giuliog02
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martedì 10 febbraio 2015
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una delusione
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Un film trito, stantio, di propaganda bellica, unilaterale, non approfondito, non esaustivo, una visione assolutamente parziale di un periodo bellico, il tutto raccontato con maestria, effetti speciali notevoli, e con un'ottima recitazione del protagonista, che mostra tratti umani nella disumanità della guerra. Ho visto molti film di Clint Eastwood, alcuni rivisti anche tre volte, di quelli magari fortemente criticati da certi nostri ambienti culturali. Parlo di Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo, oppure di Gran Torino. In quelli si é visto lo spessore di Clint Eastwood. Questo American Sniper, dopo tutto ciò che sappiamo di come e perché é stata scatenata l'illegale guerra in Iraq e per come descrive negativamente l'ambiente e la popolazione irachena, appare essere null'altro che un film di propaganda patriottica.
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Un film trito, stantio, di propaganda bellica, unilaterale, non approfondito, non esaustivo, una visione assolutamente parziale di un periodo bellico, il tutto raccontato con maestria, effetti speciali notevoli, e con un'ottima recitazione del protagonista, che mostra tratti umani nella disumanità della guerra. Ho visto molti film di Clint Eastwood, alcuni rivisti anche tre volte, di quelli magari fortemente criticati da certi nostri ambienti culturali. Parlo di Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo, oppure di Gran Torino. In quelli si é visto lo spessore di Clint Eastwood. Questo American Sniper, dopo tutto ciò che sappiamo di come e perché é stata scatenata l'illegale guerra in Iraq e per come descrive negativamente l'ambiente e la popolazione irachena, appare essere null'altro che un film di propaganda patriottica. Girato bene e con larghezza di mezzi, ma resta sempre un racconto molto parziale. Fortemente deludente. Non mi sento di consigliarlo.
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gianr
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lunedì 9 febbraio 2015
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eastwood non delude
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Un film che mostra una storia vera che certamente smuove qualcosa in ogni spettatore. In alcuni tratti esplicito, ma mai troppo, rende l'idea della guerra e della difficoltà che un soldato deve sopportare. Dissento con le frasi lette nel trailer del tipo "Bradley Cooper ci regala la migliore interpretazione dell'anno" perchè credo che in una storia così "ingombrante" i singoli attori fatichino ad emergere, quasi soffocati dalla cruda realtà che si trovano a raccontare.
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claudiza
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domenica 8 febbraio 2015
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il "zero dark thirty" del 2015
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Chi l'avrebbe mai detto che tra i migliori film degli ultimi anni ce ne sarebbero stati ben 3 di guerra? American Sniper è un ottimo film, da vedere senza volerci leggere nessuna congettura nè riferimenti politici al Mondo Eastwoodiano (tral'altro è tratto da un autobiografia, quindi)
è la storia di Chris Kyle, un ragazzo che arrivato a 30 anni senza una vera carriera si arruola nei navy seals, qui un pò gli anni a caccia con il padre un pò talento personale diventa in breve tempo il più famoso cecchino della guerra in iraq.
Il film è nettamente migliore nella sua parte "baghdad" che in quella americana: per fare un esempio, la fidanzata futura sposa è infatti intristita dalla sua condizione di compagna di un navy seals sin dal primo incontro, quando ancora non sa neanche se e quando ci sarà una guerra, come a prevedere l'assurda fine di Chris.
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Chi l'avrebbe mai detto che tra i migliori film degli ultimi anni ce ne sarebbero stati ben 3 di guerra? American Sniper è un ottimo film, da vedere senza volerci leggere nessuna congettura nè riferimenti politici al Mondo Eastwoodiano (tral'altro è tratto da un autobiografia, quindi)
è la storia di Chris Kyle, un ragazzo che arrivato a 30 anni senza una vera carriera si arruola nei navy seals, qui un pò gli anni a caccia con il padre un pò talento personale diventa in breve tempo il più famoso cecchino della guerra in iraq.
Il film è nettamente migliore nella sua parte "baghdad" che in quella americana: per fare un esempio, la fidanzata futura sposa è infatti intristita dalla sua condizione di compagna di un navy seals sin dal primo incontro, quando ancora non sa neanche se e quando ci sarà una guerra, come a prevedere l'assurda fine di Chris.
