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Scamarcio, i nuovi belli e i loro predecessori

Il ritorno dei belli nel cinema italiano.
di Pino Farinotti

Belli da film
Riccardo Scamarcio (44 anni) 13 novembre 1979, Andria (Italia) - Scorpione. Interpreta Nicola nel film di Michele Placido Il grande sogno.

lunedì 28 settembre 2009 - Focus

Belli da film
Il ritorno dei belli nei film è un evento che merita un approfondimento. I "non belli ma bravi" sono modelli del tutto funzionali al cinema italiano contemporaneo. Nel servizio precedente scrivevo "Al nostro cinema triste, malamente sociale e autoctono, legato a un politicamente corretto che lo ha penalizzato soprattutto oltre confine, non si addiceva la figura del "bello". Dunque, come portatori di indicazioni certi modelli sono adeguati, sono qualificati. Attori come Orlando, Lo Cascio, Amendola, Marcoré, lo stesso Castellitto, sono molto bravi, sanno trasferire con efficacia il segnale che gli è stato affidato. Ma nella drammaturgia che dovrebbe essere quella tradizionale, e nella sua estetica, quegli attori avrebbero l'immagine del caratterista. Nell'espressione tradizionale, certo sorpassata, non sarebbero i protagonisti ma gli antagonisti. È un'evoluzione che ha radici lontane e che non riguarda solo il cinema italiano. Parte dal dopoguerra, quando il cinema ha cominciato a portarsi più vicino alla realtà. Cambiavano le storie e i caratteri. Nei film americani il protagonista Sinatra sconfiggeva l'antagonista Bronson; in quelli francesi Delon se la vedeva con Ventura; nei film italiani Gassman dominava Trintignant. Più tardi gli antagonisti, i caratteristi sarebbero diventati protagonisti. I nomi citati sono esemplari. Il nuovo cinema aveva bisogno di loro: l'estetica e la cultura del reale, piuttosto che quella del bello e del sogno.

Non corretto
Il cinema italiano recente, politicizzato, andava oltre. Essere belli era un privilegio politicamente non corretto, e allora ecco che un assurdo estetico lo diventava anche di contenuto. Ricordo il film Ferie d'agosto, dove tutte le donne si innamorano del protagonista Silvio Orlando, che è umano e intelligente, diciamo pure carismatico, ma è... Silvio Orlando. L'amoroso, anche nell'epoca politica del cinema, è meglio se è Riccardo Scamarcio, o Raoul Bova. Nella fantasia femminile sono modelli ... più naturali. Il cinema italiano non è mai stati cinema di belli. Certo ce ne sono stati, ma faticavano. Amedeo Nazzari aveva grande appeal, e fino agli anni quaranta, quando si arrotondò nel viso e nel corpo, poteva davvero essere definito l'Errol Flynn italiano. Nella nostra stagione eroica, quella del realismo, il protagonista che emerge è Lamberto Maggiorani, un operaio chiamato a fare l'attore, un "carattere" perfetto per quel ruolo. A quel cinema non si addicevano i belli, anche se, come sempre c'è l'eccezione. Nel suo Ossessione, Luchino Visconti volle protagonista Massimo Girotti, appeal altissimo, da divo americano a sua volta, anche se il regista ne privilegiò l'intensità e l'ambiguità, e fece di tutto per sottrargli bellezza, vestendolo con pantaloni sdruciti e con una canottiera della quale sentivi l'odore scendere dallo schermo.

Generazione
La grande generazione della nostra commedia, propose attori come Sordi, Manfredi, Tognazzi, Mastroianni e Gassman. Gassman aveva bellezza, istrionismo, tecnica e tutto il resto. È il più grande personaggio italiano dello spettacolo. Ogni aggettivo, stralciato dall'insieme, sarebbe riduttivo, "bello" compreso. Mastroianni era completo, ma era un centrocampista di gran classe, e non era Paul Newman. I primi tre erano i cosiddetti italiani medi. Medi, appunto. A metà degli anni cinquanta Dino Risi diresse Poveri ma Belli, titolo eloquente. I "belli" erano Renato Salvatori e Maurizio Arena, soprattutto Arena. Ma era un romano delle borgate, scarso charme, era un belloccio, definito "bullo". Anche lui non era Delon.
Fra la fine dei Sessanta e i primi Settanta il cinema italiano riscoprì i generi. L'ispirazione veniva dal mare magnum del cinema americano. E così i nostri produttori si ricordarono dell'avventura, del poliziesco e del western. Se non fu un momento storico del nostro cinema, fu per lo meno vitale. Ed ecco che occorrevano modelli nuovi, e belli. E i belli vennero fuori. Faccio tre nomi esemplari, Fabio Testi, Giuliano Gemma, Franco Nero. Aitanti, giovani, bravi a cavallo e nell'azione, sapevano persino recitare. Una citazione particolare è per Franco Nero, che incarna un vero, triste paradosso. L'attore è stato capace, nei suoi anni belli, di dare corpo e volto a Lancillotto, a Django, al commissario scritto da Sciascia, al detective alla Bogart, al partigiano Valerio che giustiziò il Duce, a Matteotti ucciso dai fascisti, a Garibaldi. Ogni volta una prova d'attore così diversa e di qualità, con quegli occhi poi, davvero alla Newman e Delon. Eppure Nero, nel suo momento migliore è stato dimenticato dal cinema italiano, costretto a diventare un esule, autentico primatista del mondo: film girati in trenta paesi. Perché era arrivato il momento del nuovo cinema italiano, quello sociale, "politico", povero. Nero e i suoi omologhi non servivano più. Non c'era più Zorro, né Bond, né Romeo. Non c'erano più gli eroi.
E gli eroi servono, e meglio se sono belli. È risaputo che il cinema americano domina al botteghino. Le ragioni sono molte, ma una, decisiva, sta in George Clooney, Russell Crowe, Johnny Depp, Leonardo DiCaprio, Brad Pitt.

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