The Handmaid's Tale

Film 2017 | Drammatico, Fantascienza 60 min.

Regia di Reed Morano, Mike Barker, Daina Reid, Kari Skogland, Kate Dennis, Floria Sigismondi, Jeremy Podeswa, Dearbhla Walsh, Colin Watkinson. Una serie con Elisabeth Moss, Joseph Fiennes, Yvonne Strahovski, Alexis Bledel, Max Minghella. Cast completo Titolo originale: The Handmaid's Tale. Genere Drammatico, Fantascienza - USA, 2017, STAGIONI: 5 - EPISODI: 57

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Ultimo aggiornamento venerdì 11 novembre 2022

Un gruppo di donne è costretto a vivere come concubine senza potersi mai ribellare. La serie ha ottenuto 4 candidature e vinto 2 Golden Globes, 6 candidature e vinto 2 Emmy Awards, 1 candidatura a Satellite Awards, 5 candidature e vinto 3 Critics Choice Award, 8 candidature a SAG Awards, 7 candidature e vinto 2 Writers Guild Awards, 1 candidatura a Directors Guild, 4 candidature e vinto un premio ai CDG Awards, 3 candidature e vinto un premio ai Producers Guild, 1 candidatura a Bafta TV Award, La serie è stato premiato a AFI Awards, 2 candidature a ADG Awards,

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES
CRITICA
PUBBLICO 3,04
CONSIGLIATO N.D.
Il mondo va all'indietro: dal Racconto dell'ancella a The Handmaid's Tale.
Lorenza Negri
Lorenza Negri

Non è fantascienza. E non lo era neanche tre decenni fa, quando il romanzo "Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood debuttò con la sua parabola raggelante della più ripugnante e plausibile delle distopie del XX secolo. "Handmaid's Tale" (titolo originale del libro) è la serie ispirata alla storia di Difred (e supervisionata dalla Atwood, consulente della produzione), giovane donna usata come fattrice in una realtà fittizia dove gli Stati Uniti hanno lasciato il posto a Gilead, un governo totalitario puritano e bigotto che si fa scudo della religione per giustificare lo stupro sistematico e innumerevoli, indicibili altri abusi.

The Handsmaid's Tale (la quale ha già fatto man bassa di candidature agli Emmy nelle categorie principali) descrive come la minaccia dell'estinzione e la perversione della religione abbiano fornito gli strumenti a un pugno di avidi di erigere un governo che, spazzando via ogni briciola di democrazia, ha fatto ripiombare l'umanità nel Medioevo. L'oscurantismo e l'omofobia si affiancano a una sprezzante misoginia mascherata da celebrazione della maternità: il genere umano, avvelenato dalle radiazioni, ha smesso - infatti - di procreare, e i pochi nati sono raramente sani.

Sistematicamente, le donne - tutte le donne - sono state private del diritto di essere intestatarie di un conto in banca, di manifestare la propria opinione e di viaggiare liberamente, ufficialmente per far fronte al rischio dell'estinzione. The Handsmaid's Tale è la storia di June, madre emancipata e intelligente che viene braccata, isolata e rieducata alla sottomissione a suon di torture e rieducazione pavloviana per divenire una fattrice sanzionata dalla sacralità della Bibbia. Di facciata, una devota santa e mite che si immola volentieri offrendo la propria fertilità alle coppie sterili; nella realtà è una schiava costretta allo stupro reiterato e voyeuristico della classe dominante che ha bisogno del frutto di un utero in affitto per consolidare il proprio potere e posizione in società.

June è la voce della miriade di donne "chippate" come capi di bestiame prima di venire consegnate alla famiglia prescelta, la prima di - si auspica - una serie di nuclei destinati a ottenere da loro un pargolo senza deformità. Il destino di June - ribattezzata "Difred" ovvero di proprietà del patriarca a cui viene assegnata - è quello di essere un utero con un essere umano intorno, remissiva, devota e mansueta creatura che viene sottoposta durante i giorni dell'ovulazione a una grottesca cerimonia nella quale lo stupro scimmiotta un capitolo biblico. L'alternativa è la punizione tramite mutilazione, la rieducazione o la condanna a morte.

A Elizabeth Moss - già interprete di serie come Mad Men e Top of the Lake - tocca la parte di June, una donna poco accattivante: non bella, non buona, non eroica. Ha scelto la strada che percorrerebbe chiunque al suo posto, quella che le offre la sopravvivenza. Ingoia a sopporta, mascherando il disprezzo con il servilismo, la ribellione interiore con la compiacenza, il desiderio ardente di vendetta con la mestizia. Difred ha imparato come sopravvivere, abbassando lo sguardo, usando l'astuzia e sfruttando le debolezze dei meschini potenti quando può, concedendosi la spontaneità in un clima di paranoia e diffidenza solo dopo estenuanti disamine. Prudente e doppiogiochista, dotata di un sarcasmo tagliente e ilare, nonostante il clima di terrore nell'intimo cova ancora la scintilla della speranza e della ribellione.