Ma la parte in iraq fila molto meglio: non solo succedono obiettivamente molte più cose e c'è un evoluzione nella storia e nei suoi protagonisti ma paradossalmente vieniamo più a conoscenza della persona chris che negli inutili teatrini con figli recitati da evidenti bambolotti di chris "in america" : non so se è una scelta stilistica, forse si, diciamo che sembrano film girati da due persone diverse. anche la regia in iraq per quanto molto più complessa è notevolmente superiore.
Ad esempio nella parte a Baghdad scopriamo che la naturale semplicità di Chris, un uomo che sembra non avere nessun giudizio verso l assurdità che lo circonda (al contrario dei suoi commilitoni)si unisce però ad una sorta di scaltrezza e di ingegno, ad un desiderio di fare si un azione meccanica come il cecchino ma anche di paradossalmente, visto il personaggio, anche il cervello. Insomma chris sembra un uomo che capisce i suoi limiti (ineducazione scolastica in primis, incapacità di giudizio) pure se non sa indicarli e purtroppo visto il finale evitarli.
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depalma
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mercoledì 4 febbraio 2015
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film di propaganda....
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....nel 2015 ancora si ha il coraggio di propinare un' americanata del genere...mi chiedo perchè non aggiungere anche qualche cowboy a cavallo (cavallo sostituito dagli Hummer) e qualche saloon (sostituito con malfamati bar)...alla fine è uno film Western dove gli indiani sono gli Afgani (sempre definiti nel film come "selvaggi") e i Marines ed i Seal sono i Cowboy buoni..Non uomini...ma superuomini con il cervello di Homer Simpson ma meno simpatici e più stupidi..
Non poteva mancare il concetto di maschilismo spinto all'inverosimile...Io grosso uomo bianco faccio guerra e faccio figli...tu moglie fedele aspettami a casa e non parlare...sintetizzato dalla frase davvero emblematica "le mani in alto, le mutande in basso" che il protagonista, con romanticismo, rivolge alla moglie che soddisfatta ricambia "non le ho mai messe".
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....nel 2015 ancora si ha il coraggio di propinare un' americanata del genere...mi chiedo perchè non aggiungere anche qualche cowboy a cavallo (cavallo sostituito dagli Hummer) e qualche saloon (sostituito con malfamati bar)...alla fine è uno film Western dove gli indiani sono gli Afgani (sempre definiti nel film come "selvaggi") e i Marines ed i Seal sono i Cowboy buoni..Non uomini...ma superuomini con il cervello di Homer Simpson ma meno simpatici e più stupidi..
Non poteva mancare il concetto di maschilismo spinto all'inverosimile...Io grosso uomo bianco faccio guerra e faccio figli...tu moglie fedele aspettami a casa e non parlare...sintetizzato dalla frase davvero emblematica "le mani in alto, le mutande in basso" che il protagonista, con romanticismo, rivolge alla moglie che soddisfatta ricambia "non le ho mai messe"...
Americanata tanto brutta quanto patetica.
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anty_capp
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mercoledì 4 febbraio 2015
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3 stelle da evitare
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Il film in se stesso è girato magistralmente, con tempi, ritmi, fotografia eccellente come solo Eastwood nei suoi film sa fare. Il problema è che il film non è brutto o lento. E' semplicemente sbagliato. L'orgoglio che Eastwood sente di dover esprimere per quei soldati che si sono invaghiti della loro capacità di vincere da soli la guerra e la finale commemorazione per la giusta fine di un pazzo invasato, ne esaltano un patriottismo che fa dell'America il solito posto sicuro dove mettere un nazista. Il momento terroristico non è dei più favorevoli per fare un film del genere che già demonizza abbastanza quanto già demonizzato dai media che naturalmente sono tutti filoamericani.
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Il film in se stesso è girato magistralmente, con tempi, ritmi, fotografia eccellente come solo Eastwood nei suoi film sa fare. Il problema è che il film non è brutto o lento. E' semplicemente sbagliato. L'orgoglio che Eastwood sente di dover esprimere per quei soldati che si sono invaghiti della loro capacità di vincere da soli la guerra e la finale commemorazione per la giusta fine di un pazzo invasato, ne esaltano un patriottismo che fa dell'America il solito posto sicuro dove mettere un nazista. Il momento terroristico non è dei più favorevoli per fare un film del genere che già demonizza abbastanza quanto già demonizzato dai media che naturalmente sono tutti filoamericani. Ammazzare un islamico come diceva "Venditti" qualche anno fa quando gli americani con Rambo ammazzavano i vietcong, non fa mai male. Sembra di vedere un vecchio film western quando Wayne sparava un colpo di fucile e cadevano 5 indiani. Poi gli americani hanno trovato i vietcong ed hanno venduto film su di loro. Poi i giochi di guerra contro i russi. Ora tocca ai terroristi. Ho idea che senza nemici il cinema americano non avrebbe la sua luce costante. Da evitare accuratamente!
