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dal film Roger Dodger (2002)
Isabella Rossellini Joyce
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Una bellissima e potentissima attrice visiva, che ha saputo mescolare nella sua recitazione le atmosfere mélo, la grandiosità dell'intenso sguardo materno (che sembra le abbia rubato grazie alla genetica) e quella leggerezza da farfalla che era tipica del padre nel rappresentare un'emozione, anche scomoda. Sontuosa, raffinata, assai conturbante, quando c'è Isabella Rossellini in una pellicola si ha sempre l'idea esatta di andare a vedere un film che merita di essere visto. Guerriera in veste di certi personaggi, è anche in grado di mostrare il suo cuore tormentato e disperato in altri. Sensibilissima e affascinante, è una vera e propria "Imper-Attrice" del cinema italiano.
Le origini
Come "Imper-Attrice" non poteva certo provenire da gente comune, Isabella Rossellini è infatti la figlia di due leggende del cinema internazionale: suo padre era il grande regista neorealista italiano Roberto Rossellini, mentre sua madre era una delle dive più imperturbabili del cinema mondiale, l'attrice svedese Ingrid Bergman, il volto deluso e insieme sognante di Casablanca. Impossibile, quando si parla di Isabella, non inoltrarsi un po' in quella che è la storia della sua famiglia e in quelle che sono le travagliate vicissitudini sentimentali che legarono suo padre e sua madre. Lei, la Bergman, era già sposata con Peter Lindstrom e aveva già una figlia, Pia, che però lasciò per andare in Italia a vivere con Roberto Rossellini, del quale si era innamorata. Dopo i rispettivi divorzi, a Roma, i due si costruirono una famiglia: prima Isabella e Isotta (gemelle, oggi l'altra è docente di Letteratura Italiana alla Columbia University), poi Renzo Rossellini, produttore cinematografico.
Gli inizi come assistente costumista
Nonostante il sangue cinematografico le scorra nelle vene, Isabella preferisce lavorare, agli esordi della sua carriera, come assistente costumista per alcuni film del padre (Blaise Pascal e Agostino d'Ippona) e si concede alla macchina da presa solo nel 1976, e non per Roberto Rossellini, ma per Vincente Minnelli che la inserisce nel cast di Nina, accanto a sua madre, un'altra figlia d'arte come Liza Minnelli e i nostri Amedeo Nazzari e Tina Aumont.
Il forte richiamo del cinema
Il cinema italiano la chiama fortissimamente fra le sue fila. Sono gli anni de Il prato dei fratelli Taviani, e proprio in quello stesso anno sposa il regista americano Martin Scorsese (dal quale poi divorzierà nel 1983). Diventa una stella, ma non per le pellicole alle quali partecipa, ma per la sua bellezza. Labbra rosse, occhi vellutati, pelle bianchissima, a 28 anni si reinventa modella per le campagne pubblicitarie della Lancome, finendo addirittura nelle copertine di Vogue, fotografata da Richard Avedon e Bruce Weber. Circondata da un entourage intellettuale e artistico molto elevato, diventa la migliore amica del filosofo Luciano De Crescenzo che la imporrà in un film diretto dal conduttore Renzo Arbore e da lui scritto: Il Pap'occhio con Roberto Benigni.
Si risposa nel 1985, con Jon Wiedemann (cui seguirà il divorzio), dal quale avrà la sua primogenita, Elettra. Diventata icona di una bellezza naturale e sofisticata, non sfugge all'occhio singolare e allucinato di David Lynch che la dirigerà in Velluto blu e Cuore selvaggio e con il quale avrà anche una relazione sentimentale. Cinematograficamente parlando, incontrerà Silvana Mangano e Mastroianni in Oci Ciornie di Nikita Mikhalkov, sarà l'oggetto del desiderio di Ted Danson in Cugini di Joel Schumacher, nonché si darà alla magia nera nei panni dell'algida strega Lisle von Rhoman dispensatrice del siero dell'eterna giovinezza per le due amiche-nemiche Meryl Streep e Goldie Hawn nel piccolo capolavoro satirico La morte ti fa bella di Robert Zemeckis.
