romifran
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lunedì 13 gennaio 2014
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un imperdibile prova d'autore.
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E' solo una forma di incontenibile pudore a trattenere il pubblico dall'applauso, quando lo splendido film di Paolo Virzì si conclude con le tre parole che gli danno il titolo "Il capitale umano". E' il valore che le compagnie assicurative attribuiscono al risarcimento da destinare ai congiunti del defunto, in base alle sue potenzialità lavorative, alla sua età anagrafica e al suo stato di salute, agli affetti che lascia in questa vita. E' dunque ben misero il compenso di poco più di 218.000 euro per la vita di un uomo semplice, un cameriere a chiamata, che lavorava sodo, che aveva figli piccoli (come si intuisce dalle affermazioni della futura vedova, durante l'agonia in ospedale); che, come unico mezzo di locomozioone disponeva di una bicicletta che sarà la sua condanna.
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E' solo una forma di incontenibile pudore a trattenere il pubblico dall'applauso, quando lo splendido film di Paolo Virzì si conclude con le tre parole che gli danno il titolo "Il capitale umano". E' il valore che le compagnie assicurative attribuiscono al risarcimento da destinare ai congiunti del defunto, in base alle sue potenzialità lavorative, alla sua età anagrafica e al suo stato di salute, agli affetti che lascia in questa vita. E' dunque ben misero il compenso di poco più di 218.000 euro per la vita di un uomo semplice, un cameriere a chiamata, che lavorava sodo, che aveva figli piccoli (come si intuisce dalle affermazioni della futura vedova, durante l'agonia in ospedale); che, come unico mezzo di locomozioone disponeva di una bicicletta che sarà la sua condanna. Sparisce, quest'uomo semplice e onesto che ha appena finito di servire ai tavoli del ricco banchetto della premiazione della snobissima scuola privata frequentata dai rampolli dell'alta borghesia brianzola. Non è nessuno. E vale niente. E niente valgono il "frocio" e la "negra" che competono con il figlio di papà, il viziatissimo e "blasé" Massimiliano Bernaschi, che non vince il premio e mal accetta la sconfitta. Massimiliano ha un padre ingombrante e disonesto - che odia - una madre distratta e isterica - che detesta -, che inducono il ragazzo (che ha tutto, ma che, in realtà, non ha nulla) a illudersi di poter vantare la sua pur modesta rivincita tramite un premio che non gli viene assegnato. Se Massimo Troisi fosse stato vivo, avrebbe di sicuro affermato che i Bernaschi avrebbero fatto meglio a chiamarlo Ugo! In un gioco sapiente di chiaroscuri, Paolo Virzì conduce l'intricata vicenda attraverso i punti di vista di Dino Ossola, ambizioso operatore immobiliare che rischia il tutto per tutto per tentare il colpo grosso della sua vita e che mercanteggia il suo denaro con la vita di un ragazzo - che dalla vita non ha avuto nulla; di Carla Bernaschi che non sa come spendere i suoi soldi, che non riesce ad instaurare un dialogo con suo figlio e che scende al compromesso più abbietto: comprare una vita umana; di Serena, una ragazza normale, nonostante il padre "mostruoso" che l'ha generata, che non si lascia incantare dal lusso e dalle comodità, ma guarda, con naturale lucidità, ai valori veri della vita: la forza dell'amore, il peso del dolore, la gioia degli affetti autentici, la possibilità di riscatto che va garantita ad ogni essere umano. Bravissimi, tutti. Un cast straordinario che non ha un solo attimo di cedimento. I brianzoli fanno una severa levata di scudi contro il ritratto spregevole che vien fuori, attraverso tutto il film, di una società operosa, ma incapace di provare sentimenti e di dimostrare rispetto. Sarebbe dispiaciuto anche a me. Tuttavia, proverei a dimenticare l'etichetta "regionalistica" (ognuno di noi ha i suoi scheletri nell'armadio!) e guarderei alla possibilità che analoghe situazioni si possano verificare anche altrove (non dimentichiamo che il soggetto è tratto da un romanzo americanno, ambientato in Connecticut). Virzì è ligure, è un uomo del nord e non credo volesse offendere nessuno. Mi sembra, invece, che restituisca alla bellissima Brianza lo splendore dei suoi paesaggi mozzafiato e quel concetto di operosità e di capacità imprenditoriale che l'hanno fatta ricca. Purtroppo, nella luce abbagliante di questi scenari da cartolina si consuma il "male" e in una stanza semibuia, disordinata e sporca, fiorisce l'amore di due ragazzi che non hanno nulla in comune, se non la loro sana voglia di vivere e l'urgenza di sperimentare l'incontro di due anime assetate di consolazione e di rispetto. Un film ineccepibile!
