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La messa in scena del mondo di una star

Quest'anno a Natale A Very Murray Christmas, una storia magica e intrigante, piena di musica e ospiti famosi. Sofia Coppola omaggia i varietà natalizi degli anni Cinquanta e Sessanta.
di Marzia Gandolfi

Nella foto Pauline Fischer, Jason Schwartzman, Ted Sarandos, Jenny Lewis, Mitch Glazer, Paul Shaffer, Bill Murray, Sofia Coppola, Thomas Mars, Roman Coppola.
Fotografia di Marion Curtis/Netflix.
Così sorprendente da bastarsi
mercoledì 27 gennaio 2016 - Netflix

Una tempesta di neve ha 'congelato' New York e impedito a una sfilata di stelle di raggiungere l'hotel Carlyle per registrare con Bill Murray un 'Christmas special'. Depresso e rassegnato a un Natale in solitudine, l'attore indugia nella sua camera d'albergo circondato da produttrici eccitate e ostinate ad andare in onda. Tra crisi personali e vip arrangiati, è un calo di tensione a risolvere impasse e conflitti. Senza corrente, le telecamere si spengono, le torte si sciolgono e il Natale si sgonfia, tocca a Bill improvvisarne uno con quello che ha a disposizione e con chi ha a disposizione. Riconvertiti i pasticceri in band, la cameriera in crooner e uno sposo in ambasce in batterista, l'attore accende la Vigilia. Canta, riconcilia, beve (molto) e cade in coma etilico. Desto o sognante 'trasloca' in uno studio parato a festa, sopra un pianoforte bianco e accanto a George Clooney in smoking e Miley Cyrus in mini abito rosso e bordi bianchi. Santa Claus in cerca di 'qualcuno da amare' riprende i grandi classici e si risveglia la mattina dopo sul divano e davanti allo skyline quieto di New York. È Natale, Murray Christmas everyone.

Impossibile resistere all'invito di Sofia Coppola che a Natale riunisce a New York i suoi amici di sempre. A fare gli onori di casa è Bill Murray, inseparabile per l'autrice dai bar di hotel chic, dai loro effluvi 'distillati' e dal loro spleen soffuso. Attonito e distaccato come in Lost in Translation, dove interpreta un maturo attore hollywoodiano che guadagna due milioni di dollari pubblicizzando un whisky giapponese (appunto), l'attore è chiuso di nuovo in un luogo effimero e fluttuante che ottunde e smarrisce.
Marzia Gandolfi

Mentre fuori nevica, dentro A Very Murray Christmas svolge il suo omaggio alle trasmissioni di varietà degli anni Cinquanta e Sessanta, che celebravano gioiose lo spirito del Natale. Vera e propria istituzione americana, affollata di vedette scintillanti e vibranti di arie natalizie, il Christmas special appartiene a un passato (televisivo) che non passa e che la Coppola fissa in un film di un'ora prodotto da Netflix e diffuso in esclusiva sul canale.


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Nella foto Pauline Fischer, Miley Cyrus e Ted Sarandos.
Fotografia di Marion Curtis/Netflix.
Nella Foto Miley Cyrus.
Fotografia di Marion Curtis/Netflix.
Nella foto Thomas Mars, Sofia Coppola, Francis Ford Coppola.
Fotografia di Marion Curtis/Netflix.
IL DIVO PIÙ COOL DEL FIRMAMENTO AMERICANO

Attore culto e leggenda urbana, Bill Murray è il muro di gomma ruvida contro cui rimbalza Hollywood. Amarlo appassionatamente negli anni Ottanta era una scelta, un piacere alternativo, il frutto di una lunga osservazione. Poi nel 2003 Sofia Coppola lo serve su un piatto d'argento e in una commedia sommamente chic con le modalità d'impiego. Lost in Translation è quasi un manifesto critico sull'attore, che mette in rilievo le sue competenze comiche e le sue nevrosi consacrandolo divo più cool del firmamento americano. Delirio a freddo che si oppone in televisione alla comicità eccedente di John Belushi e al sarcasmo euforico di Eddie Murphy, Bill Murray si guadagna negli anni e coi ruoli un'impunità totale dentro e fuori lo schermo. In perpetuo sfasamento, vittima di una sorta di jetlag esistenziale, l'attore americano può permettersi di fare il verso a John Wayne in Monuments Men, di servire tequila al South by Southwest festival di Austin, di cantare (male) "Gloria" di Van Morrison con Eric Clapton, di cantare (male) in coppia con Clint Eastwood, di cantare (approssimativamente bene) nel 'Christmas special' di Sofia Coppola.