Peter Weir, Abel Ferrara e anche l'amico Luciano De Crescenzo avranno l'onore di dirigerla in un loro film, mentre la Rossellini si fidanza ufficialmente con l'attore inglese Gary Oldman e adotta un figlio, Roberto. Pubblicherà perfino la sua autobiografia "Some of me", ma verrà ufficialmente liquidata dalla Lancome (e non senza infuocate polemiche) per raggiunti limiti di età, venendo rimpiazzata da una più fresca Juliette Binoche. Grande schiaffo per la Lancome quando Dolce & Gabbana la scelgono per una loro campagna pubblicitaria americana, seguiti dal dentifricio Perlax, dalla Lancaster e da Damiani. Perfino la pop star Madonna ne celebra la bellezza inserendola prima nel videoclip "Erotica" e poi nel libro fotografico "Sex".
Isabella nel nuovo millennio
Nel 2000 torna al cinema italiano con un film che è passato purtroppo in sordina, il terribile e commovente Il cielo cade dei fratelli Frazzi, che riprende la storia dell'infanzia dell'unica regista italiana del free cinema inglese Lorenza Mazzetti, scampata all'eccidio nazista della famiglia di sua zia.
Nel 2003, un altro autore controcorrente, Peter Greenaway la inserisce con altri attori italiani in Le valigie di Tulse Luper - La storia di Moab e nel suo seguito, mentre Douglas McGrath le regala la parte di Marella Agnelli in Infamous, biografia di Truman Capote. Nel 2008 per lei due partecipazioni,
Two Lovers e Un marito di troppo e, nel 2010, è chiamata da Saverio Costanzo per La solitudine dei numeri primi. Nel 2012 è ancora una volta diretta da un regista italiano, Enrico Caria, per il mockumentary L'era legale. Farà parte anche di documentari come quello sulla madre Ingrid Bergman (Io sono Ingrid) e nel 2016 sarà nel cast del film di David O. Russell Joy.
Suggestiva, le tonalità della sua recitazione esplodono con un significato preciso, scandendo il carattere, i sentimenti e il loro barbarico turbinio. Isabella Rossellini infiamma con il solo sguardo, dopotutto è la star italiana più hollywoodiana di questi anni, cui solo Monica Bellucci sembra avere raccolto l'eredità.
"Trudy è diventata italiana nel momento in cui David ha deciso di affidare a me quel ruolo", racconta Isabella, ancora bellissima a 63 anni, e assai divertita da questa nuova scommessa cinematografica. "Non sapevo bene chi fosse il mio personaggio, perché David ci ha dato il copione solo il giorno prima di iniziare a girare, ma quando la costumista mi ha fatto provare gli abiti di scena ho capito subito due cose: che Trudy era molto ricca, e che era una marziana rispetto alla famiglia di Joy Mangano, l'inventrice dello straccio per pavimenti protagonista del film, proveniente da un ambiente molto modesto".
Ero in taxi, squilla il telefono, una voce mi dice: "Sono David O Russell". E io penso: "Maddai!". David mi accenna, nel suo tipico tono concitato, che vuole girare un film sulla regina del mop, che è il nome americano dello straccio che ha inventato Joy, io capisco mob e penso: "No, non un altro mafia movie!".
È vero che Russell è sempre circondato dalla sua famiglia cinematografica?
Verissimo. Intorno a lui, oltre al cast e alla troupe, ci sono bambini, anziani, gente che arriva portando il prosciutto. I nonni materni di David vengono dalla Lucania e lui ha mantenuto quell'atteggiamento da pater familias del sud che ha anche Francis Ford Coppola. Quando abbiamo iniziato le riprese ci siamo trasferiti tutti nello stesso albergo di Boston per cinque settimane, in un mix di vita, amicizia e cinema. David vuole che ti integri completamente nella sua famiglia artistica. Dunque, durante quelle cene in albergo - cene di otto, nove ore - si leggeva, si cantava, e si immaginava insieme la vita dei personaggi di Joy.
Come ha lavorato con Robert De Niro, che interpreta suo marito nel film?
Innanzitutto non era scontato che Bob mi volesse accanto a sé: dopotutto sono la ex moglie del suo migliore amico, Scorsese avrebbe potuto "non aver piacere", come si suol dire. Anche se ci conosciamo da anni, perché è stato testimone al mio matrimonio con Martin, Bob ed io non avevamo mai lavorato insieme. Il primo giorno di riprese David ci ha letteralmente buttati l'uno nelle braccia dell'altra: per rompere il ghiaccio, ha detto lui. E visto che dovevamo ballare, abbiamo ballato, anche letteralmente.
