jackiechan90
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domenica 18 ottobre 2015
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affresco criminale d'italia
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Da un po' di tempo a questa parte il cinema italiano "d'impegno civile" sta conoscendo un boom sena precedenti. Da "Gomorra di Matteo Garrone in poi la storia d'Italia (soprattutto quella ancora oscura, sotto tanti aspetti, degli "anni di piombo") è stata raccontata attraverso le gesta di boss e bande criminali in un grande affresco storico che si è servito anche della televisione (con le fortunate serie televisive "Romanzo Criminale", "Gomorra" e tra poco anche la serie su "Suburra", esordio Netflix nel nostro paese). Il motivo di questo successo è stata una rilettura estetica, influenzata (è il caso di dirlo) più dal rapporto con l'attualità che non per un'effettiva ricostruzione storica del periodo in questione (dal dopoguerra ad oggi).
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Da un po' di tempo a questa parte il cinema italiano "d'impegno civile" sta conoscendo un boom sena precedenti. Da "Gomorra di Matteo Garrone in poi la storia d'Italia (soprattutto quella ancora oscura, sotto tanti aspetti, degli "anni di piombo") è stata raccontata attraverso le gesta di boss e bande criminali in un grande affresco storico che si è servito anche della televisione (con le fortunate serie televisive "Romanzo Criminale", "Gomorra" e tra poco anche la serie su "Suburra", esordio Netflix nel nostro paese). Il motivo di questo successo è stata una rilettura estetica, influenzata (è il caso di dirlo) più dal rapporto con l'attualità che non per un'effettiva ricostruzione storica del periodo in questione (dal dopoguerra ad oggi). A questo affresco criminale d'Italia oggi si aggiunge "Suburra" di Stefano Sollima, un capolavoro di montaggio estetico-simbolista giocato sugli effetti sonori (i colpi di pallottola mischiati con la musica elettronica) e visivi, con una Roma più cupa e noir che mai (perennemente piovosa) a parte alcuni momenti in cui la luce riempie i volti dei personaggi, quasi sempre nei momenti in cui si preannuncia la loro fine, come in una specie di santino. Ed è proprio il rapporto con la Chiesa il motivo con cui si apre il film: con la decisione, nel Novembre 2011, di papa Ratzinger di dimettersi dalla carica di pontefice, rompendo e scoperchiando così un vaso di Pandora che si porta dietro tutte le macerie di un sistema che, fino a quel momento, aveva retto tutta la città. Sollima decide di raccontare tutto questo, come dicevamo, puntando tutto su un'estetica malavitosa grottesca che diventa una parodia dei malavitosi americani della New Hollywood (alla Scarface per intenderci). In questo senso i personaggi interpretati da Alessandro Borghi, Claudio Amendola e Adamo Dionisi diventano degli archetipi vuoti, dei "nani sulle spalle di giganti". Nani, appunto, che vorrebbero essere quello che non sono e per questo diventeranno dei "vinti" che perdono tutto nel tentativo di apparire come quello che non sono. La tensione tra essere e apparire viene mostrata nell'accostamento tra lo squallore delle vite dei protagonisti e lo sfavillare delle luci nei locali della costa ostiense, teatro barocco di disegni criminosi e appalti truccati. Lo spettatore non ha bisogno di particolari sottotitoli o didascalie, il regista sa bene che tutto quello che viene fatto vedere è quello che vediamo ogni giorno sui giornali e in televisione. I personaggi diventano quasi delle didascalie viventi ed è possibile associarli facilmente ai personaggi reali. Anche la storia, nonostante appaia all'inizio come frammentata in tante trame e sottotrame, si ricompone quasi subito rivelando il disegno criminale che c'è dietro. Perché non c'è niente da nascondere: la realtà viene mostrata per quello che è e le vicende assurgono a paradigma del mondo contemporaneo: un mondo dominato da uomini piccoli e meschini e da donne-vittime (anche se poi saranno le sole che porteranno una luce di speranza nel finale). Rimane, come dicevamo, una forte impronta estetica che mescola action (bellissima la sequenza della sparatoria nel centro commerciale), musica d'effetto e paesaggi desolati, insieme a una bella fotografia della città di Roma, controaltare de "La grande bellezza". Un'estetizzazione che rappresenta la fase estrema di un rapporto sempre più forte tra cinema di genere (soprattutto noir) e impegno civile.
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gabrykeegan
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lunedì 26 ottobre 2015
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il marchio sollima è garanzia
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Stefano Sollima torna sul grande schermo dopo aver raccontato la vita dei celerini in ACAB e aver conquistato critica e pubblico con le grandi serie tv Romanzo Criminale e Gomorra.
Proprio ai due telefilm può far riferimento lo spettatore per ritrovare le stesse atmosfere, ormai affascinato dalla fotografia cruda del paese e dalle dinamiche di azione condite da una così potente caratterizzazione dei personaggi, che quasi sovrasta la vicenda vera e propria.
Ancora una volta, Sollima si affida a un libro di Giancarlo De Cataldo (scritto con Carlo Bonini) da cui trae la storia, rendendola cinematograficamente impeccabile, con quel suo stile che tanto si avvicina alla scuola americana di azione e crudeltà e al noir più oscuro.