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mydarksidetonight
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lunedì 13 gennaio 2014
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un virzì amaro con margini di speranza
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Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon,il capitale umano di Virzì è un film che un cinefilo deve vedere. L’avidità di Dino,uno dei protagonisti di uno degli episodi che compongono il film,interpretato benissimo da Bentivoglio,è il sintomo di un qualcosa di fortemente radicato nella nostra società,il desiderio di rivalsa. Si desidera sempre di più, più del necessario. Per ottenerlo si è disposti ad indebitarsi, a investire i risparmi di una vita in maniera sconsiderata ,il tutto per appartenere ad un gruppo di “vincenti”.
Sentirsi riconosciuti ,sentirsi parte di un qualcosa. Perdere il contatto con la realtà e con ciò che vale.
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Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon,il capitale umano di Virzì è un film che un cinefilo deve vedere. L’avidità di Dino,uno dei protagonisti di uno degli episodi che compongono il film,interpretato benissimo da Bentivoglio,è il sintomo di un qualcosa di fortemente radicato nella nostra società,il desiderio di rivalsa. Si desidera sempre di più, più del necessario. Per ottenerlo si è disposti ad indebitarsi, a investire i risparmi di una vita in maniera sconsiderata ,il tutto per appartenere ad un gruppo di “vincenti”.
Sentirsi riconosciuti ,sentirsi parte di un qualcosa. Perdere il contatto con la realtà e con ciò che vale. In un contesto così degradante anche la vita umana,il capitale umano,rischia di diventare veramente una merce di scambio. Il paese che ci descrive Virzì è quello che decide che,il risarcimento per la vita di un uomo debba essere pagato in termini di prospettive di guadagno,ha ancora molta strada da fare ,prima di potersi definire civile.
Sono pochi i personaggi che in questo film, volutamente per volere del regista,non hanno dignità . Degno di nota il professore, interpretato da un ottimo Luigi Lo Cascio, uno tra i pochi capace di ribellarsi allo squallore generale .Visto come un outsider ,un “fallito” rispetto a tanti vincenti che poi di vincente hanno ben poco.
Un Virzì amaro,con margini di speranza ,uno tra tutti l’amore che appare ancora tra i pochi strumenti in grado di risvegliare e illuminare le coscienze .
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flyanto
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martedì 14 gennaio 2014
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una società per nulla da lodare
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Film tratto dall'omonimo thriller di Stephen Amidon in cui viene rappresentato uno spaccato della società contemporanea del Nord Italia, e precisamente una poco definita località della Brianza, attraverso il racconto di una vicenda che coinvolge gli esponenti di tre famiglie distinte. La storia ruota tutta intorno all' incidente in cui incorre a notte fonda un uomo in bicicletta che viene investito da un'auto pirata in una strada provinciale a notte fonda. Dagli avvenimenti che ne conseguiranno si determineranno tutti i rapporti, cambiandoli, esistenti tra i vari personaggi di varia natura: c'è il ricco e freddo magnate della finanza con la moglie colma di aspirazioni artistiche, il benestante (inizialmente) agente immobiliare che aspira ad ogni costo ad appartenere all'alta società locale con la nuova e più razionale compagna di vita, la figlia di quest'ultimo ben distante caratterialmente ed ideologicamente dal padre, e molti altri intorno.
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Film tratto dall'omonimo thriller di Stephen Amidon in cui viene rappresentato uno spaccato della società contemporanea del Nord Italia, e precisamente una poco definita località della Brianza, attraverso il racconto di una vicenda che coinvolge gli esponenti di tre famiglie distinte. La storia ruota tutta intorno all' incidente in cui incorre a notte fonda un uomo in bicicletta che viene investito da un'auto pirata in una strada provinciale a notte fonda. Dagli avvenimenti che ne conseguiranno si determineranno tutti i rapporti, cambiandoli, esistenti tra i vari personaggi di varia natura: c'è il ricco e freddo magnate della finanza con la moglie colma di aspirazioni artistiche, il benestante (inizialmente) agente immobiliare che aspira ad ogni costo ad appartenere all'alta società locale con la nuova e più razionale compagna di vita, la figlia di quest'ultimo ben distante caratterialmente ed ideologicamente dal padre, e molti altri intorno...
