iuriv
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lunedì 21 settembre 2015
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l'infallibile kyle.
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Clint ci racconta la storia di Chris Kyle, il cecchino più efficace durante la seconda guerra del golfo. Lo fa alla sua maniera, cercando di spogliare il suo protagonista dalla mitologia dell'eroe e riportandolo alla cruda quotidianità.
Come spesso accade quando gira film biografici, Eastwood non risparmia allo spettatore la fase di presentazione, in cui segue Kyle nella sua formazione da cowboy texano. L'intento del regista è quello di fornire un'immagine chiara del personaggio, per contrastare da subito quella eroica che l'americano medio ha di lui.
E' una scelta che conduce alle intenzioni di Clint, il quale vuole mettere bene in chiaro la sua idea di guerra e il suo pensiero sulle distorsioni patriottiche che questa provoca nelle persone.
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Clint ci racconta la storia di Chris Kyle, il cecchino più efficace durante la seconda guerra del golfo. Lo fa alla sua maniera, cercando di spogliare il suo protagonista dalla mitologia dell'eroe e riportandolo alla cruda quotidianità.
Come spesso accade quando gira film biografici, Eastwood non risparmia allo spettatore la fase di presentazione, in cui segue Kyle nella sua formazione da cowboy texano. L'intento del regista è quello di fornire un'immagine chiara del personaggio, per contrastare da subito quella eroica che l'americano medio ha di lui.
E' una scelta che conduce alle intenzioni di Clint, il quale vuole mettere bene in chiaro la sua idea di guerra e il suo pensiero sulle distorsioni patriottiche che questa provoca nelle persone.
Quindi il regista decide di azzerare tensione e ritmo, mantenendo tutto su livelli bassi, evitando di distrarre lo spettatore con scene di azione esasperate o momenti di attesa troppo tesi. Persino il duello tra cecchini, che Kyle intraprende con Mustafà, è tenuto quasi sullo sfondo per emergere solo nel finale. Tutto ciò che è azione viene limitato al massimo per portare in superficie il disfacimento di un uomo che è intimamente convinto di ciò che fa e del perché lo fa, ma che comunque subisce la pressione del conflitto sulla sua pelle esattamente come tutti i soldati impegnati al fronte. Non stupisce che il vero sfogo emotivo si ritrovi nelle scene casalinghe, dove si incontra un Kyle lontano dal suo ambiente naturale, incapace di adattarsi a tutto ciò che non sia guerra. C'è spazio anche per una sorta di redenzione beffarda nel finale.
Tutte queste scelte portano Eastwood a mettere in scena un film piuttosto blando. Un manifesto ideologico dal quale quasi estrapola il fattore intrattenimento, evitando di concedersi troppe emozioni immediate. Inevitabilmente, questo modo di fare va a penalizzare la visione, che risulta spesso ostica e difficile da digerire. Tutto è lento e riflessivo e non sfoga quasi mai.
A me poi Cooper non è piaciuto. Sarà l'abitudine, ma vederlo interpretare un personaggio drammatico senza nessuna sfumatura ironica mi ha lasciato un po' perplesso. Il ragazzo ha un viso che sembra impossibile riuscire a mantenere serio e in questo film non sembra molto indicata come caratteristica.
Onestamente non ho amato questo lavoro, così come mi sono riuscite difficili altre pellicole analoghe del regista americano. Ma se Gran Torino mi sembrò piuttosto banale nella costruzione del suo messaggio, qui mi sono semplicemente annoiato.