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Stefano Sollima torna sul grande schermo dopo aver raccontato la vita dei celerini in ACAB e aver conquistato critica e pubblico con le grandi serie tv Romanzo Criminale e Gomorra.
Proprio ai due telefilm può far riferimento lo spettatore per ritrovare le stesse atmosfere, ormai affascinato dalla fotografia cruda del paese e dalle dinamiche di azione condite da una così potente caratterizzazione dei personaggi, che quasi sovrasta la vicenda vera e propria.
Ancora una volta, Sollima si affida a un libro di Giancarlo De Cataldo (scritto con Carlo Bonini) da cui trae la storia, rendendola cinematograficamente impeccabile, con quel suo stile che tanto si avvicina alla scuola americana di azione e crudeltà e al noir più oscuro.
Le tante scene notturne e la pioggia incessante non lasciano mai spazio ai sentimenti, se non a quelli più dark dell'animo umano e alla spicciola malignità di un sottobosco così putrido da inglobare qualsiasi strato della società.
Dal Vaticano in subbuglio per un Papa Ratzinger che pensa alle dimissioni, al politico (Pierfrancesco Favino) che si immischia in qualcosa più grande di lui, ma riesce comunque a influenzare i colleghi per la buona riuscita dell'affare. A dirigere il tutto c'è un ex componente della Banda della Magliana, Samurai (Claudio Amendola) che smessi i panni del grezzo criminale di periferia, gira per la città dispensando ordini e cercando di mantenere una paradossale pace tra criminali pur di far guadagnare ogni pezzo di questo marcio meccanismo.
Più giù nella piramide si trovano invece Numero 8 (Alessandro Borghi) e Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi) che si sfidano a colpi di pistole, sangue e vendette per difendere il loro potere a Ostia e l'orgoglio di Rom trapiantati nella capitale per gestire loschi traffici. Alla base, in questo mondo dove la giustizia sembra non esistere, si trova il pr Sebastiano (Elio Germano), suo malgrado coinvolto in questo giro di soldi e violenza, e che pur essendo un pesce piccolo, innesca un cortocircuito che porta a eventi imprevedibili.
La scelta di eliminare il poliziotto protagonista del libro dalla trama del film è volutamente significativa. Come in Gomorra, non c'è nessun rappresentante delle forze dell'ordine e quindi non ci sono personaggi positivi, ma ogni protagonista della pellicola ha le sue debolezze e il suo lato negativo portato all'estremo.
È una pellicola senza filtri, in cui sesso, droga e violenza vengono rappresentate con lo stile tipico di Sollima e soprattutto come referenti rappresentativi di una realtà che si è poi rivelata essere tutt'altro che cinematografica (il film è stato girato prima della scoperta dello scandalo "Mafia Capitale").
Attori veramente al top della loro interpretazione, con un Favino superlativo, bravissimo nel modulare voce e gesti di un viscido politico della nostra disastrata classe dirigente e un Amendola che interpreta magistralmente un personaggio che in comune coi Cesaroni ha solo la cittadinanza.
Le due ore scorrono su una costante liquida (fatta di pioggia,mare, sudore e sangue), con un montaggio perfetto e le musiche degli M83che assordano, ma allo stesso tempo fanno rimbombare la cassa di risonanza delle aspirazioni malvagie che avvolgono la vicenda. Le canzoni sono parte integrante di questo progetto che coinvolge tutti e soprattutto non risparmia nessuno, tra morti previste ed esecuzioni necessarie, tra accordi saltati e agguati improvvisi.
Nonostante la grandezza dell'opera, si rimane con una sensazione di incompletezza, perché è tutto troppo grande per concludersi con l'inevitabile finale. E allora appuntamento con la serie che sbarcherà nel 2017 su Netflix, sperando che sia all'altezza di questo lungometraggio e sbrogli maggiormente una matassa intrisa di malaffare e coscienze vendute al diavolo.
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carlosantoni
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domenica 18 ottobre 2015
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romanzo politico-criminale
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Un film eccellente, dai moltissimi pregi, e parto dal primo per importanza: è una vera lezione di istituzioni parlamentari: mostra infatti che cosa sia veramente diventato (o forse sia sempre stato) il nostro parlamento, a cosa realmente serva, quale sia il reale rapporto tra rappresentanza politica e quella che in genere si definisce “società civile” (dove l’aggettivo “civile” va inteso però hegelianamente come “borghese: una società intrinsecamente violenta e iniqua, dove di civile non c’è proprio niente), chi davvero comanda, al di là delle apparenze, tra “mondo di sopra” e “mondo di mezzo”. Direi che marxianamente ci mostra (e non so se questo sia stato l’intendimento del regista) un aspetto del rapporto fra struttura economico-sociale e la corrispondente sovrastruttura ideologico-istituzionale.