In che modo Russell dirige gli attori?
È molto specifico, spesso ti fa vedere come vorrebbe che dicessi una certa battuta, recitandola lui stesso. Io non mi offendo, anzi, mi piace, l'ho visto fare a Fellini e anche a mio padre, Roberto Rossellini.
Quali tematiche affronta Joy?
Secondo me parla soprattutto della condizione femminile. La protagonista è una donna che fa tutto da sola e inventa la sua vita senza aspettare il principe azzurro, perché è consapevole che il principe azzurro non esiste. Jennifer Lawrence è l'attrice ideale per interpretarla perché incarna perfettamente la donna moderna che dice sempre quello che pensa, anche in tema di parità di genere: è stata lei recentemente a sollevare il problema della diseguaglianza nei compensi fra attori e attrici.
Si sente simile a Jennifer?
Io appartengo a un'altra generazione, quando ero giovane e volevo esprimere le mie opinioni sentivo di doverlo fare in modo garbato o quantomeno buffo. Con l'età mi sono accorta che quella era una pressione sociale molto forte. Oggi penso che una donna debba poter dire ciò che pensa senza bisogno di essere per forza graziosa o divertente.
Che cosa l'accomuna a Trudy, il personaggio che interpreta in Joy?
Molto poco. Trudy è la moglie potiche, quella che si veste bene per far vedere quanto è ricco il marito, che non sa vivere senza un uomo accanto perché è quello che la definisce: infatti mi sono inventata il tormentone di farle ripetere sempre l'ultima frase che dice l'uomo che la affianca. È ricca, ma possiede solo il denaro, mentre Joy possiede una visione. Trudy entra nella strampalata famiglia di Joy perché in fondo è anche lei fuori posto nel mondo.
In alcune sequenze Joy sembra una fiaba...
Sì, ma di quelle un po' dark, dove ci sono un orco, una strega e un drago da uccidere. Le famiglie sono i primi luoghi in cui affermare la propria indipendenza e forgiare la propria identità. I genitori sono i protettori ma anche gli oppressori dei loro figli, spesso li soffocano senza neanche rendersene conto.
In qualche modo la vicenda di Joy rappresenta anche il sogno americano.
Sì, perché vuole dare al pubblico, soprattutto quello femminile, il coraggio di pensare: "Posso farlo anch'io, posso realizzare ogni mio desiderio". Questo fa proprio parte della cultura americana, della loro identità. Del resto è il messaggio al centro del successo della campagna presidenziale di Obama, un afroamericano venuto dal niente. Tutti i film di David contengono una forte energia positiva, una luminosità che riflette la sua natura ottimista.
Lavorerebbe con David Lynch nella nuova serie di Twin Peaks?
Se me lo chiede, volentieri. Alla mia età però ho capito che devo scrivermi i ruoli anche da sola, altrimenti rischio di avere poca scelta.
In un tempo in cui la tecnologia del 3D sembra dominare l'attenzione dei mercati la Giuria della 61. Berlinale presieduta da Isabella Rossellini ha privilegiato a sua volta le tre dimensioni ma puntando a quella dell'umanità rappresentata sul grande schermo. La dimensione interiore, quella del sociale e quella proiettata verso l'indagine della ricerca di un significato 'altro' dell'esistenza hanno percorso l'intero Palmares. La parte del leone (anzi dell'Orso) è andata giustamente al film dell' iraniano Asghar Farhadi Nader and Simin, A Separation. Intendiamoci: può aver avuto un suo peso la forzata assenza del giurato Jafar Panahi e la presa di distanza dal film della delegazione iraniana ma il film ha meritato in pieno i premi che gli sono stati attribuiti. Perché Farhadi si è confermato regista capace di scegliere e dirigere attori e attrici ottenendo da loro prestazioni di livello elevato ed ha centrato l'obiettivo di narrare la situazione attuale della società iraniana non chiudendo la vicenda nei limiti di quella realtà ma aprendosi a una lettura universale.