Paolo Virzì firma questa sua ultima opera assai cinica e graffiante ma alquanto, ahimè, vera, sulla natura umana e sulle sue debolezze, per non dire, in alcuni casi, addirittura bassezze di carattere morale tali da rendere la società ad un livello di condotta altamente poco edificante e pertanto molto deprecabile. In pratica, sembra voler sostenere Virzì, soprattutto negli ambienti sociali elevati, non esiste alcuna manifestazione di solidarietà od amicizia disinteressata tra i suoi componenti se non rapporti finalizzati solo ad acquistare maggior potere o guadagno pecuniario o, comunque, un fine esplicito. Forse, e qui il regista risulta un pochino retorico, i veri sentimenti e tutte le espressioni più dirette e sincere sono da rintracciarsi esclusivamente tra gli individui di estrazione sociale più modesta, ancora non contaminati dalla febbre e del guadagno da raggiungere ad ogni costo e con ogni mezzo, ma animati ancora da ideali e tanta speranza. Ma il regista ritorna immediatamente purtroppo alla realtà presentando allo spettatore nel finale uno scenario in cui viene dimostrato esplicitamente che non sempre la giustizia trionfa ed i personaggi "negativi" vengono puniti. Anche in questa sua ultima pellicola Paolo Virzì ha manifestato di essere un grande conoscitore dell'animo umano in tutte le sue sfaccettature, positive e negative, e lo presenta senza esporre dei giudizi aperti ma facendone trarre le opportune considerazioni, come sempre abbastanza amare, direttamente allo spettatore.
In conclusione, il film risulta essere una prova di alto livello registico da parte del regista in quanto non solo è ben girato, con un ritmo scandito e ben assemblato in tutte le sue parti, ma anche, e ciò ne determinata anche ampiamente la riuscita, ottimamente interpretato grazie anche alla sapiente scelta degli attori nei vari ruoli. Tutti sono perfettamente rispondenti ai loro personaggi e se tutti devono essere ammirati, una menzione, nonchè lode, va rivolta particolarmente a Fabrizio Gifuni nella parte del freddo e calcolatore magnate, a Fabrizio Bentivoglio in quello, qui per lui insolito, dell'uomo mediocre disposto a tutto per la scalata sociale, ed a Valeria Bruni Tedeschi che per la prima volta, a mio parere, ha dato una prova di ottima recitazione nel ruolo di una donna viziata, un pò svampita e con velleità artistiche per le quali non ha alcuna inclinazione, se non solo una grande passione. Valeria Golino, purtroppo, è relegata ad un personaggio quasi di contorno, sebbene di tutto rispetto, ma la sua performance risulta in quest'occasione di conseguenza di minor impatto e meno eclatante.
Da non perdere assolutamente (nonostante le futili e poco attinenti critiche sorte per l'occasione) e, forse, da ritenersi uno dei migliori lavori di Virzì.
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(di massiccio90)
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linus2k
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domenica 19 gennaio 2014
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come al solito... grande virzì!
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Dichiaro subito una sorta di conflitto di interessi: amo il cinema di Virzì e lo ritengo uno dei migliori registi italiani.
Meglio avvisare subito quando si parte prevenuti: ritengo sia una base di onestà intellettuale, anche quando l'essere prevenuti è, al contrario, in senso negativo e porta a criticare l'ultimo film per la rappresentazione della Brianza.
Perché solo una certa disonestà intellettuale può vedere in questo film una rappresentazione negativa della Brianza.
"Il capitale umano" è in primis un thriller noir che fonda radici profondissime nel cinema europeo, profonde ed antiche.
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Dichiaro subito una sorta di conflitto di interessi: amo il cinema di Virzì e lo ritengo uno dei migliori registi italiani.
Meglio avvisare subito quando si parte prevenuti: ritengo sia una base di onestà intellettuale, anche quando l'essere prevenuti è, al contrario, in senso negativo e porta a criticare l'ultimo film per la rappresentazione della Brianza.
Perché solo una certa disonestà intellettuale può vedere in questo film una rappresentazione negativa della Brianza.
"Il capitale umano" è in primis un thriller noir che fonda radici profondissime nel cinema europeo, profonde ed antiche.
Una famiglia alto borghese, una che aspira (più o meno in maniera convinta) ad essere tale, un povero ragazzo stritolato dal sistema. Fondamentalmente questo è il quadro di un film che, se fosse stato girato in Francia una ventina di anni fa, avrebbe probabilmente avuto la regia di Claude Chabrol e la celebrazione da parte della critica europea.
"Il capitale umano" è cinema allo stato puro, conoscenza dei tempi, della narrazione, del sapiente uso della penna per la sceneggiatura e scelta di attori eccezionali! Raccontato in 4 capitoli, con una nota tecnica di rianalizzare lo stesso avvenimento da diversi punti di vista, come in un novello "Rashomon" (Akira Kurosawa, 1950), il film getta uno sguardo sulla nostra società, tra vittime e carnefici, rendendo la linea di demarcazione tra le 2 classi molto labile.
Un incidente stradale: un giovane cameriere in bicicletta va fuori strada, chi lo investe non si ferma a soccorrerlo. Chi c'era in quella macchina?