Difred e le donne che la circondano - e si trovano nella sua stessa situazione, come l'instabile Diwarren e la più resiliente Diglen - sono solo una faccia della medaglia; dall'altra parte sono schierate le aguzzine, come l'algida e ariana Serena Joy - moglie trofeo crudele e frustrata dall'incapacità di procreare -, e Zia Lydia - una delle figure femminili che hanno abbracciato la causa, carceriera ed educatrice zelante e spietata delle ancelle. La prima stagione, costellata di flashback, ricostruisce gli eventi che hanno portato alla presa di potere del regime indugiando sul lento, strisciante processo che ha spogliato le donne della propria identità fino a renderle incubatrici.

Handmaid's Tale, si diceva, non è fantascienza. Non lo era quando il romanzo ha visto la luce nel 1985 e la Atwood dichiarò che ogni sopruso lì descritto si ispirava a quello che accadeva veramente da qualche parte del mondo. A ciascun abuso impensabile corrispondeva un ritaglio di giornale che ne descriveva la pratica in qualche luogo, e insieme a molti altri dava forma all'esito potenziale e ominoso di una società possibile, una distopia alla 1984 insospettabilmente vicina. Quando lo show è entrato in produzione, lo showrunner Bruce Miller e la produzione si sono ritrovati di fronte uno scenario sostanzialmente più allarmante*, realizzando con orrore che l'elezione di Trump e la sua politica avevano trasformato la serie da cautionary tale - da storia ammonitrice - a potenziale cronaca della realtà.

La smaccata misoginia del presidente eletto, noto ancora prima della vittoria per le posizioni sessiste, si è concretizzata nelle decisioni politiche che ha sottoscritto (la revocazione della Fair Pay and Safe Workplaces Order di Obama, la reintroduzione della Global Gag Rule e i tagli alle Planned Parenthood, provvedimenti che privano le donne del diritto a una paga equa e di difendersi dalle molestie sul lavoro, che ostacolano l'aborto e inibiscono la prevenzione delle malattie femminili). La prospettiva che la fantasia collassasse sulla realtà si è fatta tanto evidente che gruppi di donne in Oklahoma e altri luoghi hanno reagito protestando vestite da ancelle, indossando la cuffia che nasconde il volto privando dell'identità e la mantella scarlatta delle protagoniste dello show. Lo stesso colore del sangue mestruale (e del parto) e della lettera nella parabola puritana del romanzo classico di Hawthorne, monito di un passato fallocrate e misoneista che può ritornare (e forse lo sta già facendo).

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Episodi: 10
Regia di Mike Barker, Elisabeth Moss, Kari Skogland, Daina Reid, Reed Morano, Colin Watkinson, Kate Dennis, Floria Sigismondi, Jeremy Podeswa, Amma Asante, Deniz Gamze Ergüven, Christina Choe, Richard Shepard, Dana Gonzales, Natalia Leite, Eva Vives, Dearbhla Walsh, Liz Garbus, Bradley Whitford.

Una stagione di passaggio senza troppa sostanza che ha lo scopo di gettare buone premesse per il finale

Recensione di Andrea Fornasiero

In seguito al brutale omicidio di Fred, June è molto scossa, incerta su quale sia il proprio destino e sul bisogno di affrontare la giustizia perché la sua azione di vendetta sia riconosciuta. Luke è sconcertato dalle conseguenze del gesto di June, dalla sua crescente ossessione e instabilità. Serena, ricevuta la notizia, chiede di tornare a Gilead per il funerale del marito, con l'obiettivo di restare nella Nazione in una nuova posizione di potere. Nel farlo provoca direttamente June apparendo in Tv al fianco di sua figlia Danielle. Il governo del Paese è però sempre più nelle mani di Waterford, che insieme a Nick progetta le proprie riforme.

Dedicata inizialmente al tema della vendetta e alle sue conseguenze, la quinta stagione di The Handmaid's Tale gioca a ribaltare le sorti di June e Serena ma soprattutto prepara la futura conclusiva annata.