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catcarlo
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mercoledì 4 febbraio 2015
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american sniper
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In guerra, il cecchino è il combattente più odiato: un sentimento diffuso fra i soldati di ogni latitudine e credo che considerano la sua figura – pressappoco – come quella di un vigliacco che si nasconde e colpisce a tradimento. Pur conoscendone le idee politiche, ci si chiede perciò quali motivazioni abbiano portato lo zio Clint a buttarsi in un ginepraio ideologico simile dove – semplificando un po’ – il cecchino a stelle e strisce del titolo non è un figlio di buona donna (e, anche se lo fosse, sarebbe sempre il ‘nostro’ figlio di buona donna) mentre quello nemico, incarnato dal siriano ex campione olimpico Mustafà (Sammy Sheik), si attaglia perfettamente alla descrizione del ruolo.
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In guerra, il cecchino è il combattente più odiato: un sentimento diffuso fra i soldati di ogni latitudine e credo che considerano la sua figura – pressappoco – come quella di un vigliacco che si nasconde e colpisce a tradimento. Pur conoscendone le idee politiche, ci si chiede perciò quali motivazioni abbiano portato lo zio Clint a buttarsi in un ginepraio ideologico simile dove – semplificando un po’ – il cecchino a stelle e strisce del titolo non è un figlio di buona donna (e, anche se lo fosse, sarebbe sempre il ‘nostro’ figlio di buona donna) mentre quello nemico, incarnato dal siriano ex campione olimpico Mustafà (Sammy Sheik), si attaglia perfettamente alla descrizione del ruolo. E’ una delle ambiguità più evidenti di un film che non è certo tutto teso a glorificare l’interventismo statunitense, ma che a volte sembra alla ricerca di un impossibile equilibrio dando un colpo al cerchio e uno alla botte: da una parte c’è un nemico brutto, sporco e cattivo (oltre che spersonalizzato) a confronto dei ‘nostri ragazzi’ sempre pieni di etica guerriera se non di buone maniere, dall’altro si delinea l’idea sottesa che si tratti comunque di una guerra inutile e sbagliata che lascia pesanti segni sulla psiche una volta ritornati a casa - oltre che sui poveri iracheni, ma loro non contano. Una considerazione, quella riguardo alla guerra, che fa capolino solo a tratti nella sceneggiatura che Jason Hall ha tratto dalle memorie di Chris Kyle, il Navy Seal che è stato il più letale fra i cecchini della guerra in Iraq con uno sproposito di uccisioni certificate, oltre duecento: un texano dagli occhi di ghiaccio allevato da un padre solito a suddividere l’umanità fra leoni e pecore (Ben Reed in una scena terribile) e che imbraccia il fucile dopo l’attentato alle Torri Gemelle per andare ad ammazzare gente che con il 9/11 non c’entra nulla. Un uomo tutto d’un pezzo nel senso deteriore dell’espressione, dal fisico massiccio (Bradley Cooper per interpretarlo ha dovuto metter su venti chili di muscoli perdendo però più di qualcosa in espressività) e dalla feroce convinzione di essere sempre nel giusto, tanto da sostenere che i suoi centri sono stati tutti motivati, di solito come azione di copertura a truppe in azione sul terreno. Salvo poi fare colossali stupidaggini che costano non poche vite, compreso il momento clou della sfida a lunga distanza, due chilometri, con Mustafà (una licenza poetica, tra l’altro): il colpo che decide quella che è una trasposizione di un duello western – la scelta di seguire la pallottola in volo è una delle poche scelte di regia infelici – finisce per segnalare la posizione dell’intero reparto al nemico e uscire dalla trappola non sarà indolore. Ciò che il protagonista pensa della guerra è definito dall’incontro con il frattello Jeff (Keir O’Donnell) che sta tornando a casa e usa parole dure su quello che ha passato: Chris gli appioppa uno sguardo senza espressione – in fondo, Jeff è una pecora – per poi voltare le spalle e dirigersi verso il suo quarto turno al fronte. Turni che lasciano pesanti segni anche durante i ritorni a casa, tra figli quasi dimenticati e moglie (Sienna Miller) più di una volta dubbiosa (ma poi sempre pronta a tornare all’ovile): la sindrome post-traumatica fa capolino qua e là, ma l’essere considerato né più né meno che un eroe aiuta a sopportarla. La morte di Kyle