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Un film eccellente, dai moltissimi pregi, e parto dal primo per importanza: è una vera lezione di istituzioni parlamentari: mostra infatti che cosa sia veramente diventato (o forse sia sempre stato) il nostro parlamento, a cosa realmente serva, quale sia il reale rapporto tra rappresentanza politica e quella che in genere si definisce “società civile” (dove l’aggettivo “civile” va inteso però hegelianamente come “borghese: una società intrinsecamente violenta e iniqua, dove di civile non c’è proprio niente), chi davvero comanda, al di là delle apparenze, tra “mondo di sopra” e “mondo di mezzo”. Direi che marxianamente ci mostra (e non so se questo sia stato l’intendimento del regista) un aspetto del rapporto fra struttura economico-sociale e la corrispondente sovrastruttura ideologico-istituzionale. È insomma un film politico, come ce ne sono pochi.
Per storia, che è storia multipla e al tempo stesso unitaria, stile del raccontare (e del filmare), e location urbana e suburbana, non si può non pensare a “Gomorra”, a “Romanzo criminale” e a “La grande bellezza”: innegabili filoni collegano il solido film di Sollima a quelli appena citati. Di squisitamente suo, Sollima e/o gli autori del romanzo che sta alla base del film (Bonini e De Cataldo), ci mettono il rapporto fondamentale tra mondo della criminalità e della speculazione, e sfera della rappresentanza politica, tanto che tutta la vicenda si svolge attorno a questo nefasto rapporto, illuminando così efficacemente l’essenza politico-gangsteristica della nostra attuale realtà. Bravi gli attori, e non soltanto Favino, davvero tutti bravi ed efficaci nel ricoprire i diversi personaggi, inutile elencarli. Ottimo il commento sonoro, splendida la fotografia, eccellente il montaggio, incalzante e nervoso.
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dhany coraucci
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giovedì 5 novembre 2015
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conto alla rovescia con il giorno dell'apocalisse
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Il conto alla rovescia con il giorno dell'Apocalisse mi ha conquistato immediatamente. E subito ho pensato: ecco un altro film italiano che pensa in grande, con sicurezza, maestria e forte personalità. E' un bellissimo noir che attinge a quella tradizione letteraria di sicura efficacia che si basa su solidi fatti realmente accaduti, abilmente ricostruiti e ambientati, per raccontare la storia “nera” di una sconfitta che è individuale e universale allo stesso tempo. Qui siamo a Roma, nel 2011. Che poi si ritrovi quella storia tutta italiana di corruzione, degrado e potere che intreccia, avviluppa e fonde in un unico rovo cariche politiche, religiose e mafiose, non è il principale merito di questo film perché, per quanto mi riguarda, mi è piaciuto proprio da un punto di vista squisitamente cinematografico che significa aver messo in scena la storia di personaggi ben scritti e interpretati, alcuni davvero carismatici e affascinanti, pur nella loro negatività (Claudio Amendola tra tutti), aver dato al film un gran ritmo, aver calibrato le scene violente (se non sadiche) con una rude, dolorosa poesia e aver realizzato ottime scene d'azione, come la sparatoria nel supermercato che non ha niente da invidiare a quelle dei maestri americani.
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Il conto alla rovescia con il giorno dell'Apocalisse mi ha conquistato immediatamente. E subito ho pensato: ecco un altro film italiano che pensa in grande, con sicurezza, maestria e forte personalità. E' un bellissimo noir che attinge a quella tradizione letteraria di sicura efficacia che si basa su solidi fatti realmente accaduti, abilmente ricostruiti e ambientati, per raccontare la storia “nera” di una sconfitta che è individuale e universale allo stesso tempo. Qui siamo a Roma, nel 2011. Che poi si ritrovi quella storia tutta italiana di corruzione, degrado e potere che intreccia, avviluppa e fonde in un unico rovo cariche politiche, religiose e mafiose, non è il principale merito di questo film perché, per quanto mi riguarda, mi è piaciuto proprio da un punto di vista squisitamente cinematografico che significa aver messo in scena la storia di personaggi ben scritti e interpretati, alcuni davvero carismatici e affascinanti, pur nella loro negatività (Claudio Amendola tra tutti), aver dato al film un gran ritmo, aver calibrato le scene violente (se non sadiche) con una rude, dolorosa poesia e aver realizzato ottime scene d'azione, come la sparatoria nel supermercato che non ha niente da invidiare a quelle dei maestri americani. E poi, particolare che a molti lascerà indifferenti ma non me, accompagnare il tutto a una colonna sonora di grande raffinatezza: i brani sono quelli degli M83, un gruppo francese alternative di synth-pop lirico, psichedelico, digitale e introspettivo, a tratti perfino straziante con accenni di disperata sacralità. Scandita quindi dall'approssimarsi dell'Apocalisse, intesa come “rivelazione” o disvelamento, la storia procede mostrando come i personaggi si agganciano gli uni agli altri inestricabilmente, con i fili sottili e tenaci di un'impressionante e funesta ragnatela. E poi, lasciatemelo dire: bellissima quella pioggia torrenziale!
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themaster
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martedì 10 novembre 2015
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"oltre al sociale,una forte valenza biblica"
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Stefano Sollima è forse uno dei pochi eredi del cinema di genere italiano e,più di preciso,del genere crime e "poliziottesco",un regista straordinario che riesce a portare in scena dei prodotti veramente di qualità,cosa che,non può altro che far piacere invasi come siamo da spocchiosi e finti autori come Virzì e Ozpetec,buoni solo a raccontare storielle prive di mordente e vera cattiveria.