Attraverso questa situazione Virzì ci racconta, con meno ironia e leggerezza del solito, la nostra società, tra famiglie rampanti e vittime della propria voglia di affermazione, piccoli uomini mediocri che aspirano a quella ricchezza che con le loro capacità non potrebbero permettersi, giocando d'azzardo sulla propria vita (e quella dei propri cari), giovani fragili schiacciati dalla società e vittime reali, i più deboli ed incapaci di giocare in maniera aggressiva con gli altri, così incapaci da riversare l'aggressività su se stessi.
Attorno un coacervo di personaggi minori e ben descrittivi di certe aree del Paese: intellettuali snob e radicali, attrici fallite che si accompagnano a ricchi imprenditori, politici...
Non è un film che fa sperare, purtroppo no... e la critica ad una certa borghesia ed a quell'atteggiamento privo di scrupoli che dimentica la persona e pone il capitale (non umano) al centro della propria vita diventa feroce, feroce ma purtroppo anche pessimisticamente arreso.
"Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto"
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pasquiota
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lunedì 20 gennaio 2014
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le amare miserie al ritmo del dio denaro
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Un altoborghese rampante in finanza. La moglie frustrata che aspirerebbe al teatro. Il figlio inconcludente e viziato. E poi un immobiliarista untuoso e trafficone, la moglie psicologa che non afferra nulla di ciò che le sta intorno, la figliastra che frequenta i ricchi, ma è attratta da altro... Sullo sfondo il paesaggio brianzolo, cuore nero del profondo Nord, dove tutti ballano al ritmo del dio denaro e nessuno (o quasi) pensa alla felicità.
Mentre le azioni (im)prevedibili rovesciano l'intreccio in tragedia: l'omicidio di un cameriere, agnello sacrificale senza più innocenza tra i personaggi burattini del destino, con la verità che emerge attraverso flashback continui e rivelatori.
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Un altoborghese rampante in finanza. La moglie frustrata che aspirerebbe al teatro. Il figlio inconcludente e viziato. E poi un immobiliarista untuoso e trafficone, la moglie psicologa che non afferra nulla di ciò che le sta intorno, la figliastra che frequenta i ricchi, ma è attratta da altro... Sullo sfondo il paesaggio brianzolo, cuore nero del profondo Nord, dove tutti ballano al ritmo del dio denaro e nessuno (o quasi) pensa alla felicità.
Mentre le azioni (im)prevedibili rovesciano l'intreccio in tragedia: l'omicidio di un cameriere, agnello sacrificale senza più innocenza tra i personaggi burattini del destino, con la verità che emerge attraverso flashback continui e rivelatori. Ma la morte davvero cambierà le vite di tutti?
Se lo domanda lo stesso regista Virzì, che abbandona la commedia per avventurarsi nel dramma, nella sua opera forse più compiuta e amara. Fra tutti i protagonisti, arduo scegliere il più odioso e gretto: Bentivoglio arrampicatore sociale, Gifuni insopportabile guru della finanza o Lo Cascio esperto teatrale con le sue miserie, o ancora fra i numerosi personaggi minori da Comédie humaine di balzachiana memoria.
Avanti e indietro negli eventi, come il tempo curvo di García Márquez e con un tocco di tragedia shakespeariana, ma senza la grandezza, annientata dalla meschinità.
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marce84
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lunedì 20 gennaio 2014
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il capitale disumano
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Il Capitale umano è un film ben girato, ben scritto e soprattutto ben recitato. Virzì si imbatte in una sorta di noir e allo stesso tempo un film che ritrae molto bene la società moderna. In particolare si sofferma su uno spaccato di società, quella del ceto ricco dell’alta finanza. Ma non si ferma qui, perché anche chi non ne fa parte, aspira a quel tipo di vita e si gioca tutto quel che ha pur di intraprendere un’ascesa sociale rischiosa e soprattutto irresponsabile.
Ma il film non si sofferma solamente su questo aspetto: quello che interessa a Virzì è l’aspetto relazionale e sociale. I personaggi sembrano tutti degli sconfitti, apatici, faticano ad esprimere i propri sentimenti, non riescono a dialogare fra di loro.
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Il Capitale umano è un film ben girato, ben scritto e soprattutto ben recitato. Virzì si imbatte in una sorta di noir e allo stesso tempo un film che ritrae molto bene la società moderna. In particolare si sofferma su uno spaccato di società, quella del ceto ricco dell’alta finanza. Ma non si ferma qui, perché anche chi non ne fa parte, aspira a quel tipo di vita e si gioca tutto quel che ha pur di intraprendere un’ascesa sociale rischiosa e soprattutto irresponsabile.