per mano di un reduce che stava cercando di aiutare è una sorta di nemesi che dimostra che, a volte, la realtà sa essere più significativa della fantasia: in ogni caso, le scene del funerale fissano ancora una volta un altro aspetto che il resto della narrazione ha comunque già più che abbozzato e cioè che, nel grande paese di provincia che sta tra le sponde dei due oceani, è radicatissima la mentalità manichea, con cui Kyle è cresciuto e secondo la quale ha sempre vissuto, in cui gli Stati Uniti sono il centro attorno a cui gira il resto del mondo e stanno per definizione dalla parte giusta. Le sottolineature e le contraddizioni fanno sì che la pellicola non sia quel monolite di propaganda che alcuni hanno voluto vedere, ma da qui ad affermare che si tratti di ‘un film contro la guerra’ (Eastwood dixit) ce ne passa: però è indiscutibile che qualche dubbio riesca a seminarlo evitando anche di far ‘scatenare l’inferno’ da parte di Kyle senior, come promesso in caso di mancanza di rispetto nei confronti della memoria del figlio. Dal punto di vista del racconto in se stesso, invece, c’è ben poco da dire, perché, a quasi ottantacinque anni, Clint dirige ancora con l’energia di un giovanotto, tenendo alto il ritmo nelle scene di combattimento altrimenti a rischio di ripetitività e poi cambiando decisamente registro nei momenti più intimi o toccanti, così che le oltre due ore di durata quasi non si avvertono: se l’Eastwood migliore sta di certo altrove, qui l’esperienza e i trucchi del mestiere gli consentono di portare comunque a casa il risultato di un buon filmone in fondo senza sbavature (almeno dal punto di vista cinematografico).
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ollipop
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mercoledì 4 febbraio 2015
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clint non sbaglia mai la mira : film capolavoro
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Con la stessa precisione del suo infallibile cecchino , ancora una volta Clint Eastwood colpisce con una pellicola capolavoro portandoci in una guerra assurda come tutte le guerre vissuta attraverso gli occhi la mente e il cuore di un soldato eroe suo malgrado.
Nessuna enfasi nessuna celebrazione nessun compiacimento : addestrato a sparare e quindi a uccidere lo sniper svolge il suo compito e le sue riflessioni non possono che essere attimi tra un colpo e l'altro e tra una morte e l'altra.
Clint si schiera ovviamente col suo cecchino ma solo perché vive la sua guerra , non ne fa un eroe perche' quella non e' una guerra di eroi ; e' una guerra crudele come tutte le guerre e il cecchino ne interpreta un ruolo dove il numero dei bersagli colpiti fa la terribile differenza :la "leggenda" .
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Con la stessa precisione del suo infallibile cecchino , ancora una volta Clint Eastwood colpisce con una pellicola capolavoro portandoci in una guerra assurda come tutte le guerre vissuta attraverso gli occhi la mente e il cuore di un soldato eroe suo malgrado.
Nessuna enfasi nessuna celebrazione nessun compiacimento : addestrato a sparare e quindi a uccidere lo sniper svolge il suo compito e le sue riflessioni non possono che essere attimi tra un colpo e l'altro e tra una morte e l'altra.
Clint si schiera ovviamente col suo cecchino ma solo perché vive la sua guerra , non ne fa un eroe perche' quella non e' una guerra di eroi ; e' una guerra crudele come tutte le guerre e il cecchino ne interpreta un ruolo dove il numero dei bersagli colpiti fa la terribile differenza :la "leggenda" .
Il montaggio la recitazione i dialoghi scarni ed efficaci concorrono a confezionare un film splendido e coinvolgente e dove alcuni stereotipi fanno parte del gioco e possono infastidire qualche critico che di cinema quello vero capisce poco o forse nulla ,
Il cecchino e' leggenda perché Clint e' leggenda!
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francesco maraghini
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martedì 3 febbraio 2015
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attenti al cane pastore
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Una guerra che pur essendo crudele e dolorosa nelle sue conseguenze è moralmente giusta, questo il messaggio che emerge dall’ultimo film di Clint Eastwood, American Sniper, sulla guerra in Iraq.