ACAB,il primo film di Sollima ha fatto scalpore,sarà per la forte cattiveria,sarà perchè i protagonisti erano dichiaratamente fasci,la pellicola non venne apprezzata,io dal canto mio lo trovo un film fighissimo e chi non lo ha apprezzato non lo ha capito.
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Stefano Sollima è forse uno dei pochi eredi del cinema di genere italiano e,più di preciso,del genere crime e "poliziottesco",un regista straordinario che riesce a portare in scena dei prodotti veramente di qualità,cosa che,non può altro che far piacere invasi come siamo da spocchiosi e finti autori come Virzì e Ozpetec,buoni solo a raccontare storielle prive di mordente e vera cattiveria.
ACAB,il primo film di Sollima ha fatto scalpore,sarà per la forte cattiveria,sarà perchè i protagonisti erano dichiaratamente fasci,la pellicola non venne apprezzata,io dal canto mio lo trovo un film fighissimo e chi non lo ha apprezzato non lo ha capito.
Con questo Suburra Sollima ha portato in scena qualcosa di differente ma che però riesce a colpire nel segno e a ricordare,un certo tipo di vecchia scuola,come poteva essere Umberto Lenzi,Fernando Di Leo e un certo stile nel portare in scena l'azione e il noir.
La regia di Suburra è un qualcosa che difficilmente si vede in un film nostrano,vi sono inquadrature "sporche" e ricercatissime alla Michael Mann (anche se il livello è ben altro),scene d'azione serrate,crude e che lasciano ben poco all'immaginazione,e un approfondimento dei personaggi veramente potente,grandioso e epico,in un certo senso,antiepico se si guarda il tutto da un punto di vista puramente umano,inoltre la fotografia ben si adatta all'ambientazione romana che si sente tutta e questo non può che far piacere,inoltre una cosa che mi ha fatto veramente molto piacere è stato non puntare su un'ambientazione modaiola come quella di Gomorra e quindi le zone della Campania eccetera,ma ci si è tenuti ben saldi su Roma,la città preferita da Sollima almeno per quanto si capisce e questa passione si vede tutta,qui la città eterna è presentata come pericolosa,piena di insidie,un posto in cui,se imbocchi il vicolo giusto(o sbagliato) puoi trovare di tutto,veramente di tutto.
Il cast è di tutto rispetto,Pierfrancesco Favino interpreta un personaggio sgradevole,cattivo e pronto a tutto,simbolo della politica corrotta e dello smacco nei confronti della società da parte di questa classe sociale,anche se,in questo marasma di personaggi,quello che mi ha colpito di più è Numero 8,interpretato da Alessandro Borghi che rappresenta la criminalità nella sua forma più violenta,un personaggio che tuttavia,a differenza degli altri è mosso da qualcosa di più del profitto,che incarna il pensiero in cui il pubblico si riconosce,del volere il meglio per la propria città,in questo caso Ostia e di volerla sempre vedere al meglio,tutti i protagonisti sono infatti coinvolti in un progetto task force tra criminalità,governo e clero per creare una città nuova,una sorta di Las Vegas romana e per farlo,milioni in appalti,cambiali,stanziamenti pubblici usati in malomodo e un teatrino dell'eccesso che,giunti ai titoli di coda lascia una forte sensazione di nausea,ma anche la piacevole sensazione di avere visto un'opera totale,che,oltre al sociale ha anche una forte valenza biblica,gli eventi sono suddivisi in giorni,fino al suo culmine chiamato tramite didascalie l'Apocalisse,che sta ad indicare per l'appunto la caduta del governo Berlusconi e la nomina,scevra di elezione del governo tecnico,qui rappresentata per ciò che è,la fine,l'ultima goccia che fa traboccare il vaso,emblematica è la pioggia in cui il tutto inizia e in cui il tutto si conclude,simbolo del diluvio universale,la pioggia che inonda le strade ma che al posto di lavare via i peccati,riempie le fogne a tal punto che questo male,questo cancro non può fare altro che sgorgare e da quel momento il male,il sesso,la droga e gli omicidi non possono fare altro che aumentare,vorrei concludere quindi con una citazione di Roarshach,personaggio di Watchmen,il quale fa un monologo che ben si adatta a questo contesto "(...)Questa città ha paura di me. Io ho visto il suo vero volto. Le strade sono lunghi rigagnoli,e i rigagnoli sono pieni di sangue e quando alla fine le fogne si ricopriranno di croste......tutti i parassiti affogheranno,il sesso e i delitti accumulati come sudiciume li sommergeranno fino alla cintola e le puttane e i politici guarderanno vero l'alto e grideranno :-Salvaci!!- e io sussurrerò.....No.Ora il mondo è in bilico,contemplando quel terribile inferno sotto di se.....tutti quei liberali,intellettuali e meliflui chiacchieroni....all improvviso nessuno sa più cosa dire. Sotto di me,questa orribile città urla come un mattatoio pieno di bambini ritardati e il crepuscolo puzza di fornicazione e di coscienze spoche.(...)
Voto 8.5/10
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vileto
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giovedì 22 ottobre 2015
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suburra capolavoro
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Stupendo, perfezionato nei dettagli più piccoli, intenso, colonna sonora perfetta, come se fosse stata creata apposta.