Ma il film non si sofferma solamente su questo aspetto: quello che interessa a Virzì è l’aspetto relazionale e sociale. I personaggi sembrano tutti degli sconfitti, apatici, faticano ad esprimere i propri sentimenti, non riescono a dialogare fra di loro. Sono tutti personaggi repressi e soprattutto sono personaggi negativi, non riescono ad essere autentici e si nascondono dietro una maschera.
Vittime di tutto questo sono gli adolescenti, in particolare Massi, il rampollo della famiglia, prodotto di una famiglia dove i veri valori sono ormai rovesciati, dove non si parla e dove conta solo il profitto. Anche il personaggio interpretato da Valeria Bruni Tedeschi pare una vittima del sistema, fragile, sensibile, insicura, in realtà anche il suo personaggio ha la possibilità di prendere consapevolezza di sé ed essere finalmente se stessa, ma preferisce la sicurezza economica, la bella vita che le assicura il marito, piuttosto che prendere in mano veramente la sua vita.
Memorabile è il personaggio interpretato da Bentivoglio: irritante, stupido, eccessivo da diventare ironico. Ma sappiamo bene quanto rappresenti una parte della nostra società. Unica eccezione positiva è Valeria Golino, personaggio materno in tutti i sensi, rassicurante e amorevole. Tuttavia, Serena (la figliastra) riuscirà a capirlo solamente quasi alla fine del film, cosa che ribadisce il fatto che le persone fra di loro fanno fatica a relazionarsi, a fidarsi veramente, a innamorarsi, a far uscire sentimenti veri ed autentici. E’ uno spaccato magnifico della società di oggi, dal punto di vista sociale e relazionale. Il film è drammatico, ma con delle sfumature ironiche tipiche di Virzì. In tutto questo, un posto centrale ce l’ha il denaro, il potere economico, con cui si può comprare tutto: una vita umana, l’innocenza del proprio figlio, un’assoluzione, una colpevolezza, i sentimenti, una famiglia. Si esce dalla sala con la sensazione di un amaro in bocca, perché Virzì ci fa riflettere su come in questa società il denaro ha vinto e ha soverchiato tutto, sentimenti, rapporti personali, valori. VOTO 8
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mr.movie
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giovedì 23 gennaio 2014
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un thriller per p.virzì
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A quattro anni dall'uscita del capolavoro "La Prima Cosa Bella", e ad un anno dallo stupendo "Tutti i Santi Giorni"; Virzì torna dietro la macchina da presa per creare una pellicola che stupisce dall'inizio alla fine. L'alta borghesia milanese fa da protagonista in un film dove niente è come in realtà appare. I personaggi, per la maggior parte del film molto misteriosi, vengono ben dipinti dal regista, anche grazie a dialoghi molto efficaci. La sceneggiatura è, dunque, ben realizzata e con termini ed espressioni molto tecniche. Solo che il primo capitolo (visto che è diviso in tre capitoli che prende il nome del protagonista dell'episodio, più quello conclusivo chiamato "Il Capitale Umano")è un po'lento ,perché non ci si è ancora spiegata la vicenda.
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A quattro anni dall'uscita del capolavoro "La Prima Cosa Bella", e ad un anno dallo stupendo "Tutti i Santi Giorni"; Virzì torna dietro la macchina da presa per creare una pellicola che stupisce dall'inizio alla fine. L'alta borghesia milanese fa da protagonista in un film dove niente è come in realtà appare. I personaggi, per la maggior parte del film molto misteriosi, vengono ben dipinti dal regista, anche grazie a dialoghi molto efficaci. La sceneggiatura è, dunque, ben realizzata e con termini ed espressioni molto tecniche. Solo che il primo capitolo (visto che è diviso in tre capitoli che prende il nome del protagonista dell'episodio, più quello conclusivo chiamato "Il Capitale Umano")è un po'lento ,perché non ci si è ancora spiegata la vicenda. Comunque consigliato a tutti, perché è un film stupendo che ti tiene in tensione per tutta la durata della pellicola. Voto personale:9
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eugenio
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sabato 25 gennaio 2014
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la mitica eldorado speculativa
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C’è una Brianza ricca, agiata, fatta di borghesi impomatati,arrivisti e imbroglioni. C’è ne è un'altra di eterni illusi, quelli che credono ancora nella stangata, nella rivalsa sociale attraverso investimenti azzardati alla ricerca dell’agiatezza morale ed economica a lungo bramata. C’e una Brianza in cui non filtra la luce che rimane imprigionata, intrappolata sotto una patina di ipocrisia e sornione quieto vivere, dove ogni cosa (compresa l’anima) ha un prezzo, un capitale, stravolta da una girandola di speculazioni ove tutti sono vittime volontarie o inconsapevoli.