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guidoguidotti99
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mercoledì 14 ottobre 2015
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un(quasi)capolavoro
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Ho visto il film molto in ritardo rispetto alla sua uscita,essendo un appassionato di questo genere di film e sentendone continuamente parlare,finalmente mi sono deciso a vederlo,nonostante i pareri contrastanti.A me questo film è piaciuto,e non poco,ti va vedere la crudezza e la brutalità della guerra per come è davvero,con scene molto belle e molto curate.Mi è piaciuto moltissimo Chris(il protagonista)nel film chiamato "La Leggenda"per le sue grandi abilità da cecchino,e la sua storia di amore con Taya,vissuta in parallelo con la guerra.In verità Kyle si arruola nell'esercito in modo piuttosto anonimo,senza un gran reale motivo,e questa cosa mi ha fatto storcere un pò il naso,potevano farci qualcosa dipiù dietro,ma va beh,stessa cosa per il finale,che mi ha fatto decisamente storcere il naso,poteva essere sicuramente migliore per un film che per quasi tutta la sua durata è stato un vero e proprio capolavoro,se non fosse stato per queste 2 grandi "falle"nel film,che non sono assolutamente cosa da poco(il momento in cui Kyle si allea nell'esercito,che poteva essere più dettagliato,e il finale)il film avrebbe meritato pienamente le 5 stelle,ma visto per come è realmente il film è tra le 4 e le 5 stelle,leggermente più tendente per le 4,bellissimo film,un(quasi)capolavoro.
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Ho visto il film molto in ritardo rispetto alla sua uscita,essendo un appassionato di questo genere di film e sentendone continuamente parlare,finalmente mi sono deciso a vederlo,nonostante i pareri contrastanti.A me questo film è piaciuto,e non poco,ti va vedere la crudezza e la brutalità della guerra per come è davvero,con scene molto belle e molto curate.Mi è piaciuto moltissimo Chris(il protagonista)nel film chiamato "La Leggenda"per le sue grandi abilità da cecchino,e la sua storia di amore con Taya,vissuta in parallelo con la guerra.In verità Kyle si arruola nell'esercito in modo piuttosto anonimo,senza un gran reale motivo,e questa cosa mi ha fatto storcere un pò il naso,potevano farci qualcosa dipiù dietro,ma va beh,stessa cosa per il finale,che mi ha fatto decisamente storcere il naso,poteva essere sicuramente migliore per un film che per quasi tutta la sua durata è stato un vero e proprio capolavoro,se non fosse stato per queste 2 grandi "falle"nel film,che non sono assolutamente cosa da poco(il momento in cui Kyle si allea nell'esercito,che poteva essere più dettagliato,e il finale)il film avrebbe meritato pienamente le 5 stelle,ma visto per come è realmente il film è tra le 4 e le 5 stelle,leggermente più tendente per le 4,bellissimo film,un(quasi)capolavoro...Lo consiglio a tutti comunque,non annoia mai in 2 ore e quasi mezzo di film.
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wilbelcinema
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martedì 24 novembre 2015
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una storia di grande umanitá.
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È un capolavoro perchè non è solo un film di guerra molto ben diretto e interpretato. C'è infatti il dramma di un uomo che agisce secondo coscienza, seguendo i valori e i principi più veri che custodisce nel suo animo (famiglia, lavoro, patria, onore, amicizia, rischio, coraggio, sacrificio) in un contesto come la guerra in cui agire secondo coscienza non è mai facile e molto spesso puó essere fonte di numerose problematiche collaterali sia personali che collettive. Questo film fà molto riflettere sul senso piú profondo delle scelte che gli uomini e le donne si trovano a fare ogni giorno nel mondo in diverse e difficili situazioni di vita a volte collegate tra di loro.
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È un capolavoro perchè non è solo un film di guerra molto ben diretto e interpretato. C'è infatti il dramma di un uomo che agisce secondo coscienza, seguendo i valori e i principi più veri che custodisce nel suo animo (famiglia, lavoro, patria, onore, amicizia, rischio, coraggio, sacrificio) in un contesto come la guerra in cui agire secondo coscienza non è mai facile e molto spesso puó essere fonte di numerose problematiche collaterali sia personali che collettive. Questo film fà molto riflettere sul senso piú profondo delle scelte che gli uomini e le donne si trovano a fare ogni giorno nel mondo in diverse e difficili situazioni di vita a volte collegate tra di loro. Ciò che traspare dal susseguirsi degli eventi è che non è solo il protagonista ad agire col cuore. Egli infatti con le sue scelte responsabili e profondamente libere si trova ad essere senza volerlo un punto di riferimento morale "contagioso" per le persone intorno a lui: la moglie, il fratello, i colleghi... le loro scelte infatti non sono il frutto di quell'egoismo (comprensibile) che si può provare in certe situazioni difficili in cui la guerra spesso mette la gente, un egoismo che sussurra costantemente a tutti di abbandonare tutto e di fuggire per uscire dal dolore. Al marine manca terribilmente la famiglia, ma sceglie la patria, la moglie vorrebbe lasciarlo, ma lo ama troppo per farlo, il fratello non ha mai condiviso la guerra e non era portato ma ci è andato lo stesso però per seguire quel grande esempio in famiglia e poi ci sono gli altri marines, reduci e non, anch'essi più fragili di lui nelle scelte i quali attingendo al suo carisma riescono a rafforzare o addirittura a trovare la loro coscienza personale. Il nemico a questo punto è solo un avversario freddo e crudele più che da sconfiggere e annientare che mette a dura prova in diversi modi i protagonisti affinchè scelgano di agire egoisticamente o per amore.