Uno dei pochi film italiani, nonostante sia amaro e non facile da vedere perchè rispecchia molto la realtà, che rivedrei ancora tante volte con piacere perchè Sollima e il suo team sono stati dei veri professionisti della cinematografia italiana.
Si vede che ha investito tempo, denaro e tanti sacrifici, sforzi, passione e amore in ciò che fa. Ne fossero di più come lui....
Alessandro Borghi, Pierfrancesco Favino e Elio Germano in alcune scene mi hanno lasciata senza fiato talmente ero coinvolta, non bravi, di più, intensi, coinvolgenti, linguaggio non verbale vivo profondo.
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Stupendo, perfezionato nei dettagli più piccoli, intenso, colonna sonora perfetta, come se fosse stata creata apposta.
Uno dei pochi film italiani, nonostante sia amaro e non facile da vedere perchè rispecchia molto la realtà, che rivedrei ancora tante volte con piacere perchè Sollima e il suo team sono stati dei veri professionisti della cinematografia italiana.
Si vede che ha investito tempo, denaro e tanti sacrifici, sforzi, passione e amore in ciò che fa. Ne fossero di più come lui....
Alessandro Borghi, Pierfrancesco Favino e Elio Germano in alcune scene mi hanno lasciata senza fiato talmente ero coinvolta, non bravi, di più, intensi, coinvolgenti, linguaggio non verbale vivo profondo...
Alcune scene sono state molto difficile da vedere, ma sono cose come detto prima che rispecchiano la realtà ed è per questo motivo che credo sia ancora più difficile filmarle.
Film apocalittico, amarissimo, ma mai cattivista da happy hour. Splendido l'angelo tossico della vendetta, Viola. Come tutto il cast.
Vorrei essere critica ma non ci riesco, perchè quando un professionista fa un capolavoro, merita che gli sia detto e confermato dal pubblico che se ne intende di cinematografia...
Sollima e il suo team Complimenti con un grande C!!!
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maramaldo
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lunedì 26 ottobre 2015
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gotham city...o cinesuburra?
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"Sotto un manto di ...pianto, Roma fosca mi appare"
Penso anch'io che Sollima abbia tratto ispirazione dai luigubri ed inquietanti fondali su cui si erge, torvo e letale, Batman: Gotham City. Non foss'altro per la nota assonanza con God damn City. Come dire: un postaccio, che Dio lo stramaledica!
Suburra, basta la parola. Rifugio di reietti, covo di ribaldi, punto di raccolta della feccia della società. Caratteristiche, queste, che oggi si estendono all'Urbe intera. (Era questo il messaggio, vero?)
Ma, richiamo metastorico, atmosfere da incubo, simbolismi da fine del mondo erano necessari per raccontare una storia, tutto sommato, di ordinario malaffare che s'intreccia col triste destino di malavitosi di mezza tacca? Cosa copre o nasconde l'Autore nel ritmo di un thriller, negli spari da gangsters movie, nelle scene di débauche piaciute a tanti?
Non la condanna di un moralista ( e lo spettatore gliene è grato; Sollima, come tant'altri, ha già dato).
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"Sotto un manto di ...pianto, Roma fosca mi appare"
Penso anch'io che Sollima abbia tratto ispirazione dai luigubri ed inquietanti fondali su cui si erge, torvo e letale, Batman: Gotham City. Non foss'altro per la nota assonanza con God damn City. Come dire: un postaccio, che Dio lo stramaledica!
Suburra, basta la parola. Rifugio di reietti, covo di ribaldi, punto di raccolta della feccia della società. Caratteristiche, queste, che oggi si estendono all'Urbe intera. (Era questo il messaggio, vero?)
Ma, richiamo metastorico, atmosfere da incubo, simbolismi da fine del mondo erano necessari per raccontare una storia, tutto sommato, di ordinario malaffare che s'intreccia col triste destino di malavitosi di mezza tacca? Cosa copre o nasconde l'Autore nel ritmo di un thriller, negli spari da gangsters movie, nelle scene di débauche piaciute a tanti?
Non la condanna di un moralista ( e lo spettatore gliene è grato; Sollima, come tant'altri, ha già dato). Direi, piuttosto, una avversione viscerale nei confronti di u na genia che considera abietta, quella che imbratta il volto olimpico della Città Eterna. Ciò lo muove ad una pulsione distruttiva, alla libido sadica della punizione cosmica o, quanto meno, epocale, se possibile. Sentimenti che sa trasmetterci. Noi tutti "uccidiamo"con lui. Quando l'onorevole Malgradi impreca disperato inseguendo le auto prredenziali, poco ci manca che si levi un applauso in sala. Così come abbiamo trepidato per quel vigliaccone di Sebastiano, non vedevamo l'ora che uscisse da quella gabbia non prima, però, di aver assicurato il patriarca troglodita dell'Anacleti alle attenzioni della creatura che aveva cresciuto.
Per inciso, che stoffa di attore quell'Elio Germano. Passa dal nobile all'ignobile senza fare una grinza. Ma son tutti perfetti, maschi e femmine. Anche le figure minori. Perfino i ritratti fuggevoli, (quegli ecclesiastici al ristorante: due gaglioffi travestiti da prelati).