Virzì sceglie di abbandonare con coraggio il placido panorama toscano per immergersi nella fosca Lombardia, il paradiso degli squali e degli sciacalli oltre che di altre lugubre bestioline estranee al suo pensiero da commediografo di adolescenze perdute.
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C’è una Brianza ricca, agiata, fatta di borghesi impomatati,arrivisti e imbroglioni. C’è ne è un'altra di eterni illusi, quelli che credono ancora nella stangata, nella rivalsa sociale attraverso investimenti azzardati alla ricerca dell’agiatezza morale ed economica a lungo bramata. C’e una Brianza in cui non filtra la luce che rimane imprigionata, intrappolata sotto una patina di ipocrisia e sornione quieto vivere, dove ogni cosa (compresa l’anima) ha un prezzo, un capitale, stravolta da una girandola di speculazioni ove tutti sono vittime volontarie o inconsapevoli.
Virzì sceglie di abbandonare con coraggio il placido panorama toscano per immergersi nella fosca Lombardia, il paradiso degli squali e degli sciacalli oltre che di altre lugubre bestioline estranee al suo pensiero da commediografo di adolescenze perdute. Il regista parla di apologo, di metafora (la città Ornate nulla ha di reale) della nostra società industrializzata ridotta a una Zattera della medusa, delineandoil ritratto di un paese in crisi totalmente allo sbando che pare aver perduto tutti i suoi valori alla base dei quali alberga solo il denaro e la speculazione edilizia, motivi fondanti della società capitalistica.
Il soggetto robusto retto da Piccolo e Bruni ci mostra due complementary opposites, due famiglie che nulla avrebbero da spartire ma accomunate da un tragico evento presentato all’inizio del film: una notte, quella della vigilia di Natale, sulla provinciale di Ornate un cameriere al rientro dal lavoro in bici viene investito da un Suv. Questo il pretesto utilizzato da Virzì per descrivere con l’uso di astuti flash-back e capitoli incentrati sui personaggi principali delle due famiglie il punto di vista dei protagonisti dinanzi al delitto.
Perché di omicidio colposo e omissione di soccorso ben si tratta e da questo spunto che potrebbe aprire le porte al thriller il regista livornese evita intelligentemente i clichè da noir ponendo l’accento sugli scheletri nell’armadio delle due “famiglie tipo”. Sfilano quindi dinanzi ai nostri occhi di spettatori il grande girotondo di cinismo, motore e filo comune di un’umanità di umiliati e offesi, di gente comune che - chissà quante ce ne sono - albergano nascoste e sopite nella piccola provincia. C’è l’ingenuo (almeno inizialmente) Dino Ossola, titolare di un’agenzia immobiliare che mette tutti i suoi averi sulla bilancia per guadagnare soldi facili attraverso la partecipazione al fondo di investimento del milionario Carlo Bernaschi il cui figlioccio inquieto intrattiene una liason “non propriamente corrisposta” con la figlia di Dino; ci sono le rispettive consorti, Carla e Roberta, la prima remissiva,incapace di vivere nella realtà immersa nel suo sogno di rinverdire l’anima del teatro (il Politeama di Como) con partecipazioni a un fondo per il recupero del teatro cittadino, la seconda, Roberta, psicologa, in cinta di due gemelli presa dal suo sogno di maternità e dalla sua missione, incapace di valutare con lucida fermezza le mosse azzardate del marito di cui è complice inconsapevole.
Intorno a loro ruotano come satelliti i figli di Dino e Carlo, non più bambini ma ancora dipendenti malgrado le apparenze dai genitori, esecutori materiali del cinico vivere delle due famiglie: l’opulenza sfarzosa di Bernaschi prototipo dell’arrivista senza scrupoli e proprietario di un impero economico frutto di imbrogli e speculazioni edilizie alla medio-borghesia di Ossola che non si fa scrupolo di vendere i sentimenti della figlia per ascendere prima socialmente e poi scemare moralmente con la bieca arte del ricatto…
I soldi, profumo della vita (sic) e più in generale prestigio sociale, divengono paradisi perduti di miltoniana memoria e poco importa se la strada è lastricata di imbrogli, bassezze morali o bieche manipolazioni sulla morte di disgraziati innocenti: occorre apparire anche a costo di avere un’anima nera,scura e tenebrosa come la vendetta. Una vendetta che non risparmierà nessuno e che avrà conseguenze indelebili sullo status quo dei Bernaschi e degli Ossola minando pesantemente la loro oramai perduta dignità intellettuale.