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greatsteven
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giovedì 16 marzo 2017
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un film onesto sull'odierna guerra al terrorismo.
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AMERICAN SNIPER (USA, 2015) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da BRADLEY COOPER, SIENNA MILLER, JAKE MCDORMAN, LUKE GRIMES, NAVID NEAHBAN, KEIR O'DONNELL
Chris Kyle fa il cowboy nei rodei del Texas, e viene addestrato fin da bambino dal padre a sparare alla cacciagione.
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AMERICAN SNIPER (USA, 2015) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da BRADLEY COOPER, SIENNA MILLER, JAKE MCDORMAN, LUKE GRIMES, NAVID NEAHBAN, KEIR O'DONNELL
Chris Kyle fa il cowboy nei rodei del Texas, e viene addestrato fin da bambino dal padre a sparare alla cacciagione. Quando assiste per televisione all’attentato alle Torri Gemelle dell’11/09/2001 e si rende conto dell’avanzata della minaccia terroristica, decide di arruolarsi nei Seals. Prima di partire per l’Iraq, si sposa con Taya, lasciandola incinta. Raggiunto il Medio Oriente, gli viene affidato il delicato e pericolosissimo compito di proteggere i marines dai terroristi islamici e dai kamikaze umani. Chris prende molto sul serio la sua missione difensiva nei confronti dei commilitoni, lavorando con impegno e abnegazione, ma quando poi rimpatria e riabbraccia la moglie che nel frattempo ha partorito il loro figlio, sentirà che quella cosa da cui non riesce a liberarsi né a smarcarsi col pensiero è proprio la guerra, che lo ha sia attratto come una droga sia contagiato nel profondo dell’anima. Di recente Eastwood si concentra su episodi della storia statunitense recente (basti pensare all’ultimo, ottimo Sully, una spanna sopra American Sniper) e li racconta non con un taglio documentaristico, ma mettendo sempre al centro la storia e i personaggi che la popolano, descrivendo queste vicende con un tono decisamente cinematografico. Anche troppo, perfino. E questo è il difetto di questo war movie (invenzione mia, N.d.A.), che concentra un’eccessiva attenzione alla psicologia del protagonista, mettendo in secondo piano i moventi patriottici dell’esercito americano nei confronti della lotta contro il terrorismo di Al-Qaeda, nel senso che il nazionalismo (e anche un po’ razzismo) di Chris Kyle (un B. Cooper in stato di grazia, che ci regala un’interpretazione intensa e coi fiocchi) è molto personale e addirittura autoreferenziale: parte sì dal presupposto di proteggere il suo Paese, ma poi finisce per muoversi su binari egocentrici, dimenticando il valore di un’azione che viene fatta per il bene di un’intera nazione. Altro handicap del film è la storia d’amore che comunque riveste un peso fondamentale, malgrado la prevalenza della guerra come elemento centrale: la love story fra Chris e Taya (S. Miller non in formissima, ma pur sempre funzionale) viene costruita troppo in fretta, senza l’inserimento di un "dietro le quinte" sufficiente a spiegare come nasce la passione fra un cecchino Seal e una donna che necessita di affetto, coniugale e materno insieme. Gli aspetti positivi, invece, oltre alle già sopracitate prove di recitazione di ottima qualità, riguardano l’eccellente gestione dei momenti di violenza, alternati a quelli di tranquillità: il montaggio, in questo senso, aiuta parecchio ad equilibrare l’azione, consegnando agli spettatori i minuti di suspense di quando Kyle mira una donna e suo figlio mentre cercano di far esplodere una granata senza che nessuno li veda, e altresì la lunga sequenza della tempesta di sabbia, in cui i soldati si muovono nel tentativo disperato, ma coronato da successo, di portare a compimento la loro cruciale missione militare. Non è un film antibellicista, anzi, spiattella un nazionalismo un po’ sfegatato, riconducibile al pensiero intimamente