Sottotraccia alle vicende dei protagonisti assistiamo infatti al vero principale sviluppo della serie, ossia lo slittamento del Canada verso la destra religiosa di Gilead, in reazione all'ondata di profughi ma pure alla costante crisi di sterilità. Più che raccontata e spiegata, questa evoluzione sembra essere una forza inarrestabile già in moto e in sostanza serve a mostrare quello che la serie aveva sempre dato per scontato, ossia come un Paese democratico, con tanto di costituzione che difende i diritti umani, possa scivolare in un incubo totalitario con stupri istituzionalizzati. A fronte della crisi del diritto all'aborto in America il tema suona drammaticamente attuale, così come il fanatismo di una destra simil-trumpiana che ricorre sempre più ad aggressioni e armi da fuoco rispecchia paure del presente americano.

Purtroppo mentre avviene questa mutazione dello scenario canadese, June e Serena non hanno poi molto da fare, la prima cerca di affrontare le conseguenze della vendetta senza successo, quindi prova a ritrovare il proprio equilibrio e poi decide di partecipare di nuovo alla resistenza anti-Gilead, ma in modo poco convinto. Serena tenta di tornare al potere e paga invece finalmente il contrappasso delle proprie azioni, trovandosi a subire una situazione simile a quella di June all'inizio della serie.

Il climax del loro percorso parallelo è la nascita del figlio di Serena, che avviene in condizioni a dir poco disperate, in cui sarebbe coinvolto anche Luke. Quest'ultimo però continua a sembrare un peso non necessario al racconto e infatti ci si riduce addirittura a farlo liberare da un rapimento, in fuori campo, all'improvviso e senza un vero perché: avrebbe di certo avuto più senso che i rapitori lo liquidassero, anche solo per il suo essere un testimone di troppo.

Risulta poi del tutto marginale il ruolo dell'amica Moira, che in passato era stato un personaggio di peso e che ora è poco più di una zia putativa che accudisce la figlia di June. Così come si muove al rallentatore la sottotrama dedicata a Janine e a Lydia, la terribile capò delle Martha che nel suo perverso affetto misticheggiante per le ancelle si sta lentamente ravvedendo.

Più in generale il problema di questa stagione, già in nuce nella precedente, è che c'è troppo Canada e troppo poco Gilead, dove le manovre di Waterford e Nick avrebbero meritato maggior spazio. Così come c'è troppo Tuello, interpretato da Sam Jaeger al solito con un'assenza di carisma pressoché totale.

Il Canada, a differenza delle precedenti stagioni in cui era una sorta di isola felice, accogliente e senza problemi che non fossero burocratici, diventa finalmente un luogo problematico e con la sua tensione, ma dal punto di vista cinematografico rimane analogo alla nostra realtà quotidiana: non ha insomma l'atmosfera fuori dal tempo di Gilead, né i suoi costumi dai colori codificati, né tantomeno i suoi rituali e le sue parate, che nelle loro coreografie hanno fatto la forza della serie.

Per quanto ci siano buone premesse per il finale e alcuni passaggi siano efficaci, questa stagione di The Handmaid's Tale risulta di passaggio e senza troppa sostanza, soprattutto a fronte dei dieci episodi lunghi episodi di cui è composta.

Episodi: 10
Regia di Mike Barker, Kari Skogland, Daina Reid, Reed Morano, Elisabeth Moss, Kate Dennis, Floria Sigismondi, Jeremy Podeswa, Amma Asante, Deniz Gamze Ergüven.

La stagione più movimentata di tutte e che promette un vero rinnovamento

Recensione di Andrea Fornasiero

June è riuscita nell'impresa di far fuggire diversi bambini verso il Canada e Gilead è in subbuglio. Questa azione ha fatto però di lei la donna più ricercata del Paese. Insieme alle sue alleate si è nascosta in una fattoria, una base della rete clandestina Mayday dove la padrona di casa droga il marito per renderlo in offensivo, dopo aver subito abusi ripetuti da lui e da altri uomini negli anni precedenti. June non vuole però solo nascondersi, la rabbia cresce dentro di lei insieme alla fame di giustizia, così prepara una nuova azione. Ma June ha anche un punto debole: la figlia Hannah è ancora nelle mani di Gilead...

La quarta stagione di è sicuramente la più movimentata finora e questo improvviso dinamismo arriva finalmente a chiudere punti rimasti aperti dalle prime puntate. La fine della storia sembra ancora lontana, ma si chiude con la promessa di un vero rinnovamento.

Il cambio di location è pressoché costante nella prima metà della stagione, mentre la seconda parte torna su atmosfere più intimiste e lavora sui personaggi, dando finalmente un senso alla sezione canadese della serie, che non è mai stata tra le più riuscite. Il Canada risulta ancora un posto assai più utopico di quanto la storia e la realtà di quel Paese dicano: basti la notizia di inizio giugno sul ritrovamento delle tombe non indicate di ben 215 bambini nativi. Qui il Canada è invece il regno del contrasto a Gilead e ha semmai il limite di essere fin troppo civile, ossequioso verso la legge e la burocrazia al punto da non poter soddisfare la vendicativa June.