Tradurre un romanzo americano ambientato in Connecticut in uno più propriamente “nostrano” è stata soltanto la scintilla che ha dato origine allo “scoppio” di un riuscito meccanismo di incastri in cui Virzì pur con qualche caduta di stile nella parte dedicata alla storia di Serena, figlia di Ossola, si muove abilmente dimostrando di conoscere con chiarezza e senza enfasi moralistica l’ambiente sociale quotidiano della nuova borghesia lombarda condendo i dialoghi con un umorismo sottile e amaro che sfiora a tratti il grottesco.
Grazie all’interpretazione di un cast ben affiatato che ha come punte di diamante Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni, le due antitesi per eccellenza, lo sprovveduto e l’arpia, Il capitale umano vanta anche il cameo di Luigi Lo Cascio, professore di lettere amante del teatro di Carmelo Bene (e più prosaicamente della moglie di Bernaschi) simbolo di una letteratura oramai in crisi che ha preferito assoggettarsi ai privilegi dei ricchi perdendo la propria indipendenza e libertà, come la vita in generale che questo film mercifica a ente materiale.
Quanto vale questo capitale umano, quest’ultimo scampolo di concessione umanitaria deprezzata dei sentimenti e delle aspirazioni? Poco più di duecentomila euro. Ma i parametri cambiano sulla base dell’età ,dello stile di vita,delle aspirazioni, dei titoli di studio.
Un numero per rappresentare la vita. Il prosaico,materiale pezzo di carta che ne sancisce il valore, sintetico e irrevocabile. Il capitale umano.
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[+] bella
(di michela siccardi)
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fabiofeli
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mercoledì 29 gennaio 2014
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ogni vita ha un prezzo diverso
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Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) è un agente immobiliare e, come tale, non è uno sprovveduto in fatto di facili guadagni. Eppure il sogno di fare la grande svolta, grazie a una partita di tennis in doppio con Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), danaroso speculatore, e al fatto che sua figlia Serena (Matilde Gioli) amoreggia con il figlio di Giovanni, lo fa abboccare ad un affare che puzza di bruciato lontano un miglio. Bernaschi è uno squalo che non arretra davanti al crollo imminente del suo impero di carta, anzi raddoppia i rischi, come un consumato giocatore di poker, lasciando i malcapitati investitori che gli si sono affidati in braghe di tela.
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Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) è un agente immobiliare e, come tale, non è uno sprovveduto in fatto di facili guadagni. Eppure il sogno di fare la grande svolta, grazie a una partita di tennis in doppio con Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), danaroso speculatore, e al fatto che sua figlia Serena (Matilde Gioli) amoreggia con il figlio di Giovanni, lo fa abboccare ad un affare che puzza di bruciato lontano un miglio. Bernaschi è uno squalo che non arretra davanti al crollo imminente del suo impero di carta, anzi raddoppia i rischi, come un consumato giocatore di poker, lasciando i malcapitati investitori che gli si sono affidati in braghe di tela. Da dove proverrebbe, se no, il lusso della villa in collina nel bellissimo paesaggio della Brianza, con piscina e campo da tennis? Il film procede a capitoli introducendo gli altri personaggi: la moglie di Giovanni, Carla (Valeria Bruni Tedeschi), ex-attrice impegnata nel recupero di un teatro, ormai reso inutile dal vuoto culturale del territorio, orientato alla speculazione delle lottizzazioni, e la moglie di Dino, Roberta (Valeria Golino), psicologa in una azienda pubblica; e poi i loro figli, Massimiliano (Guglielmo Pinelli) e Serena. Vengono così forniti gli elementi che precedono il fatto che influirà sulle vite di tutti: un cameriere di notte rientra a casa in bicicletta e in una strada di campagna viene investito dal Suv che appartiene a Massimiliano. Non si sa chi fosse alla guida dell’auto e la trama si tinge di giallo. Il racconto prosegue svelando meschinità e piccoli calcoli personali dei personaggi, fornendo un quadro abbastanza sconfortante sull’umanità di oggi. L’amara conclusione del film è che la vita umana è una merce traducibile in denaro: vale più oppure meno a seconda delle possibilità di guadagno delle persone nell’arco della loro vita.
Paolo Virzì firma una eccellente regia ed anche la collaborazione, con Francesco Piccolo e Francesco Bruni, ad una attenta sceneggiatura del romanzo di Stephen Amidon con lo stesso titolo del film. La trasposizione dal Connecticut alla Lombardia è una scommessa riuscita: aspirazioni e desideri dei personaggi, il cinismo, la vigliaccheria e le menzogne che impregnano le loro vite sono caratteri universali. Il film è bello e ben costruito, recitato benissimo da tutti: non è possibile dire se sia più bravo Gifuni nella parte spietata affidatagli o Bentivoglio, credulone ed arrivista; se spicca di più la Bruni Tedeschi o Valeria Golino; anche i due ragazzi recitano bene, così come il giovane Luca (Giovanni Anzaldo), “terzo incomodo” tra i due; ed, infine, anche le parti di contorno - il sempre puntuale Luigi Lo Cascio, che impersona un intellettuale che sogna una storia d’amore con Carla, Bebo Storti, il commissario di polizia, e Gigio Alberti, nel ruolo dell’interessato tutore di Luca - sono disegnate a tutto tondo e perfettamente verosimili.