Bill Murray canta e non è una gag. È la vedette melanconica in smoking e broncio di uno show musical natalizio realizzato da Sofia Coppola per Netflix che rievoca il lounge singer del Saturday Night Live e il Bob Harris languido della rauca versione karaoke di "More than This" di Bryan Ferry (Lost in Translation).
Marzia Gandolfi

A lungo imprevedibile, raggiunge il successo tardi con Ricomincio da capo, commedia dell'eterno ritorno che fotografa il 'caratteraccio' dei suoi personaggi e produce l'immagine di uomo cinico e lunatico che non arriva a trovarsi pienamente. Immagine che riconsidera nell'incontro con l'altro e che rovescia molto spesso in un nuovo se stesso, non necessariamente più docile ma certo più funzionale. Solo riscoprendosi 'buono' Francis Xavier Cross (S.O.S. Fantasmi) può liberarsi dei propri fantasmi e tornare alla vita di prima, solo diventando 'gentile' Phil Connors può uscire dall'incubo della sospensione temporale e conquistare la ragazza dei suoi sogni (Ricomincio da capo). Scoperto da John Belushi e cresciuto davanti alle telecamere del Saturday Night Live, semina negli anni Ottanta e raccoglie nei decenni successivi mettendo a segno una serie di ruoli indimenticabili che lo legittimano e fondano il (suo) mito dopo una permanenza (coatta) in serie B. Dietro a Eddie Murphy o Steve Martin, star comiche di film a grosso budget che 'scoraggiano' le sue velleità di attore dal potenziale infinitamente più complesso.


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Nella foto Simone Missick.
Fotografia di Marion Curtis/Netflix.
Nella foto Kelly Lynch.
Fotografia di Marion Curtis/Netflix.
Nella foto Emma Myles.
Fotografia di Marion Curtis/Netflix.
Temi feticcio, figure di stile, musica pop. Signori, Sofia Coppola

Sofia Coppola resiste a qualsiasi tentativo di definizione. Film dopo film noi crediamo di conoscere la 'canzone' (cosa sarebbe il suo cinema senza?) e ogni volta Sofia la canta a suo modo, una maniera limpida, unica. Entomologa della noia agiata di americani indolenti e viziati, Sofia Coppola nel cinema ci cade da piccola. Apparizione infantile e 'accreditata' con lo pseudonimo Domino in Rusty il selvaggio, viene (letteralmente) battezzata davanti alla macchina da presa ne Il Padrino ed è sulla spiaggia di Apocalypse Now che costruisce il suo primo castello di sabbia. Figlia di Francis Ford Coppola, sorella di Roman Coppola e cugina di Nicolas Cage e Jason Schwartzman, recita nei film di papà e trova il suo primo ruolo da adulta in tailleur Chanel ne Il Padrino - Parte III ma la critica ingiusta e impietosa non le perdona la discendenza illustre e lei rinuncia incassando un Razzie Award. Smette di recitare ma non va troppo lontano dalla sua passione, cimentandosi nell'alta moda e nella fotografia accanto a Karl Lagerfeld, assistito due anni a Parigi. Poi a trent'anni gira Il giardino delle vergini suicide ed è subito amore. Amore tra lei e lo spettatore abbagliato dai dettagli pop che fanno lo charme del suo cinema.

Temi feticcio, figure di stile, musica pop, gusto del dettaglio dietro l'anacronismo (le Converse lavanda tra le scarpe settecentesche di Marie Antoinette), Sofia Coppola non finisce mai e rilancia su Netflix per cui realizza A Very Murray Christmas, un omaggio sincero agli show televisivi di Bing Crosby o dei Carpenters che hanno cullato la sua fanciullezza con le loro voci calde, l'orchestra vestita di bianco e un firmamento di guest star.
Marzia Gandolfi

Trasposizione del romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides, Il giardino delle vergini suicide racconta il suicidio collettivo di cinque sorelle nel fiore degli anni e anticipa uno dei temi cari all'autrice, il passaggio dall'infanzia all'età adulta. Leitmotiv che ritroveremo in Marie Antoinette, che dietro alla facciata storica racconta la storia di un'adolescente austriaca perduta in un mondo adulto e sconosciuto, in Lost in Translation, che trasloca in Giappone una giovane donna che ha appena finito i suoi studi e ancora non sa bene che fare della sua vita trascinata dietro a un marito distratto o ancora in Somewhere, che svolge i pochi anni di Cleo accanto a un padre mai cresciuto perché il cinema della Coppola incontra molti adulti con problemi di 'transizione', su tutti l'imperturbabile Bill Murray di Lost in Translation. Come nessuno cattura la fotogenia dello spleen nei bar degli hotel di lusso o nel Giappone rischiarato al neon, nelle stanze di albergo o nello sguardo dei suoi personaggi sempre separati dal mondo, che sia una famiglia, una corte, una cultura altra. Se qualche volta il suo cinema assomiglia a una grande torta farcita di crema (Marie Antoinette), un'impressione creata dalla profusione di colori pop, di sete, sottane, culotte, crinoline, t-shirt , parrucche rosa e dalla voglia incorreggibile di fare baldoria tra champagne e notti bianche, qualche altra è attraversato da una loneliness, una solitudine meditativa in cui ripiegano i personaggi immobili sul letto e incapaci di continuare.


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