E tutti vengono soppressi o scompaiono senza tante chiacchiere.Senza spiragli di redenzione o barlumi di speranza. Buio profondo, da deserto delle coscienze. Come nei migliori noir.
Ma siamo sicuri che non ci sia un briciolo di un discorso etico? Qualcosa sospetto. Forse un omaggio, un riconoscimento (tardivo e solitario). Le dimissioni del millennio. Il Vaticano con brevi accenni era stato servito, come da manuale quando si tratta di cose riprovevoli che accadono sulle rive del Tevere. Ma allora, quell'anacronismo tirato per i capelli, per dire che? Wie lange dauert una persona per bene a...Gotham City? Apocalisse, poi. A Roma la si fa all'amatriciana.
Non ci credete? E' di questi giorni (ottobre 2015). Qualcuno, forse fuorviato dall'assonanza di suburra con gomorra, l'ha presa in burletta. Facendo esattamente quello che avrei fatto io se mi fossi trovato nelle vicinanze di Penelope Cruz: farsi riprendere assieme con i divi. Non doveva, dicono severamente. Per me una "zingarata" divertente se non proprio innocente. Come quella coeva, autentica, delle esequie del capotribù (sempre a Roma, e dove sennò). Uno stupendo "grottesco" felliniano": una carrozza barocca, cavalli bianchi, petali di rose. Non capisco gli strilli sia nell'uno che nell'altro caso. Ma fateci...un Oscar.
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bob11_17
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martedì 3 novembre 2015
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l’ennesimo tributo alla nostra “bella” italia
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Eccoci arrivati all’ultima fermata di questo viaggio.
E sì, perché Suburra lo possiamo definire come il capitolo conclusivo degli altri tre precedenti capitoli firmati Stefano Sollima: Romanzo Criminale la serie, A.C.A.B. e Gomorra la serie. L’idea del regista era chiara fin da quando decise di far prendere vita alla ormai famigerata Banda della Magliana, perché è da lì che cominciò tutto, è da lì che poi uscì tutto il resto. In questi anni abbiamo visto nelle nostre sale cinematografiche una ricostruzione dettagliata di come la criminalità italiana da nord a sud abbia compiuto la sua ascesa al potere totale, di come una persona uscita fuori dal nulla possa costruire sotto a se di anno in anno un vero e proprio impero basato su attività illecite, traffico di droga, corruzione e di come lo “Sbirro” adotti a volte dei metodi un po’ discutibili per esercitare la propria professione.
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Eccoci arrivati all’ultima fermata di questo viaggio.
E sì, perché Suburra lo possiamo definire come il capitolo conclusivo degli altri tre precedenti capitoli firmati Stefano Sollima: Romanzo Criminale la serie, A.C.A.B. e Gomorra la serie. L’idea del regista era chiara fin da quando decise di far prendere vita alla ormai famigerata Banda della Magliana, perché è da lì che cominciò tutto, è da lì che poi uscì tutto il resto. In questi anni abbiamo visto nelle nostre sale cinematografiche una ricostruzione dettagliata di come la criminalità italiana da nord a sud abbia compiuto la sua ascesa al potere totale, di come una persona uscita fuori dal nulla possa costruire sotto a se di anno in anno un vero e proprio impero basato su attività illecite, traffico di droga, corruzione e di come lo “Sbirro” adotti a volte dei metodi un po’ discutibili per esercitare la propria professione. Tutti noi questi personaggi attraverso lo schermo abbiamo avuto modo di conoscerli, li abbiamo visti crescere, episodio dopo episodio, scena dopo scena arrivando anche ad ammirarli, a vederli come dei modelli da seguire. Ormai nei social vengono create apposite pagine dove vengono appuntate le frasi più celebri, più da “duri” che i nostri attori recitano interpretando il criminale in questione. Ma Suburra proprio perché è la conclusione di tutto è una storia leggermente diversa; qui non si parla più di ascesa al potere o a farsi la guerra con pistole e bombe, ormai si va oltre in Italia, non serve più fare casino, meglio agire con calma e in silenzio. Il film è incentrato su un giorno in particolare, definito in modo fantasioso dal regista e dall’omonimo libro di Giancarlo De Cataldi come “l’Apocalisse” e viene spiegato anche perché: le vicende ripercorrono i sette giorni precedenti al 2 novembre 2011 giorno in cui il Presidente Silvio Berlusconi rassegna le sue dimissioni, immaginando che, proprio allora, Papa Ratzinger prenda la fatidica decisione di abbandonare il ruolo di pontefice. I presupposti per l’Apocalisse ci sono tutti, perché ci troviamo davanti a due avvenimenti non da poco, ma siamo veramente sicuri che se si ricominciasse da zero si riuscirebbe a ricreare una nazione, un mondo completamente rinnovato dove gli esseri umani sfrutterebbero una seconda chance? La risposta ci viene data dal “Samurai”, il boss della malavita Romana interpretato da un grandissimo Claudio Amendola che alla notizia della caduta del governo rilascia un semplice commento: “E’ caduto il governo? Nessun problema, troveremo un altro politico corrotto da spremere”. Grazie a questa affermazione capiamo a che tipo di Apocalisse si va incontro; un semplice giro di boa, un leggero e imprevisto cambio di programma, un cambiamento che può giusto preoccupare qualche parlamentare il quale si trova improvvisamente senza più una poltrona in parlamento, nulla di apocalittico insomma.