repubblicano del regista, ma non si schiera tuttavia a favore della guerra, ritraendola piuttosto come un veicolo per edificare e ottenere la pace. L’indice contro la barbarie autodistruttiva dei fondamentalisti mediorientali è comunque puntato con fermezza. Non è fra i migliori dell’ultimo Eastwood, e rivela un’insolita vena di stanchezza, e avrebbe potuto essere valorizzato meglio se avesse prediletto un taglio meno narrativo, pur conservando comunque una cornice adatta alla settima arte, e adottato piuttosto un metodo storico-sociologico nel dipingere il ritratto mostruoso e inquietante dell’imbarbarimento che dilania il Medio Oriente dall’epoca dell’11 settembre. Cooper candidato all’Oscar, ma gli fu preferito Eddie Redmayne per La teoria del tutto. Peccato. Ma non si può negare che Clint rimanga sempre un narratore di prima categoria, che tiene in grande considerazione la storia e utilizza un’altra Storia (con la S maiuscola), del Paese in cui è nato e al quale è legato da un sentimento viscerale, per restituire dignità a individui quasi sconosciuti, ma che hanno comunque compiuto imprese eroiche e meriterebbero pertanto una fama superiore. Lui, da quando si è consacrato come cineasta anche dietro la macchina da presa, cerca di agire affinché questo avvenga.
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valterchiappa
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mercoledì 20 settembre 2017
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un'eroe americano
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È noto che Sergio Leone, parlando, con la arguzia che gli era solita, del Clint Eastwood attore, ebbe a dire: “a quell’epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello”. Questa povertà di mezzi espressivi, sublimata secondo gli estimatori del vecchio Ispettore Callaghan in sobrietà e rigore, è diventata la cifra stilistica della sua opera.
Per questo “American sniper” è “il film” di Clint Eastwood. Qui si parla di guerra, signori. Quella del terzo millennio, ipertecnologica quanto si vuole, ma ancora fatta di uomini, di macerie, di rumore assordante, di sangue che spruzza sempre rosso.
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È noto che Sergio Leone, parlando, con la arguzia che gli era solita, del Clint Eastwood attore, ebbe a dire: “a quell’epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello”. Questa povertà di mezzi espressivi, sublimata secondo gli estimatori del vecchio Ispettore Callaghan in sobrietà e rigore, è diventata la cifra stilistica della sua opera.
Per questo “American sniper” è “il film” di Clint Eastwood. Qui si parla di guerra, signori. Quella del terzo millennio, ipertecnologica quanto si vuole, ma ancora fatta di uomini, di macerie, di rumore assordante, di sangue che spruzza sempre rosso. È la guerra, disumana, assurda, folle come sempre, altro che videogame.
Ed è parlando di guerra che la basilare sintassi di Eastwood trova la sua massima espressività. Niente mezze tinte: ci sono i buoni (gli americani, ovviamente) ed i cattivi; ci sono valori forti, chiari, incontestabili: Dio, Patria, Famiglia. Non c’è da argomentare: il cattivo lo è indiscutibilmente, i suoi atti sono bestiali (e lo sono senz’altro), ucciderlo è un tragico dovere, anche quando ha le sembianze di una donna o di un bambino: l’american sniper è pronto a rispondere davanti al Creatore di ciascuna delle sue 160 vittime.
La storia è quella di Chris Kyle, il cecchino più infallibile della recente storia militare americana e della sua tragica parabola umana. Educato ad essere il “cane da pastore” che salva le pecore dai lupi, forgiato sulle selle dei cavalli da rodeo, addestrato ad essere una macchina da guerra, un moderno Achille armato del suo fucile e della sue Fede incrollabile, si immerge nell’inferno iracheno fino a diventarne parte inseparabile (i nemici lo chiamano il “Diavolo” di Ramadi), fino a non saperne più uscire fuori.