Ma non c'è solo il Canada e non c'è nemmeno solo la fattoria dove June si nasconde all'inizio: la stagione infatti esplora anche la zona di guerra, finora solo nominata nelle scorse annate, mostrandoci finalmente la resistenza di quel che resta dell'America all'orrore di Gilead. E non si tratta di una resistenza poi così eroica, tanto che nemmeno questa lotta partigiana risulta abbastanza aggressiva per June, ormai trascesa a all'implacabilità di una sorta di Furia mitologica. La sua ossessione e la spregiudicatezza che comporta, spesso pagata con il sacrificio degli altri o con il loro contagio verso l'obiettivo della vendetta, è l'elemento più interessante della serie. La protagonista subisce ancora soprusi e torture, ma non è più una vittima: è una combattente, ed è pronta a tutto, anche ad abbassarsi al livello dei propri nemici, suscitando l'orrore dei propri amici. Un personaggio insomma assai più controverso e stimolante, che ben racconta la difficoltà e le scelte estreme del tempo di guerra.

Purtroppo la serie ha comunque ancora molto lentezze: la seconda parte si perde qua e là in digressioni non molto interessanti sui comprimari e pure nella prima metà si arresta l'azione per una sorta di episodio "in bottiglia". Ossia una di quelle puntate in cui una coppia di personaggi è intrappolata in una situazione, a volte anche un solo ambiente, per la durata dell'intero episodio.

Ci sono serie dove gli episodi in bottiglia sono tra le puntate più eccellenti, come la mitica Pine Barrens dei Soprano o Fly di Breaking Bad - che ha lanciato nel mainstream la carriera di Rian Johnson. In Handmaid's Tale la puntata Milk sembra avere la medesima ambizione, con June e Janine intrappolate in un vagone frigorifero che trasporta latte. Il gelo e la necessità di restare sveglie per sopravvivere le esasperano e le obbligano a un duro confronto, senza esclusione di colpi verbali. Il risultato però non raggiunge il livello degli indimenticabili episodi citati, perché non c'è una sorpresa spiazzante, ma solo lo scambio tra due personaggi che già conosciamo molto bene (pur se in un luogo allegorico). Il limite generale della serie del resto è proprio il déja vu: si è ormai desensibilizzati alle atrocità che vengono inflitte a June e si ha la certezza, un po' da cartone animato, che se qualche ancella senza nome rischia la vita finirà per perderla orribilmente. La serie comunque sembra essere uscita dall'impasse e negli ultimi episodi porta nodi al pettine, promettendo stagioni finalmente risolutive.

Episodi: 13 (60 min.)
Regia di Mike Barker, Dearbhla Walsh, Colin Watkinson.

La serie esce dalle secche della stagione precedente. L'inteccio si fa più complesso e June deve mettere alla prova i propri limiti morali.

Recensione di Andrea Fornasiero

June ha messo al sicuro sua figlia Nichole in Canada insieme all'amica Emily, ma è rimasta a Gilead per cercare di salvare anche la sua prima figlia, Hannah. La situazione a casa Waterford prevedibilmente precipita e June viene affidata a un nuovo comandante, Joseph Lawrence, lo stesso che aveva avuto in affidamento Emily. Lawrence è stato un importante ideologo del regime e tutt'ora riveste una posizione di grande potere, anche se in realtà nutre grandi sensi di colpa. La sua prima preoccupazione però non è la propria coscienza, bensì la salute della moglie, sull'orlo della follia. Nel mentre Serena Waterford inizia a tessere il proprio piano per riavvicinarsi a Nichole...

La terza stagione di The Handmaid's Tale ha il difficile compito di uscire dalle secche dell'annata precedente e dopo i primi episodi di assestamento ci riesce piuttosto bene, portando June a mettere alla prova i propri limiti morali.

La protagonista infatti vede inizialmente frustrati i suoi propositi e si trova di fronte a un Lawrence più ostile e impenetrabile di quanto immaginasse, inoltre Serena la sfrutta per cercare di riavere Nichole e come se non bastasse anche la sua nuova compagna di cammino è dalla parte del regime. Tutto questo porta June verso decisioni via via più estreme, in qualche caso anche di immotivata crudeltà, con conseguenze che mettono a rischio la sua sanità mentale.