Già nelle prime scene, che ci riportano all’infanzia di Chris Kyle, il protagonista del film, Eastwood chiarisce subito i tratti essenziali del personaggio. Siamo dalle parti della National Rifle Association (la scena di caccia con il padre), dell’America rurale tutta bibbia e fucile, di una religione protestante in cui la distinzione tra il Bene ed il Male è netta e come dice il padre al mondo si può essere solo o pecore o lupi o cani pastore, ed i suoi figli dovranno seguire chiaramente le orme di questi ultimi.
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Una guerra che pur essendo crudele e dolorosa nelle sue conseguenze è moralmente giusta, questo il messaggio che emerge dall’ultimo film di Clint Eastwood, American Sniper, sulla guerra in Iraq.
Già nelle prime scene, che ci riportano all’infanzia di Chris Kyle, il protagonista del film, Eastwood chiarisce subito i tratti essenziali del personaggio. Siamo dalle parti della National Rifle Association (la scena di caccia con il padre), dell’America rurale tutta bibbia e fucile, di una religione protestante in cui la distinzione tra il Bene ed il Male è netta e come dice il padre al mondo si può essere solo o pecore o lupi o cani pastore, ed i suoi figli dovranno seguire chiaramente le orme di questi ultimi.
E proprio per essere il cane pastore del suo paese, colpito dagli attentati terroristici, Chris diventerà cecchino delle truppe speciali Navy Seals ed in 4 turni passerà 1000 giorni in Iraq a proteggere dall’alto di un tetto con la sua mira infallibile i marines che a terra, in un contesto di guerriglia urbana, affrontano i ribelli iracheni; “maschi in età militare” vengono definiti dalle truppe USA a riprova che ogni civile è un sospetto.
Coerente con la sua formazione Chris non ha dubbi su tutti i bersagli che colpisce, tanto che a chi gli chiede se ha qualche rimorso può rispondere che è pronto a rendere conto a Dio di ogni pallottola sparata e che il suo unico rimorso è per i commilitoni che non è riuscito a salvare.
E qui il film omette tutto quello che è invece stato parte integrante dalle cronache:i danni collaterali, leggasi morti innocenti, causati dai bombardamenti aerei, i civili freddati ai check-point da militari nervosi od uccisi a sangue freddo da soldati in cerca di vendetta per la morte dei loro commilitoni, aspetti ampiamente illustrati in altri film sulla guerra irachena da Redacted di Brian De Palma a Nella valle di Elah di Paul Haggis.
Nella sua lunga permanenza in Iraq Chris trova un degno avversario nel cecchino iracheno Mustafà, atleta olimpico di tiro a segno, che Eastwood sembra quasi ammirare per la sua indubbia capacità militare, ma a cui non da mai la parola per cui non sapremo mai il suo pensiero.
Anche qui siamo molto lontani da quello che il regista era riuscito a fare con il suo doppio film sulla battaglia di Iwo Jima, La bandiera dei nostri padri e Lettere da Iwo Jima: dare voce al nemico giapponese ricostruendo la sua versione dei fatti; ma probabilmente gli Stati Uniti non sono ancora pronti ad ascoltare le ragioni dei nemici iracheni.
E questo è un vero peccato se solo pensiamo al modo magistrale in cui Jean Jacques Annaud aveva mostrato la rivalità tra il cecchino russo e quello tedesco, sullo sfondo della battaglia di Stalingrado, nel film Il nemico alle porte.
E proprio lo scontro finale con Mustafa porterà Chris e i suoi compagni arroccati sul tetto di un edifico nel cuore di Sadr City, in una scena che ci riporta ai mille assedi della cinematografia americana da Fort Apache a Fort Alamo, fino ai marines assediati nella Mogadiscio di Black Hawk Down di Ridley Scott, ed è, a mio giudizio, una delle più irrealistiche di tutto il film.
Dove invece Eastwood non si tira indietro nel mostrarci la crudeltà della guerra è nella descrizione che essa ha progressivamente sulla mente di Chris, che vediamo ad ogni periodo di congedo passato a casa sempre più alienato e vittima dei sintomi dello stress post traumatico. E proprio la scelta di aiutare i reduci vittime come lui lo porterà alla morte.