Così come il suo eroe, anche Eastwood, con la sua macchina da presa, è a suo agio sul campo di battaglia. Le scene di guerra sono perfette e fanno di “American sniper” uno dei capolavori del genere: nude nello squallore delle città diroccate e deserte, assordanti dello stridore dei cingoli, del crepitio degli spari, del tonfo dei boati, esasperate nella tensione continua e portata allo spasimo; fra le altre, memorabile per drammaticità e suggestione la battaglia nella tempesta di sabbia.
Il vecchio cowboy non rinuncia però a strumenti narrativi che gli sono noti o cari: anche nell’inferno di Ramadi la guerra può diventare un duello da “Mezzogiorno di fuoco” tra il nostro sniper “buono” e l’implacabile cecchino cattivo, sfida a due da risolvere con un colpo impossibile di cui seguire, rallentata, la traiettoria.L’occhio di Eastwood è fotografico: non giudica, mostra al pubblico. Il dito sul grilletto, tremante prima di far fuoco su un bambino, la crudeltà dei torturatori, il dolore, le urla, il sangue. Con altrettanta onestà racconta la guerra che continua al di fuori dei campi di battaglia: il disgusto delle amputazioni, le protesi, il dramma delle famiglie e soprattutto la lotta contro il PTSD, il disturbo post traumatico da stress, il nemico silenzioso e letale come un guerrigliero khmer, diffusosi come una pandemia negli States già dai lontani tempi del Vietnam.
Fino a che punto ha senso la gloria, si chiede una madre davanti alla bara del figlio, e questo forse è il senso del film. Ma non c’è condanna: la fede di Eastwood è salda come quella del suo soldato. Gli americani restano i buoni, i “cani da pastore” del mondo, e il suo cecchino, uccisore di 160 nemici, fra cui donne e bambini, è un eroe da celebrare con dispiego di bandiere (pietosamente fra l’altro vengono taciute pagine oscure della vera vicenda di Kyle, macchiatosi di un duplice omicidio e salvato dai suoi gloriosi trascorsi bellici). Tutto il male viene dichiarato, è vero, ma appare solo una dolorosa necessità.
Dio sa quanto siamo lontani da questa visione e dall’imperialismo americano. Però non possiamo non riconoscere a Clint Eastwood l’onestà cristallina e la convinta fede nei suoi valori. Ma soprattutto, dopo questo film, non elevarlo nell’empireo dei grandi registi e dei grandi narratori del nostro tempo.
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jl
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mercoledì 4 luglio 2018
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la solitudine del numero uno
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Chi fosse Chris “The legend” Kyle ce lo spiega Clint Eastwood con la sua ultima pellicola, la terza riguardante l’inferno della guerra: dopo ‘Flags of our Fathers’ e ‘Letters From Iwo Jima’. In questo terzo episodio bellico è il corpo visibilmente muscoloso di Bradley Cooper che cerca di indirizzarci attraverso le pieghe della mente di un ragazzo cresciuto con i più sani principi americani, in difesa della bandiera e degli oppressi e che per questo non esita molto, almeno nella pellicola, ben differente fu la scelta del vero Kyle, di spostarsi dai rodei Texani fino all’inferno dell’Iraq; soffrendo per ogni ritorno a casa, a causa del desiderio di non abbandonare mai i propri commilitoni. Nonostante una moglie da poco sposata, che gli darà due figli, Chris si sentiva a casa solamente in Iraq con la chiara difficoltà di ritrovare una propria dimensione al momento di rincasare in patria a causa di un ritorno con il cuore in gola per ogni missione che gli avrebbe portato via qualche amico, congedato o morto che fosse.