Se la seconda stagione era una sequenza, anche stancante e discutibile, di torture e uccisioni, in questa nuova annata il tormento si fa più psicologico. Non che manchino passaggi di orrore tra impiccagioni e menomazioni - soprattutto nell'episodio a Washington dove si ricade nei peggiori eccessi - ma l'intreccio è più complesso, sottile e meno ripetitivo. Non ci sono più insomma tentativi di fuga e poi il ritorno a casa Waterford, bensì una progressiva conquista di alleanze e di comprensione dello scenario più ampio, internazionale addirittura, da cui June cercherà di trarre il miglior piano possibile.

Finalmente il Canada perde un po' della facciata da Paese dei balocchi che aveva avuto nelle scorse stagioni (per inciso nella realtà non è un Paese particolarmente aperto ai migranti) e viene inserito in un più complesso scacchiere internazionale, con persino una commissione d'inchiesta dalla Svizzera. Del resto quest'anno Gilead è pressoché in guerra con quello che resta degli Stati Uniti e si parla parecchio di diplomazia, anche se June - e noi con lei - rimane all'oscuro di molte cose.

Nonostante questo sviluppo del mondo del racconto, i tredici episodi sembrano comunque troppi e d'accordo che il ritmo di The Handmaid's Tale è sempre stato interiore e rarefatto, anche perché racconta in sostanza di una prigionia dove il tempo sembra non trascorrere mai, ma arrivati alla terza stagione il risultato è piuttosto risaputo. Si tenta come in passato di scuotere il racconto con l'inserimento di brani pop, a volte con esito felice e a volte molto meno. Per esempio "Sunday Bloody Sunday" degli U2 è presa alla lettera e buttata dove non c'entra nulla rispetto al suo senso più profondo, mentre funziona molto meglio "Heaven Is a Place on Earth" di Belinda Carlisle, qui trasformata in un mantra e contrappunto al momento forse più cupo dell'intera stagione.

Straordinaria come sempre Elisabeth Moss ed efficace anche Bradley Whitford, ma la nuova stagione non offre grandi occasioni ad Ann Dowd. L'episodio dedicatole, con vari flashback sul passato di zia Lydia, svela la banalità del male ma per questa ragione è anche poco avvincente, nonostante l'ottima prova dell'attrice. Lo stesso si può dire della puntata dedicata alla ripresa dal trauma di Emily, che cerca di ristabilire un rapporto con la precedente compagna: un episodio teoricamente importante ma in pratica privo dell'urgenza necessaria a questo punto della serie, anche perché poi Emily non si vedrà quasi più.

La messa in scena comunque mantiene una gran cura formale e sia Mike Barker (che dirige diversi episodi), sia le registe chiamate a portare uno sguardo più femminile, si avvalgono di inquadrature a piombo e di composizioni visive che valorizzano le peculiarità dei sinistri costumi delle ancelle. L'atmosfera a cui danno vita questi tableaux vivants è forse diventata famigliare, ma continua a essere quello che rende The Handmaid's Tale una serie unica.

Episodi: 13
Regia di Mike Barker, Kari Skogland, Reed Morano, Kate Dennis, Floria Sigismondi.

La seconda stagione ha una veste più ambiziosa, con molti camei di prestigio e uno sguardo più ampio sul mondo che racconta

Recensione di Andrea Fornasiero

June ha ricevuto la promessa di una fuga da Nick ma in realtà il veicolo su cui è stata caricata sembra portarla verso la punizione per la propria ribellione al termine della stagione precedente. In un complesso gioco di cappa e spada avrà modo di cercare la libertà, ma la rete che l'aiuta è fragile e basta pochissimo per creare dei buchi nel suo supporto, tanto che June dovrà spesso cavarsela da sola. Nel mentre il padre di loro figlia vive in Canada con Moira, sfuggita al bordello Jezebel, ma entrambi non possono riprendere la loro vita, schiacciati dall'orrore della Repubblica di Gilead dove sanno che June è ancora prigioniera.

Emily è stata deportata nelle terribili Colonie, un campo di lavoro in un luogo venefico e forse radioattivo, dove presto viene raggiunta da un'altra ancella ribelle, Janine.

Dopo il tripudio di premi vinti per la prima stagione, The Handmaid's Tale torna in una veste più ambiziosa, con molti camei di prestigio e con uno sguardo più ampio sul mondo che racconta, ma la storia della sua protagonista si scontra con la fissità del racconto distopico, che è per definizione senza speranza e quindi schiacciato in uno stallo.