Ed è qui che si arriva al termine del lungo viaggio di Stefano Sollima; con questo film lui scrive la parola FINE ad un ciclo iniziato nei lontani anni 70 arrivando fino ai giorni nostri. Un ciclo che ora ricomincerà di nuovo, magari con un nuovo “Samurai”, un nuovo “Ciro l’immortale” o addirittura una rinnovata banda della Magliana ancora più potente della precedente. E magari fra vent’anni saremo di nuovo qua a parlare di un’altra “Apocalisse”.
Noi gente comune non possiamo fare nulla purtroppo. Siamo troppo incompetenti e troppo “poveri” per confrontarci a loro. Siamo solo capaci ad andare a urlare sotto il palazzo del “Governo” e buttare fango sui nostri rappresentanti che lavorano per noi, che mandano avanti una nazione stringendo accordi con la criminalità e di tanto in tanto si concedono qualche nottata passionale con Escort molto attraenti e il più delle volte minorenni.
Questo è Suburra, una triste verità Italiana.
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valterchiappa
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martedì 24 ottobre 2017
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il malaffare diventa prodotto di serie
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C’è un genere in cinematografia che a ragione può definirsi tipicamente italiano, perché dalla storia o dalla cronaca del nostro paese attinge materia inesauribile: è quello che si incentra su tutte le declinazioni dell’italico malaffare.
Quando eravamo un popolo di persone semplici, erano solo racconti di guardie e ladri: un commissario fascinoso e malinconico, bande organizzate alla bell’e meglio, rapine, spaccio, violenza da guappi, criminalità spiccia. Erano i “poliziotteschi” degli anni ’70, B-movies realizzati con pochi metri di pellicola e tanto talento: arditi movimenti di macchina, il montaggio serrato, le colonne sonore di Franco Micalizzi, perle che un cinefilo d’oltreoceano, Quentin Tarantino, ha saputo riportare alla luce.
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C’è un genere in cinematografia che a ragione può definirsi tipicamente italiano, perché dalla storia o dalla cronaca del nostro paese attinge materia inesauribile: è quello che si incentra su tutte le declinazioni dell’italico malaffare.
Quando eravamo un popolo di persone semplici, erano solo racconti di guardie e ladri: un commissario fascinoso e malinconico, bande organizzate alla bell’e meglio, rapine, spaccio, violenza da guappi, criminalità spiccia. Erano i “poliziotteschi” degli anni ’70, B-movies realizzati con pochi metri di pellicola e tanto talento: arditi movimenti di macchina, il montaggio serrato, le colonne sonore di Franco Micalizzi, perle che un cinefilo d’oltreoceano, Quentin Tarantino, ha saputo riportare alla luce.
Oggi il racconto del malaffare è diventato un business. La diffusione di quella fiction che è l’informazione da web ha illuso l’utente di accedere alle stanze dei bottoni, di gettare luce sulle trame oscure che tessono i destini dei popoli, creando interesse morboso per le perverse quanto ipotetiche connessioni fra i poteri di ogni tipo. Nelle nuove trame i delinquenti da strada sono diventati così gli infimi pedoni in una scacchiera immensa, terminali di una rete dalla maglia intricatissima, che allo spettatore, con accorto sensazionalismo, si fa credere che venga svelata. I suoi profondissimi quanto ipotetici gangli, Mafia, Massoneria, Stato, Chiesa, i poteri forti dell’economia diventano prodotti di un processo di deificazione negativa, in cui riporre le cause di ogni male della società. Non da escludere inoltre, fra i motivi di tanto successo, il fascino inconfessabile che questo tipi di criminali esercitano. Non più bulli di borgata, non più padrini con la coppola, ma uomini gaudenti, immersi nella bella società ed in ogni tipo di tentazione mondana: soldi, droga, donne bellissime. A questo ci hanno insegnato a mirare la cultura imperante e gli ultimi decenni della vita politica.
Film come “Gomorra” e “Romanzo criminale” hanno aperto nuovi scenari, anche per le intrinseche qualità artistiche. Ma non è ai capistipite che dobbiamo riferirci, per valutare un film come “Suburra”, ma piuttosto alle serie televisive che hanno seguito, come romanzi di appendice, sia il film di Matteo Garrone che quello di Michele Placido. Perché “Suburra”, prima che un’opera artistica, come le serie Tv, è un prodotto di largo consumo. E non è un caso che, come le serie Tv, sia diretto dallo stesso regista, Stefano Sollima.
Già nel titolo assonante, “Suburra” si inserisce nella traccia di “Gomorra” (il prossimo, magari un film sulle tangenti, potrebbe lecitamente chiamarsi “Caparra”). Rispetto ai film degli anni ’70 rimane un elemento comune, funzionale da sempre all’efficacia della narrazione: la precisa contestualizzazione geografica. Non più “Napoli a mano armata”, ma nemmeno le vele di Scampia e le case “sgarrupate” dell’hinterland napoletano; messa a fuoco è l’opulenza della Capitale, la città che, come scrisse De Gregori, “è una cagna in mezzo ai maiali”, Roma con i suoi multiformi scenari, dagli aulici resti della Grande Bellezza al degrado delle periferie, dove troneggia volgare la ricchezza degli zingari o dei boss del litorale.