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Chi fosse Chris “The legend” Kyle ce lo spiega Clint Eastwood con la sua ultima pellicola, la terza riguardante l’inferno della guerra: dopo ‘Flags of our Fathers’ e ‘Letters From Iwo Jima’. In questo terzo episodio bellico è il corpo visibilmente muscoloso di Bradley Cooper che cerca di indirizzarci attraverso le pieghe della mente di un ragazzo cresciuto con i più sani principi americani, in difesa della bandiera e degli oppressi e che per questo non esita molto, almeno nella pellicola, ben differente fu la scelta del vero Kyle, di spostarsi dai rodei Texani fino all’inferno dell’Iraq; soffrendo per ogni ritorno a casa, a causa del desiderio di non abbandonare mai i propri commilitoni. Nonostante una moglie da poco sposata, che gli darà due figli, Chris si sentiva a casa solamente in Iraq con la chiara difficoltà di ritrovare una propria dimensione al momento di rincasare in patria a causa di un ritorno con il cuore in gola per ogni missione che gli avrebbe portato via qualche amico, congedato o morto che fosse.
Eastwood non giustifica, ma dipinge la parabola di un uomo che apparentemente non sembra avere cedimenti ma che può intravedere nel viso stranito del fratello Jeff, anch’egli nell’esercito, ma molto meno sicuro di sé, il dubbio di una nazione imbevuta di convinzioni belliche in difesa di un ideale che può anche andare a scapito della propria salute mentale o fisica; emblematica la misurazione della pressione cardiaca del protagonista che in presenza della ginecologa che sta per comunicargli il sesso del figlio si trova a combattere con un battito che sfiora i 200. Cooper aiuta Eastwood sparando con precisione chirurgica a nemici che come lui hanno il medesimo desiderio di difendere la propria nazione e le persone che amano, fingendosi allegro ad ogni ritorno in patria, ma con il perenne dubbio che la tensione che cova possa deflagrare in qualche cosa di peggio. Sienna Miller, è infine abile nel ruolo di Taya, una moglie desiderosa di riabbracciare un marito che si trova perennemente con la mente in mezzo all’inferno di Falluja. La Miller riesce a disegnare in modo credibile il dramma di chi resta, di chi vive con l’ansia di perdere un proprio congiunto per un conflitto che solo apparentemente è combattuto per la difesa della propria nazione.
Una pellicola di guerra ben girata, ma che proprio per questo forse dedica troppo tempo alle operazioni belliche e molto poco al difficoltoso rientro alla normalità di Kyle dipinto come un eroe di guerra quasi senza macchia e con non troppa paura, tanto coerente con i propri principi, ma che comunque per amore della propria famiglia preferì tornare a condurre una vita da civile congedato con il massimo degli onori.
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dandy
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mercoledì 26 settembre 2018
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american eastwood.
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Dopo "Flags of our fathers" e "Letters from Iwo Jima",Eastwood torna a parlare della guerra,stavolta post 11 settembre,adattando il romanzo autobiografico di Chris Kyle,cecchino che avrebbe abbattuto tra le 160 e le 250 persone(romanzo al centro di controversie e denunce).La storia di un individuo che sembra fatta apposta per il regista,capace da sempre di cogliere in modo mirabile temi,sfumature,contraddizioni e soprusi della società americana.A sorpresa però il film non sembra tenere conto del messaggio trasmesso nei due film su Iwo Jima,ossia che non ci sono eroi in guerra,ma segue in modo scrupoloso e serrato la determinazione schizofrenica del suo protagonista.
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Dopo "Flags of our fathers" e "Letters from Iwo Jima",Eastwood torna a parlare della guerra,stavolta post 11 settembre,adattando il romanzo autobiografico di Chris Kyle,cecchino che avrebbe abbattuto tra le 160 e le 250 persone(romanzo al centro di controversie e denunce).La storia di un individuo che sembra fatta apposta per il regista,capace da sempre di cogliere in modo mirabile temi,sfumature,contraddizioni e soprusi della società americana.A sorpresa però il film non sembra tenere conto del messaggio trasmesso nei due film su Iwo Jima,ossia che non ci sono eroi in guerra,ma segue in modo scrupoloso e serrato la determinazione schizofrenica del suo protagonista.Forse troppo.Perchè l'idea generale è che si voglia celebrare acriticamente il mito del singolo disposto a tutto per il proprio paese,figlio di quell'America fanatica perfetta per chi comanda.Cast e regia sono eccellenti come sempre,e le scene di battaglia girate benissimo,con due scene notevoli anche se un pò alla Michael Bay(il proiettile al rallenti e la lunga corsa a visibilità quasi zero nella tempesta di sabbia sotto il fuoco nemico).Ma nel complesso al nemico è riservata una descrizione assai schematica.Come lo è il personaggio di Sienna Miller,mentre Cooper ha giustamente avuto la candidatura all'Oscar(più altre 6 tra cui miglior regia e film).Col senno di poi a visone conclusa si riflette sulla decisione del regista di appoggiare Donald Trump nel 2016 ...Comunque come sempre Eastwood riesce a rendere entusiasmanti anche i suoi film meno facili:un notevole successo di pubblico in America e non solo,contro ogni aspettativa.Il progetto risaliva al 2012,e si era pensato a Steven Spielberg per la regia e Chriss Pratt per il ruolo di Kyle.
