Fermo restando che un film di Sorrentino è sempre gradevole da vedere, che è come entrare al museo del Louvre e riempirsi gli occhi di bellezza, un film non è però né un’installazione d’arte né un quadro, deve reggersi su una storia, la fotografia non basta.
Questo corpaccione invece ha due solide gambe, un’idea (descrivere la vacuità di un’esistenza troppo mondana) e un attore di statura eccezionale (Toni Servillo, elegante e autorevole), ma non sa dove andare.
Eccellente nel pennellare il niente e la crisi esistenziale del protagonista. Appiccicaticcio nel maneggiare l’elemento religioso che impasta un po’ alla Nanni Moretti (dopo Habemus Papam com’è possibile ironizzare su religiosi ed ecclesiastici senza riecheggiare Habemus Papam, per l’appunto?), e che sa di posticcio, anche se preannunciato dalle sequenze in cui suore e novizie incrociano il Jep meditabondo (?) che rincasa al mattino. Per non parlare dell’ovvietà della massima: “Mangio solo radici, perché le radici sono importanti”. Pronunciata da una santa incartapecorita a un uomo senza radici e che adesso deve fare i conti con il tempo che è passato e la morte che gli ronza attorno.
L’impressione è che il film potesse chiudersi molto prima. Magari con il personaggio della Ferilli, così autentico da essere percepito come unico elemento vero in un mare di comparse. O forse con l’immagine della Concordia adagiata sul fianco, che lascia intuire l’intenzione del protagonista di rimettersi in gioco e tornare a scrivere.
E si potrebbe continuare per ore, perché il merito dei film di Sorrentino e di far parlare: in bene o in male o per sviscerarne il senso. Tanti gli spunti di riflessione: tra i più sentiti le considerazioni (pungenti, ma che sono di molti e che lui ha interpretato con sagacia e ironia) su certa arte contemporanea che sa di fuffa e le ricostruzioni di feste, festini e companatico che nemmeno un inviato di Dogospia. Il fallimento di una carriera, la rovina di una storia familiare, la vita qualunque calma e ponderata (“Che fate stasera?”; “Niente… Mangiamo, beviamo un bicchiere di vino e stiamo seduti sul divano a guardare la tv”; “Che bella gente che siete!”). Tanta roba insomma, forse anche troppa (ad esempio, era figura indispensabile il vicino di casa super latitante?).
Lo stile di regia resta insuperabile, ma Fellini lo si vede solo perché anche Sorrentino è immaginifico (con tanto di mare sul soffitto). La dolce vita, a cui è stato equiparato questa Grande bellezza, mi pare un’altra cosa… La tromba delle scale è un Fabio Cianchetti nell’Assedio di Bertolucci. La storia d’amore irrisolta ha un retrogusto di Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore. E l’incursione nell’ambiente vip, nelle sue manifestazioni più tamarre e sgraziate, mi ha ricordato Reality di Garrone.
A meno che non si tratti di un omaggio al cinema italiano, da Sorrentino mi aspettavo qualcosa di più. Un guizzo di genio per portare a conclusione una narrazione e una condizione umana che non hanno imboccato nessuna strada.
[+] lascia un commento a lisa casotti »
[ - ] lascia un commento a lisa casotti »
|
zio boris
|
sabato 22 giugno 2013
|
si, ma...
|
|
|
|
D'accordo nell'insieme (avevo dato al mio commento quasi lo stesso titolo) ma: l'idea di "descrivere la vacuità di un'esistenza troppo mondana" è veramente cosi "solida"? Uno, mi pare un soggetto trito e ritrito. Due, a farlo seriamente potrebbe risultare interessante già che non siamo più nel 60 di Fellini e del boom, ma invece nel mezzo di una crisi multiforme (e sull'orlo forse di tempi socialmente terribili). Ma allora, al regista servirebbe l'ausilio non di specialisti in arti visive e in cronaca mondana, ma di qualche vero sociologo. Comunque, il film - e qui ci ritroviamo - non va né là né altrove. Che peccato.Un saluto.AJPM
|
|
[+] lascia un commento a zio boris »
[ - ] lascia un commento a zio boris »
|
|
d'accordo? |
|
|