Legato al sociale e alla rivisitazione critica di un sanguinoso passato recente è il riconoscimento andato al giovane regista tedesco Andres Veiel per If not Us Who, lucida lettura di un percorso che dall'idealismo iniziale condusse alcuni nel tunnel senza via d'uscita del terrorismo. Nella linea di una riflessione che indaga nell'animo di un soggetto in formazione (una bambina) mentre sullo sfondo imperversa una dittatura feroce come quella dei militari argentini sono i due premi tecnici andati a The Prize. Altrettanto è accaduto per il premio alla sceneggiatura andato a The Forgiveness of Blood che ha al centro due giovani (fratello e sorella) messi a confronto con una faida ancestrale nell'Albania odierna. Il premio ci fa particolarmente piacere perché è anche un riconoscimento a un produttore italiano lungimirante e coraggioso come Domenico Procacci.
Il premio per la miglior regia andato ad Ulrich Köhler per The Sleeping Sickness, con la sua lettura di un medico volontario in crisi esistenziale nel suo lavoro in Camerun, riconosce valore a un'opera che affronta anche in modo non politically correct il tema degli aiuti al Continente africano senza però mai dimenticare l'indagine psicologica. Il Gran Premio della Giuria assegnato a Bela Tarr per il suo The Turin Horse chiude con grande acutezza il cerchio di questa premiazione dando a un maestro di un cinema di ricerca ( sicuramente non pensato per il grande pubblico) il riconoscimento per un'opera nella quale, con estremo rigore, si affronta, tra gli altri, il tema dell'uomo dinanzi alla morte.
In definitiva possiamo dire che Isabella Rossellini e i suoi compagni di Giuria non hanno dimenticato la lezione di papà Roberto. Hanno fatto bene.
I PREMI
Orso d'oro: Nader And Simin, A Separation di Asghar Farhadi.
Gran premio della giuria: The Turin Horse di Béla Tarr .
Orso d'argento per la miglior regia: Ulrich Köhler per The Sleeping Sickness .
Orso d'argento per il migliore attore:
Peyman Moadi, Babak Karimi e Ali-Asghar Shahbazi per Nader And Simin, A Separation.
Orso d'argento per la migliore attrice:
Sareh Bayat e Sarina Farhadi per Nader And Simin, A Separation .
Orso d'argento per il contributo artistico: lo sceneggiatore Wojciech Staron e la scenografa Barbara Enriquez per The prize.
Orso d'argento per la migliore sceneggiatura: Joshua Marston e Andamion Murataj per The Forgiveness of Blood .
Premio Alfred Bauer: If Not Us, Who di Andres Veiel.
Miglior film d'esordio: On the Ice di Andrew Okpeaha MacLean; menzioni speciali per The Guard di John Michael McDonagh e Die Vaterlosen di Marie Kreutzer.
A Winnipeg, in Canada, è nato e opera, da ormai più di due decenni, il regista Guy Maddin. Il suo cinema prende spunto (per poi trasformarsi in arte visiva) dalla sua infanzia e dai racconti tramandati dalla famiglia. È proprio la famiglia a nutrire la visionarietà di Maddin che ne La canzone più triste del mondo stravolge la sceneggiatura originale di Kazuo Ishiguro - ambientata a Londra alla vigilia della Perestroika, nel momento in cui la Cortina di ferro stava per cadere - per raccontare un'altra epoca, quella in prossimità della caduta del proibizionismo, e un altro luogo geografico, Winnipeg per l'appunto. Girato in un teatro di posa ricavato da una vecchia fabbrica abbandonata, il film del regista sfrutta i musicisti accorsi al festival canadese Folkarama per trovare nei loro costumi i colori del mondo e nelle loro musiche il suono della tradizione e della Canzone più triste. E se le protesi scintillanti di Lady Helen Port-Huntley (Isabella Rossellini) sono state create da un soffiatore di vetro e fagottista della Winnipeg Symphony Orchestra, la bevanda dorata che le riempie proviene dalla Fort Garry Pale Ale, una fabbrica di birra di Manitoba. Canadese nel midollo, dunque, La canzone più triste del mondo mette in scena la visione di Maddin del suo paese e del mondo di oggi, attraverso una storia d'amore, egoismo, tristezza, sesso, musica e soldi.
Un palmarès particolarmente ricco di temi, storie e personaggi che non dimentica l’attualità in un’annata difficile, siglata da interessanti testimonianze sul lockdown, con alcuni film girati anche solo con uno smartphone (nello sguardo d’autore di Gabriele Salvatores), ma anche la memoria del viaggio in Vietnam tra le foto ritrovate dalla grande Cecilia Mangini, appena scomparsa, che con il suo coautore Paolo Pisanelli i Nastri ricordano, in una selezione che propone proprio la sua ultima regia.