Un titolo – etichetta, un soggetto di largo gradimento, uno sfondo in cui identificarsi, tutti elementi di un marketing accuratissimo. “Suburra”, sia bene inteso, è ottimamente confezionato. La regia è sapiente, il ritmo incalzante; in evidenza soprattutto la fotografia, in un film che sceglie il nero come colore dominante. Ma è la ragione più che l’estro a pesare gli ingredienti. Tutto sa di mestiere, più che di talento. Ciò appare evidente nella scrittura: personaggi (triste dirlo) ormai stereotipati come il politico corrotto, o dal taglio fumettistico anche nel nome, come l’improbabile boss chiamato “Numero 8”; situazioni già viste, enfasi impropria, finale poco fantasioso. Per contro aggiornatissimo è l’intreccio delle connessioni, che unisce le dimissioni di Berlusconi a quelle di Ratzinger (addirittura), i clan dei rom e la malavita di Ostia, escort e PR. Tutto quasi da prima pagina.
In tanta dovizia di mezzi, anche il cast è di livello. Ma si sa, il prodotto di massa può essere di ottima qualità, ma non ammette eccellenze, appiattisce tutto.
E così Elio Germano, nella parte di un uomo viscido e vile, non brilla come al solito. Alessandro Borghi, pur confermandosi superlativo nei ruoli estremi, viene racchiuso in un personaggio angusto come “Numero 8”; eppure in “Non essere cattivo”, avevamo visto quanto possa essere stratificata la sua recitazione. Pierfrancesco Favino mette a frutto il suo mestiere con un accurato lavoro sullo sguardo e la postura, tratteggiando efficacemente i tratti, tutti negativi, del politico protagonista della storia. Adamo Dionisi, nel ruolo del boss di etnia rom, è perfettamente nella parte. Però è Greta Scarano la più brava, cogliendo a pieno l’occasione datagli dal personaggio meglio disegnato dagli autori. Imbarazzante per contro Claudio Amendola: l’espressione che ostenta in tutto il film, l’unica, dovrebbe rappresentare il gelido distacco di un uomo incallito nel male, ma ricorda più il torpore seguente a una abbondante amatriciana. Da ultima citiamo la stellina della fiction Giulia Elettra Gorietti che fa il suo: dispensa bellezza e nudità. Ma sappiamo come anche questi siano ingredienti fondamentali di un certo tipo di merce.
“Suburra” avrà successo, è fatto per piacere, e sarà un successo meritato, perché in ogni caso fa trascorrere 2 ore piacevoli. Porterà denaro nella asfittiche casse del nostro cinema. Venderà all’estero. Aprirà le porte ad una serie TV e Stefano Sollima sarà lì pronto, dietro la macchina da presa. Ma proprio per questo, perché avrà davanti a sé anni di TV, questa volta poteva provare a girare un film.
Voto: 6+
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nello2ivanovic
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giovedì 15 ottobre 2015
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vinti e...vinti!
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Piacevolmente sorprendente.
Si tratta di un film corale in cui tutti i personaggi si amalgamano alla perfezione, Borghi e Scarano. L'unico un pò fuori dal coro è Amendola, con un personaggio tanto importante quanto poco caratterizzato e deficiente di quell'aura peculiare da boss a cui ci hanno abituato i vari "Il Padrino", "Gomorra" o altri film di genere.
Inutile gridare al capolavoro perché non lo è. Non sconvolge, non presenta niente di nuovo (sarà facile fare paragoni con le serie dirette dallo stesso Sollima), ma la tensione narrativa e il ritmo incalzante ti prendono totalmente e sono tali da non concedere neanche un secondo di respiro. Dimenticate pure la Roma de “La Grande Bellezza”.
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Piacevolmente sorprendente.
Si tratta di un film corale in cui tutti i personaggi si amalgamano alla perfezione, Borghi e Scarano. L'unico un pò fuori dal coro è Amendola, con un personaggio tanto importante quanto poco caratterizzato e deficiente di quell'aura peculiare da boss a cui ci hanno abituato i vari "Il Padrino", "Gomorra" o altri film di genere.
Inutile gridare al capolavoro perché non lo è. Non sconvolge, non presenta niente di nuovo (sarà facile fare paragoni con le serie dirette dallo stesso Sollima), ma la tensione narrativa e il ritmo incalzante ti prendono totalmente e sono tali da non concedere neanche un secondo di respiro. Dimenticate pure la Roma de “La Grande Bellezza”. Questa capitale è lercia dalla testa ai piedi, sporca, corrotta, malata, martellata da un’incessante pioggia (prima dura, volta a presentare una città plumbea e cupa, e poi purificatrice). Regia impeccabile, fotografia ben congegnata e inquadrature sempre giuste e coerenti. Per quanto possa valere la mia opinione…io lo promuovo e lo consiglio vivamente.
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