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giorno 48
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lunedì 29 agosto 2022
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leggenda di un eroe o condanna per un reduce
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American Sniper- Clint Eastwood- Questo war movie, del 2014, fu un enorme successo commerciale per Clint (forse il maggiore), ma fu anche osteggiato dalla critica di tendenza democratica, che lo "censuro'", come un'opera "fascista", un'esaltazione di un uomo diventato leggenda, dato che il protagonista (Chris Kyle-interpretato da Bradley Cooper) è realmente vissuto, diventato famoso per aver ucciso più di 160 nemici, col suo fucile di precisione, del quale esiste anche una biografia di De Felice-Mc Ewen. Ma Eastwood non aveva alcuna intenzione di esaltare quel personaggio, come avvenne nella realtà, solo per questo motivo, limitandosi a girare un biopic, il più fedele possibile, di una storia umana, non solo di soldato, ma anche di marito e padre, e, semmai, della fragilità psichica dei reduci di guerra, già raccontata da molti altri registi.
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American Sniper- Clint Eastwood- Questo war movie, del 2014, fu un enorme successo commerciale per Clint (forse il maggiore), ma fu anche osteggiato dalla critica di tendenza democratica, che lo "censuro'", come un'opera "fascista", un'esaltazione di un uomo diventato leggenda, dato che il protagonista (Chris Kyle-interpretato da Bradley Cooper) è realmente vissuto, diventato famoso per aver ucciso più di 160 nemici, col suo fucile di precisione, del quale esiste anche una biografia di De Felice-Mc Ewen. Ma Eastwood non aveva alcuna intenzione di esaltare quel personaggio, come avvenne nella realtà, solo per questo motivo, limitandosi a girare un biopic, il più fedele possibile, di una storia umana, non solo di soldato, ma anche di marito e padre, e, semmai, della fragilità psichica dei reduci di guerra, già raccontata da molti altri registi. Ma, a parte tutto, il pubblico può interpretare il film come una storia bellica "negativa", com'è ogni guerra, oppure riferirsi, come sostiene qualcuno più bravo di me, all'immagine Eastwoodiana, come una delle "più limpide, pulite e precise che ci si possa ritrovare davanti agli occhi". Certo è che lo stile "asciutto", tipico di Clint, non indugia troppo sui dialoghi, ma racconta semplicemente i fatti, lasciando allo spettatore, che ne avesse voglia, il compito di analizzare gli aspetti psicologici di "enorme disagio mentale", dei reduci, come Kyle, a riprendere una vita semplice, normale, priva dei flussi adrenalinici dell'azione, dei combattimenti, delle uccisioni. Dal ritorno dall'ultima missione al tragico evento (non narrato nel film) ci sono pochi fotogrammi, prima della fine della pellicola, che si conclude col lungo corteo delle auto, con i bordi delle strade piene di gente che rende omaggio alla salma dell'eroe.
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[+] eastwood non perde un colpo
(di giomo891)
[ - ] eastwood non perde un colpo
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jonnylogan
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venerdì 26 luglio 2024
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il ritorno dal fronte
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Chi fosse Chris “The legend” Kyle ce lo ha spiegato dieci anni or sono e con dovizia di particolari Clint Eastwood, che proprio oggi, alla soglia dei 94 anni, sta portando a termine probabilmente la sua ultima fatica dietro la macchina da presa.