"Il mondo nuovo", "1984" e in una certa misura anche "Fahrenheit 451", sono tutte storie interessate più alla descrizione di un sistema totalitario perfetto e asfissiante che non ai loro eroi, vittime predestinate a finire sotto "Il tallone di ferro" (che è il titolo di un meno famoso ma precedente romanzo distopico di Jack London). Sono racconti dell'orrore, moniti a sorvegliare e a difendere la democrazia dalle sue più sinistre derive, mentre il romanzo di Margaret Atwood ha volutamente un taglio più intimistico e, concentrandosi sulla prospettiva di June/Offred, non tenta di descrivere i meccanismi più ampi del sistema, ma solo quelli che governano la vita delle ancelle. Come ne "Il tallone di ferro" il romanzo ha una fine brusca e un epilogo ambientato in un futuro più remoto in cui la dittatura è crollata, una soluzione efficace che però non poteva essere ripetuta da una serie Tv di tale successo.

La seconda stagione di The Handmaid's Tale racconta infatti i tentativi di fuga di Offred, ma non può portarli a buon fine perché tradirebbe il proprio spirito distopico, così la protagonista torna a ritrovarsi incastrata nella casa dei Waterford, dove aveva già trascorso la prima stagione. Qui riprendere il tran tran di abusi e crudeltà (ormai così numerose da essere a rischio di desensibilizzare lo spettatore), mentre lavora sottilmente ad aprire gli occhi alla signora Waterford. Se questi episodi risultano da una parte statici e ripetitivi rispetto a quanto già visto, dall'altra svelano la principale falla del sistema di Gilead. In un sistema totalitario ci deve essere per lo meno una classe di persone che gode del potere e dei suoi benefici, mentre qui anche le sterili mogli di uomini potenti, che ricevono un figlio dalle ancelle, vivono nel terrore di quello che succederà al loro pargolo nel caso sia di sesso femminile una volta cresciuta. Dunque anche lo strato dominante della società cova in seno il proprio malcontento, inoltre si svela come l'integralismo religioso basato sull'interpretazione delle sacre scritture, di cui però è proibita la lettura diretta, sia a sua volta fallace: chiunque abbia dubbi sulla propria fede (e le ragioni certo non mancano a Gilead) è portato a cercare risposte in un libro proibito.

Nonostante questi piccoli ma importanti disvelamenti, le puntate più memorabili della stagione sono sicuramente quelle fuori dalla casa dei Waterford, in particolare l'undicesima in cui June si trova in una casa vuota ad affrontare il parto, un episodio davvero ferale, con tanto di lupo e scenario innevato, che ha un tono compatto e molto diverso dal resto della stagione. Così come la puntata ambientata nelle Colonie o quella in Canada con il viaggio all'estero di Waterford, episodi offrono ulteriori dettagli sul mondo di Gilead e su quello che lo circonda, una strada necessaria per continuare la serie ora che il materiale del romanzo di Atwood è stato superato. Molto probabilmente si muoverà in questa direzione con ancora maggior fermezza la prossima stagione, continuando l'evoluzione da racconto intimistico a storia corale e a suo modo epica di resistenza.

Possiamo del resto capire gli autori non abbiano voluto stravolgere la gallina delle uova d'oro rendendo la seconda annata troppo diversa dalla prima e preferendo un allontanamento più graduale. Il successo ottenuto è stato utile comunque ad arricchire il già ottimo cast con ruoli per Marisa Tomei, Bradley Whitford e volti meno famosi ma dalla solidissima carriera come Cherry Jones (Transparent), John Carrol Lynch (Carnivàle), Clea DuVall (Veep) e persino Oprah Winfrey, in una partecipazione solo vocale come speaker radiofonica e DJ della resistenza.

Se il finale di stagione ha fatto molto discutere in America già la notte della diffusione dell'ultima puntata, c'è di buono che la serie sembra superare definitivamente la fedeltà al romanzo per un'autonomia narrativa. Da qui in avanti dovrà giocarsi, nel bene o nel male, la propria partita.

Episodi: 10
Ispirata al romanzo distopico del 1985 "Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood, The Handmaid's Tale descrive il regime totalitario che si instaura negli Stati Uniti in un futuro molto prossimo. Maschilista, omofobo e puritano, legittima le prevaricazioni attingendo perversamente ai versi della Bibbia. A un passo dall'estinzione - i figli degli uomini sono rari e spesso malformati -, la società di Gilead ha trasformato le poche donne fertili in fattrici schiave dei potenti. La prima stagione della serie che ha esordito sulla piattaforma digitale Hulu narra la storia di June, una di queste ancelle, e della sua famiglia - quel marito e quella figlia a cui è stata strappata pochi anni prima - attraverso incursioni nel passato che ricostruiscono la progressiva obliterazione dei diritti delle donne.
Attraverso lo sguardo attento e sarcastico di June, ancella di un uomo potente quanto debole e della sua impettita e frustrata moglie, The Handmaid's Tale immortala le conseguenze del totalitarismo che lenisce il popolo represso blandendolo con pratiche barbariche - le ancelle incitate al linciaggio dei peccatori, le masse ammonite e contemporaneamente eccitate tramite le esecuzioni pubbliche -, ma senza riuscire a sopprimere i moti di ribellione.
Raggelante, vivida e sarcastica, la serie si avvale di un cast femminile di rilievo su cui spiccano Elisabeth Moss (Mad Men), Ann Dowd (The Leftovers) e Alexis Bledel (Gilmore Girls).
PUBBLICO
RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
domenica 6 dicembre 2020
gianlore