Un ottimo film. Da non perdere.
Valutazione ****
FabioFeli
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kondor17
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lunedì 16 giugno 2014
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la grande tristezza...
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Prova di maturità di Paolo Virzì, che in questo film dipinge a tratti forti il malcostume di una certa aristocrazia cinica e senza scrupoli, che, approfittando degli ingenui di turno e del proprio lussuosissimo tenore di vita, si arricchisce truffando e deprededando il prossimo e puntando con derivate sul fallimento dei governi. Lehman Brothers docet.
Per raccontar la storia, Virzì trae spunto da un investimento notturno di un ciclista, da parte di un Suv, il cui pilota si dà poi alla fuga. In tale evento sono coinvolte alcune famiglie, ed altre entreranno poi nel contesto, che ruotano attorno alla relazione, prima, tra i giovani Serena (bravissima la Gioli) e Max Bernaschi, figlio di Giovanni (grande e odiosissimo Gifuni, oserei dire perfetto) e di Carla (la Bruni Tedeschi eccezionale, da oscar!!), e poi alla sua amicizia con Luca, minorenne appena uscito dal riformatorio per spaccio.
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Prova di maturità di Paolo Virzì, che in questo film dipinge a tratti forti il malcostume di una certa aristocrazia cinica e senza scrupoli, che, approfittando degli ingenui di turno e del proprio lussuosissimo tenore di vita, si arricchisce truffando e deprededando il prossimo e puntando con derivate sul fallimento dei governi. Lehman Brothers docet.
Per raccontar la storia, Virzì trae spunto da un investimento notturno di un ciclista, da parte di un Suv, il cui pilota si dà poi alla fuga. In tale evento sono coinvolte alcune famiglie, ed altre entreranno poi nel contesto, che ruotano attorno alla relazione, prima, tra i giovani Serena (bravissima la Gioli) e Max Bernaschi, figlio di Giovanni (grande e odiosissimo Gifuni, oserei dire perfetto) e di Carla (la Bruni Tedeschi eccezionale, da oscar!!), e poi alla sua amicizia con Luca, minorenne appena uscito dal riformatorio per spaccio. Con lo stratagemma poi del film ad episodi, il regista non fa altro che ripercorrere a ritroso lo stesso episodio, visto però dai differenti punti di vista dei relativi protagonisti. Capitolo primo: Dino (Bentivoglio) un immobiliarista medio borghese, che approfitta della relazione della figlia Serena con Bernaschi jr. per intruffolarsi a casa loro ed infine cadere, come pinocchio col gatto e la volpe, nel tranello dell'albero delle monete d'oro. Capitolo secondo: Carla, con una Bruni Tedeschi assolutamente ai livelli di Cate Blanchett in Blue Jasmine, in una parte poi in fondo molto simile, ad interpretare una ex attrice sensibile e dolcissima, ma viziata e mobbizzata dal marito dominante, e stressata dal ritmo incessante dei suoi impegni quotidiani (pilates, yoga, scarpe, tende ed infine il teatro). Capitolo terzo: Serena, chiave di volta di tutto il thriller, con Max Bernaschi prima e con Luca, poi, ed infine il capitolo finale, struggente ed un tantino mieloso, ma comunque ben fatto e diretto.
I personaggi sono calcati ma praticamente perfetti, a far quasi direi da compendio a quell'ode circense di felliniana memoria che è il pluripremiato "la grande bellezza", di Paolo Sorrentino. A differenza di questo, però, qui si salvano i giovani Serena e Luca, ed in fondo anche Max, e questo conforta, perchè sono loro stessi a fornire prova di quella maturità, sincerità e moralità che i propri genitori (o tutori, si pensi solo al viscido zio di Luca, perfetto anche questo) di sicuro non potevano loro insegnare, in quanto praticamente privi.
E ai detrattori degli Italiani (con l'I maiuscola) dico: questi sono film, ottimi film. Fanno riflettere sul malcostume generalizzato (si pensi solo agli USA) e a volte istruiscono pure. Ognuno è beninteso padrone di identificarsi con gli uni o con gli altri, durante il film, ma mi auguro che, dopo, ne veda i lati buoni ed i lati cattivi, magari paragonandoli tra loro e con se stessi, non facendone invece, come spesso qui vedo, motivo di discriminata generalizzazione o addirittura di ispirazione.
Veramente un gran film: voto 9
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