood non sbaglia un colpo, e con American Sniper ci regala uno staordinario spaccato di vita in un equilibrio tanto perfetto quanto precario fra luci ed ombre, giusto e sbagliato.
Affidandosi all'abile recitazione di Bradley Cooper, ci fa vedere la vita attraverso gli occhi di Chris Kyle: prima bambino, alle prese con gli insegnamenti "militari" del padre e con un fratellino da proteggere; poi cowboy bonaccione, ed infine militare, a servizio della patria, a difesa dei commilitoni.
Filo conduttore dell'intera vita di Chris Kyle, è un profondo ed integerrimo senso della giustizia, che, unito ad una straordinaria precisione nello sparare, ed anche ad una spiccata abilità nelle strategia di guerra - oltre al coraggio inflessibile di chi persegue un ideale - lo porta a conquistarsi il nome di leggenda, come cecchino, all'interno del corpo militare statunitense.
Attraverso i suoi occhi di cecchino, vediamo la spietatezza, l'orrore, l'errore della guerra; pare quasi di sentire l'odore del sangue dei morti, sparo dopo sparo.
Ma all'interno di quest'errore/orrore, uccidere diventa l'unica giustizia possibile.
Così il soldato Kyle, tornando a casa non riesce a tornare alla vita normale, l'orrore della guerra l'ha ormai dilaniato per sempre; e gli sembra impossibile vivere e sorridere come se niente fosse, mentre altre persone - ma soprattutto altri commilitoni, a difesa della patria, stanno morendo.
Si esce dal cinema con una lacrimuccia di commozione, ed un filo esaltati. Felici di aver visto un capolavoro.
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nostromo23
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giovedì 8 gennaio 2015
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la guerra e l'essere umano
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Kyle (Bradley Cooper) è un cowboy texano dalla pinta di birra facile, assiduo frequentatore di rodei e figlio di una famiglia tipica del Sud. Osserva per la prima volta l'orrore della guerra da uno schermo, decide di partire e affrontare quel mostro. La patria lo ha chiamato per la difesa dei suoi valori, Kyle ha un fine.
Premere il grilletto, per la prima volta, ti svergina. Un bambino porta un granata verso il convoglio dei Marines. Corre verso di essi e Kyle spara, contro quell'oggetto di morte. Il proiettile trapassa la carne del ragazzo, come il suo cervello. Quel ragazzino voleva veramente uccidere? I bossoli tintinnano davanti ancora a quello schermo, ma ora è spento, come la sua vita.
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Kyle (Bradley Cooper) è un cowboy texano dalla pinta di birra facile, assiduo frequentatore di rodei e figlio di una famiglia tipica del Sud. Osserva per la prima volta l'orrore della guerra da uno schermo, decide di partire e affrontare quel mostro. La patria lo ha chiamato per la difesa dei suoi valori, Kyle ha un fine.
Premere il grilletto, per la prima volta, ti svergina. Un bambino porta un granata verso il convoglio dei Marines. Corre verso di essi e Kyle spara, contro quell'oggetto di morte. Il proiettile trapassa la carne del ragazzo, come il suo cervello. Quel ragazzino voleva veramente uccidere? I bossoli tintinnano davanti ancora a quello schermo, ma ora è spento, come la sua vita. Ha dimenticato tutto, i figli, la moglie, persino se stesso. Si nasconde dietro i propri compagni, la sua nemesi Siriana, e infine nella speranza di ricominciare. Kyle non sa più a cosa aggrapparsi, perchè ha visto in faccia il nulla, l'insensato. La guerra non lo lascia, e lo uccide per mano di un suo fratello, malato come lui. L'ideologia nasce, cresce e miete; in una infinita spirale di insensatezza, verso il vuoto assoluto dell'essere umano. Eppure migliaia di persone lo salutano, lo omaggiano, per aver contribuito a tutto questo. 160 uomini... mai numeri furono più vuoti, ma la leggenda vive. Paradosso dei nostri tempi e macigno sulle nostre coscienze.
Eastwood firma una pellicola stomachevole e vera, sull'assurdità dei nostri tempi e delle nostre convinzioni. Il maestro del cinema di guerra, non ci delude neanche questa volta. Bradley Cooper sontuoso e toccante, per un film che apre, con buoni propositi, l'anno nuovo.
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