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peterangel
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lunedì 2 febbraio 2015
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militarista e antimilitarista
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Può un film essere allo stesso tempo militarista e antimilitarista? Normalmente no, ma non c'è nulla di normale nel modo in cui Clint Eastwood dirige questo suo ennesimo capolavoro, mostrando al mondo come l'età anagrafica non sia altro che un'opinione. Il film è certamente militarista, quando celebra le qualità guerriere e gli onori che ne conseguono. È antimilitarista quando mette a nudo le atrocità e le contraddizioni di una guerra dove è labilissimo il confine tra militari e civili. Ma il dilemma è solo apparente, e la sua soluzione sta già all'inizio del film, quando il padre del protagonista riassume la propria visione del mondo classificando gli umani in pecore, lupi e cani pastori. Guai alle pecore, perché i lupi le sbranano.
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Può un film essere allo stesso tempo militarista e antimilitarista? Normalmente no, ma non c'è nulla di normale nel modo in cui Clint Eastwood dirige questo suo ennesimo capolavoro, mostrando al mondo come l'età anagrafica non sia altro che un'opinione. Il film è certamente militarista, quando celebra le qualità guerriere e gli onori che ne conseguono. È antimilitarista quando mette a nudo le atrocità e le contraddizioni di una guerra dove è labilissimo il confine tra militari e civili. Ma il dilemma è solo apparente, e la sua soluzione sta già all'inizio del film, quando il padre del protagonista riassume la propria visione del mondo classificando gli umani in pecore, lupi e cani pastori. Guai alle pecore, perché i lupi le sbranano. Ma guai anche ai lupi, se ci sono i cani pastore a difenderle. No alla debolezza, dunque, ma anche no alla violenza, a meno che questa non sia indirizzata contro i violenti. Emerge così la concezione ebraico-tocquevilliana dell'esercito come braccio armato dello Stato democratico, ma anche la vocazione tutta americana ad autoeleggersi come guardiani del mondo. Ma la dirompente contraddizione tra militarismo e antimilitarismo persiste, ed esploderà dentro la mente del protagonista, padre e soldato, quando – finalmente congedato – egli farà definitivamente riitorno a casa.
Un film geniale, dove l'abilità del regista nel raccontare la guerra, ben certificata da film come Lettere da Iwo Jima e Flags Of Our Fathers, incornicia alcune notevoli soluzioni narrative, come le telefonate al fronte tra il protagonista e la giovane moglie: «un dito sul grilletto e l'altro sul telefono» è forse l'immagine che meglio riassume la lacerante dicotomia interiore tra il padre e il soldato. Che è poi il tema portante di tutto il film. Assolutamente da non perdere.
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ricneg70
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domenica 1 febbraio 2015
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clint eastwood, guerra in iraq e biografia
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Darei quasi 4 stelle, un bel film, non ti annoi praticamente mai. Racconta la storia vera di un ragazzo texano del '74 e morto nel 2013, ma per ironia della sorte non in guerra, bensì da un suo connazionale reduce. Film decisamente non banale, mai scontato, tratta delle motivazioni che hanno spinto il protagonista ad arruolarsi per "difendere" il proprio paese dopo gli attacchi dell'11 Settembre, e partire, dopo il fatidico addestramento (mi ricordava un po' ufficiale e gentiluomo), e partire per l'Iraq nel corpo speciale dei cecchini dell'esercito USA. In effetti i vari film di guerra raramente hanno trattato l'importanza di questo aspetto in battaglia, se non il bellissimo film del 2001 dal titolo "Il nemico alle porte" di Jean-Jacques Annaud, con Jude Law.
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Darei quasi 4 stelle, un bel film, non ti annoi praticamente mai. Racconta la storia vera di un ragazzo texano del '74 e morto nel 2013, ma per ironia della sorte non in guerra, bensì da un suo connazionale reduce. Film decisamente non banale, mai scontato, tratta delle motivazioni che hanno spinto il protagonista ad arruolarsi per "difendere" il proprio paese dopo gli attacchi dell'11 Settembre, e partire, dopo il fatidico addestramento (mi ricordava un po' ufficiale e gentiluomo), e partire per l'Iraq nel corpo speciale dei cecchini dell'esercito USA. In effetti i vari film di guerra raramente hanno trattato l'importanza di questo aspetto in battaglia, se non il bellissimo film del 2001 dal titolo "Il nemico alle porte" di Jean-Jacques Annaud, con Jude Law.
Nel film c'è la storia personale del protagonista, la moglie i figli, e l'avventura del soldato-cecchino che copre le spalle ai convogli americani che battono il territorio, uccidendo a distanza vari attentatori e guerriglieri. L'ambientazione sicuramente è quella di un altro film di questo genere, lo stupendo "Zero Dark Thirty." della Bigelow, film che mi è decisamente piaciuto di più, quindi città mediorientali.
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