Dopo aver visto i rpimi episodi trovo la storia inquietante, non conoscevo il romanzo originale, quindi ancor più sono inquieto. Spero tutti si rendano cnto del significato della maschera. E non credo sia necessario aggiungere altro visto che al moemnto (dicembre 2020), ci vogliono tutti mascherati con la scusa di una pandemia che i numeri non la confermano.

FOCUS
INCONTRI
martedì 17 luglio 2018
Lorenza Negri

Samira Wiley è fresca di candidatura agli Emmy Awards - i premi della televisione americani - per il ruolo della coraggiosa Moira di The Handmaid's Tale (guarda la video recensione). La serie pluripremiata di TIMVISION ambientata nella tirannica società di Gilead ha servito allo spettatore una seconda stagione ancora più brutale della prima, incentrata su una manciata di donne diverse per ruolo, temperamento e inclinazioni ma accomunate dallo stato di inferiorità a cui il regime le ha relegate. Il personaggio della Wiley - Moira - è ribelle, fiera, gay, una figura complessa che l'attrice ha preso molto a cuore, come ci ha spiegato al Festival della Tv di Monte-carlo.

Prima di interpretare Moira avevi già vestito i panni di un altro personaggio gay, Poussey in Orange is the New Black.
È il motivo per cui all'inizio ero restia ad accettare la parte in The Handmaid's Tale. Avevo già debuttato nel mondo della serialità con la parte di una donna gay, pensavo che scegliendone un'altra sarei finita per sempre categorizzata in quel tipo di ruoli. Oggi sono felice della mia scelta, addirittura sento una certa responsabilità nei confronti della comunità LGBT perché so che per molte persone posso essere un punto di riferimento. Molti hanno avuto una vita difficile dopo aver fatto coming out, io ho avuto la fortuna di avere due genitori che, dopo essermi dichiarata, mi hanno sostenuta e hanno aperto la propria chiesa (sono entrambe pastori) alle persone di ogni orientamento sessuale. Ovviamente hanno perso un sacco di fedeli!

INCONTRI
venerdì 29 settembre 2017
Lorenza Negri

Serena Joy, l'aguzzina di Difred in The Handmaid's Tale, è un personaggio tutt'altro che amabile. La serie di fantascienza distopica, disponibile su TIMVISION dal 26 settembre, ha conquistato i premi più importanti agli Emmy Award (tra cui Miglior Serie Drammatica) grazie alla vividezza con cui ha dipinto la società antifemminista di Gilead. Qui, le figure come Serena Joy fanno parte dell'alta società ma sono incapaci di generare, per questo autorizzate a devolvere le incombenze della procreazione a giovani feconde trattate come capi da riproduzione.

Quella di Gilead è una società terrificante, dove le donne sono le peggiori nemiche delle donne, e dove la frustrazione di non poter partorire trasforma creature come Serena Joy in tiranne senza pietà. Questo ostico ruolo è stato affidato a Yvonne Strahovski, attrice australiana vista nelle serie Dexter e Chuck, che con la sua bellezza algida incarna con bravura Serena Joy, donna all'apparenza dura e razionale ma profondamente instabile.

Abbiamo parlato a quattrocchi del suo personaggio e di questa serie tratta da Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood che punta il dito contro la discriminazione femminile.

INCONTRI
martedì 19 settembre 2017
Lorenza Negri

In The Handmaid's Tale, Joseph Fiennes ha nascosto il suo impeccabile accento da "inglese della regina" per interpretare il Comandante Waterford, eminenza politica di una società - Gilead - che ha sostituto il governo statunitense con una teocrazia. La serie disponibile dal 26 settembre su TIMVISION, fresca vincitrice di otto Emmy Awards (i premi della televisione americani) tra cui Miglior Serie Drammatica, Sceneggiatura, Regia e Attrici Protagoniste e non, lo annovera nel cast con la scomoda parte di un uomo debole, ipocrita e mellifluo, imbarazzato e schiacciato dalle stesse leggi che ha imposto per salvaguardare il presunto benessere del proprio Paese.

Fiennes, il cui nome completo è un suggestivo Joseph Alberic Twisleton-Wykeham-Fiennes, è imparentato con l'esploratore Ranulph Fiennes e con la famiglia reale britannica, suo fratello è l'attore Ralph e i suoi parenti tutti artisti, fotografi, pittori, scrittori, registi o attori come lui.