Nel corso della pellicola, la terza riguardante il tema della guerra: dopo Flags of our Fathers e Letters From Iwo Jima (entrambi del 2006) Eastwood offre a Bradley Cooper, divenuto per l'occasione più muscoloso del solito, l'opportunità per misurarsi con la vita e la mente di un ragazzo imbevutosi di principi quali la difesa della bandiera a stelle e strisce e la protezione degli oppressi fino al punto di partire quasi senza esitazione per il fronte Iracheno.
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Chi fosse Chris “The legend” Kyle ce lo ha spiegato dieci anni or sono e con dovizia di particolari Clint Eastwood, che proprio oggi, alla soglia dei 94 anni, sta portando a termine probabilmente la sua ultima fatica dietro la macchina da presa.
Nel corso della pellicola, la terza riguardante il tema della guerra: dopo Flags of our Fathers e Letters From Iwo Jima (entrambi del 2006) Eastwood offre a Bradley Cooper, divenuto per l'occasione più muscoloso del solito, l'opportunità per misurarsi con la vita e la mente di un ragazzo imbevutosi di principi quali la difesa della bandiera a stelle e strisce e la protezione degli oppressi fino al punto di partire quasi senza esitazione per il fronte Iracheno.
Pronto a spostarsi dai rodei Texani all’inferno del medio oriente, per esportare l'idea di pace che da sempre contraddistingue la politica stars & stripes. Soffrendo per ogni ritorno in patria perché, nonostante una moglie che l'aspetta, Chris intravede nell'abbandono del fronte il rischio di tornarvi con qualche amico in meno, congedato o morto che fosse.
Eastwood alla fine non giustifica, ma offre allo spettatore tutti gli elementi per poter giudicare da sé, limitandosi a descrivere la parabola di un uomo che apparentemente non sembra avere cedimenti ma che può intravedere nel viso stranito del fratello Jeff, anch’egli nell’esercito, ma molto meno sicuro di sé, il dubbio di una nazione piena di convinzioni belliche in difesa di un ideale che può anche andare a discapito della propria salute mentale o fisica. In tal senso diventa emblematica la misurazione della pressione del protagonista che in presenza della ginecologa che sta per comunicargli il sesso del figlio si trova a combattere con un battito cardiaco che sfiora le 200 pulsazioni al minuto.
Cooper aiuta Eastwood sparando con precisione chirurgica a nemici che come lui hanno il medesimo desiderio di difendere la propria nazione e le persone che amano. Fingendosi allegro a ogni ritorno, ma con il perenne dubbio che la tensione che cova possa deflagrare in qualche cosa di ben peggio. Sienna Miller, è molto abile nel ruolo di Taya, una moglie desiderosa di riabbracciare un marito che si trova perennemente con la mente in mezzo all’inferno di Falluja. La Miller riesce infatti a disegnare in modo credibile il dramma di chi resta e vive con l’ansia di perdere un proprio congiunto per un conflitto che solo apparentemente è combattuto per la difesa della propria nazione.
Una pellicola di guerra fin troppo ben girata e che infatti forse dedica troppo tempo alle operazioni belliche e molto poco al difficoltoso rientro alla normalità di Kyle, dipinto come un eroe quasi senza macchia né paura. Coerente con i propri principi, ma che comunque per amore della propria famiglia preferì tornare a condurre una vita da civile, congedandosi con il massimo degli onori.
Da vedere come tutte le pellicole di un regista che più di tanti altri ha saputo fotografare la propria nazione: piena di contraddizioni, dubbi e incertezze. Sapendo che anche se la carriera di Eastwood sta ormai volgendo al termine non dovremo assolutamente piangere perché è terminata ma per quello che ha saputo offrirci.
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andreius98
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giovedì 1 gennaio 2015
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un film potente che racconta la guerra vera
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American sniper è un film diretto da clint eastwood e tratto dall'autobiografia del soldato "chris" Kyle. Dopo un inizio un po lento il film prende il via con l'arrivo di Chris in Iraq, e da li parte un film di altissima tensione senza un momento di noia, come solo un maestro come clint eastwood sa fare. Il film racconta la crudeltà e la stupidità della guerra attraverso gli occhi del cecchino più letale della storia degli stati uniti.
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