Tra i titoli finalisti anche la memoria del cinema che ricorda il fascino immortale di Alida Valli e la storia di un’attrice, una donna originale come Veronica Lazar, compagna di Adolfo Celi, nel racconto dei suoi figli. Ritratti speciali e con un taglio inedito in questa sezione anche della famiglia Rossellini, un grande clan legato da affetti davvero speciali, come di Federico Fellini, nell’originalissimo Fellini degli spiriti di Anselma Dell’Olio.
E originali sono anche le storie che racconta la selezione delle Docufiction finaliste che, tra la ricostruzione del caso Braibanti e il terremoto vissuto con gli occhi di un bambino (raccontato da un testimone inedito come Alessandro Preziosi), riapre un capitolo inedito della realizzazione de La dolce vita, viaggia tra lotte, fame e vessazioni nella memoria della Sicilia contadina e, dalla Storia alla politica, propone il ritratto di una donna speciale come Nilde Iotti, attraverso un film siglato anche da un reading dei suoi discorsi affidato alla voce e all’immagine di Paola Cortellesi.
Nel ricordare che il Direttivo dei Nastri d’Argento ha già annunciato i Premi speciali dei Nastri 75 per il Documentario a Notturno di Gianfranco Rosi e Salvatore - Shoemaker of Dreams di Luca Guadagnino ecco, di seguito, la lista dei titoli finalisti che i Giornalisti Cinematografici annunciano ricordando che questa selezione riguarda per regolamento film proposti nell’anno solare (2020) da Festival e rassegne e/o diffusi anche sulle piattaforme e reti tv.
I FINALISTI
CINEMA DEL REALE
-2020: SPACE BEYOND di Francesco CANNAVÀ
-1974-1979. LE NOSTRE FERITE di Monica REPETTO
-DIVINAZIONI di Leandro PICARELLA
-DUE SCATOLE DIMENTICATE - UN VIAGGIO IN VIETNAM
di Cecilia MANGINI e Paolo PISANELLI
-FUORI ERA PRIMAVERA -Viaggio nell’Italia del lockdown
di Gabriele SALVATORES
-IL MIO CORPO di Michele PENNETTA
-iSOLA di Elisa FUKSAS
-MI CHIAMO FRANCESCO TOTTI di Alex INFASCELLI
-MOLECOLE di Andrea SEGRE
-PUNTA SACRA di Francesca MAZZOLENI
-RES CREATA di Alessandro CATTANEO
-RIONE SANITÀ, LA CERTEZZA DEI SOGNI di Massimo FERRARI
CINEMA SPETTACOLO CULTURA
-ALIDA di Mimmo VERDESCA
-ERA LA PIU’ BELLA DI TUTTI NOI-LE MOLTE VITE DI VERONICA LAZAR
di Leonardo CELI, Roberto SAVOCA
-EXTRALISCIO–PUNK DA BALERA di Elisabetta SGARBI
-FELLINI DEGLI SPIRITI di Anselma DELL’OLIO
-IL NOSTRO EDUARDO di Didi GNOCCHI, Michele MALLY
-IN UN FUTURO APRILE. IL GIOVANE PASOLINI di Francesco COSTABILE e Federico SAVONITTO
-LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI (Arte in Italia 1967/1977) di Ilaria FRECCIA
-PAOLO CONTE, VIA CON ME di Giorgio VERDELLI
-PINO di Walter FASANO
-THE ROSSELLINIS di Alessandro ROSSELLINI
-VERA & GIULIANO di Fabrizio CORALLO
-WE ARE THE THOUSAND - L’incredibile storia di Rockin’ 1000 di Anita RIVAROLI
DOCUFICTION
-IL CASO BRAIBANTI di Carmen GIARDINA e Massimiliano PALMESE
-LA LEGGE DEL TERREMOTO di Alessandro PREZIOSI
-LA STORIA VERGOGNOSA di Nella CONDORELLI
-LA VERITÀ SU LA DOLCE VITA di Giuseppe PEDERSOLI
-NILDE IOTTI, IL TEMPO DELLE DONNE di Peter MARCIAS
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