La sua è una famiglia illuminata, e forse per questa distanza rassicurante con la parte involuta dell'umanità che ha amato interpretare un uomo come Fred Waterford.

NEWS
TRAILER
mercoledì 31 marzo 2021
 

Regia di Reed Morano, Mike Barker, Daina Reid. Una serie con Elisabeth Moss, Joseph Fiennes, Yvonne Strahovski, Alexis Bledel, Max Minghella. Guarda il trailer »

VIDEO RECENSIONE
lunedì 10 giugno 2019
 

Sarà un'annata decisiva per la nuova stagione di The Handmaid's Tale, la serie distopica tratta dall'omonimo romanzo di Margaret Atwood disponibile in esclusiva su TIMVISION. La terza stagione, presentata al Super Bowl con uno spot che invitava eloquentemente [...]

TIMVISION
giovedì 6 giugno 2019
Alessandro Buttitta

"Che sia benedetto lo scontro". È quanto ci indica, senza troppi giri di parole, la terza stagione di The Handmaid's Tale, al via oggi su TIMVISION con tre dei tredici episodi previsti. Sarà un'annata decisiva per la serie distopica tratta dall'omonimo [...]

SERIE TV
giovedì 26 aprile 2018
Ilaria Ravarino

In un futuro neanche troppo lontano, in un mondo in cui le donne sono state private di ogni diritto e trasformate in schiave addette (principalmente) alla riproduzione, ribellarsi al sistema è un atto eroico, indispensabile.

TOP TRAILER
lunedì 22 gennaio 2018
Andrea Fornasiero

Dalla commedia Puoi baciare lo sposo con Diego Abatantuono al western presentato alla Mostra del Cinema di Venezia Sweet Country: la settimana ha visto uscire trailer di tutti i generi. Fino all'attesissima seconda stagione della pluripremiata serie Handmaid's [...]

SERIE TV
lunedì 15 gennaio 2018
 

Dopo il clamoroso successo della prima stagione (vincitrice di 8 Emmy Awards e 2 Golden Globe), The Handmaid's Tale (guarda la video recensione) è pronta a tornare con i nuovi episodi. In attesa del lancio, in programma il 26 aprile (in Italia in esclusiva [...]

VIDEO RECENSIONE
giovedì 28 settembre 2017
 

In un futuro non troppo lontano, gli Stati Uniti d'America sono caduti in favore della società di Gilead. Questo regime, in un mondo devastato da guerre, terrorismo e inquinamento, è guidato da estremisti religiosi che, dopo aver imposto la legge marziale [...]

SERIE TV
martedì 26 settembre 2017
Andrea Fornasiero

In un futuro prossimo la stato di Gilead, (cioè gli Stati Uniti, anche se non sono mai nominati) è precipitato in una dittatoriale teocrazia, dove le donne sono divise in caste, identificate dal colore degli abiti.

NEWS
lunedì 18 settembre 2017
 

The Handmaid's Tale, la serie tv targata MGM Television e Hulu ispirata all'omonimo romanzo di Margaret Atwood (in italiano "Il racconto dell'ancella"), ha trionfato ai 69° Primetime Emmy Awards aggiudicandosi tra gli altri il titolo nelle categorie "Miglior [...]

SERIE TV
venerdì 14 luglio 2017
Anna Lupini

In un futuro distopico gli Stati Uniti D'America sono stati sostituiti dalla società di Gilead, un regime totalitario di fanatici cristiani che ha ridotto il genere femminile in schiavitù. Le donne sono suddivise in quattro categorie: le Mogli, le Figlie, [...]

winner
miglior serie televisiva drammatica
Golden Globes
2018
winner
miglior attrice in una serie televisiva drammatica
Golden Globes
2018
winner
miglior attore ospite in una serie tv drammatica
Emmy Awards
2019
winner
miglior attrice ospite in una serie tv drammatica
Emmy Awards
2019
winner
miglior attrice secondaria serie tv drammatica
Critics Choice Award
2018
winner
miglior serie televisiva drammatica
Critics Choice Award
2018
winner
miglior attrice in una serie televisiva drammatica
Critics Choice Award
2018
winner
miglior scenegg.ra serie televisiva drammatica
Writers Guild Awards
2018
winner
miglior scenegg.ra di una nuova serie tv
Writers Guild Awards
2018
winner
miglior serie tv ambientata nel presente
CDG Awards
2018
winner
miglior poduttore di una serie tv brillante
Producers Guild
2018
winner
programma televisivo dell'anno
AFI Awards
2018
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