“Ci siamo giocati tutto, anche il futuro dei nostri figli... e adesso, finalmente, ci godiamo quello che ci spetta” Dino Ossola
Colline della ricca provincia brianzola, non lontano da Milano. Notte della vigilia di Natale.
Un cameriere stanco e infreddolito torna a casa in bicicletta per le strade strette e deserte. Sopraggiunge un SUV a forte velocità che lo investe e, dopo una breve esitazione, scappa senza soccorrerlo.
L’incidente stradale è il punto di partenza della storia, il cuore “noir” attorno al quale si intrecciano le vicende dei diversi protagonisti, principalmente due famiglie: quella ricchissima di Giovanni Bernaschi, cinico squalo della finanza, senza scrupoli né sentimenti, e quella di Dino Ossola, agente immobiliare in crisi economica, spavaldo e cialtrone. A unire le due famiglie è il fidanzamento, peraltro in crisi, tra Massimiliano, rampollo viziato e immaturo, e Serena, la figlia di Dino. Quella de Il capitale umano è una storia spietata e crudele, dove tutti vivono la propria crisi, interiore o sociale, fingendo e mentendo, prima di tutto a se stessi, incapaci di relazionarsi con gli altri con sincerità e onestà. Se la viscida meschinità di Dino e la glaciale arroganza di Giovanni non ammettono una possibilità di riscatto, non meno malinconiche e problematiche sono le figure delle consorti. Da una parte Carla, ex attrice di provincia, annoiata e frustrata da una vita vuota fatta di antiquariato etnico ed estetista. Dall’altra parte Roberta, compagna di Dino, psicologa nelle strutture pubbliche, incinta di due gemelli, forse per questo incapace di capire i drammi che stanno vivendo i suoi famigliari. Il film è strutturato in quattro capitoli “circolari” che raccontano, cioè, la stessa vicenda da un diverso punto di vista, ripartendo ogni volta dall’arrivo dell’Audi di Dino Ossola alla villa dei Bernaschi. E’ una complessa ma efficacissima struttura a spirale, che ad ogni giro aggiunge particolari e mette a fuoco con maggior precisione la psicologia dei personaggi e le dinamiche con cui si è intrecciata la storia.
Nel primo capitolo il punto di vista è quello Dino, con la sua ridicola ambizione di entrare, speculando nella finanza, nel mondo dei ricchi, dei vincenti. Il secondo il regista Virzì lo affida allo sguardo di Carla, una donna in crisi e fragile, consapevole della banalità della sua vita ma senza la forza di ribellarsi fino in fondo. Tenterà un riscatto cercando di far restaurare e rilanciare un teatro abbandonato ma tornerà mestamente a recitare il ruolo che ha accettato sposando Bernaschi. Il terzo sguardo è quello di Serena, la figlia di Dino, forse l’unica figura positiva del film, l’unica capace di mettere i sentimenti e l’affetto davanti a tutto e di riprendere in mano la sua vita, determinata a cambiarla radicalmente. Nel quarto e ultimo capitolo il regista tira finalmente le fila delle “diverse storie” e racconta i fatti come sono accaduti, rivelando la verità sull’incidente.
Paolo Virzì ha realizzato senza dubbio il suo capolavoro. Il cineasta livornese ha abbandonato la commedia graffiante e finemente popolare che ha caratterizzato tutta la sua filmografia per cimentarsi in un thriller drammatico, dai toni noir. Forse era necessario, raccontare i vizi italici del giorno d’oggi con il sarcasmo e il sorriso è sempre più difficile. Il capitale umanoè un affresco amaro di un paese abbruttito e avvitato su se stesso, stanco e disilluso, incapace di credere in un riscatto, in un futuro migliore. Bloccato non tanto, o non solo, dalla drammatica crisi economica ma anche da una crisi etica e culturale.
Con una lucida capacità introspettiva Virzì accompagna lo spettatore dentro la psicologia dei personaggi, ma non li condanna né li giudica, lasciando a noi questo compito. Forse per questo è un film che ci scuote e ci indigna.
Buona parte del merito del grande successo ottenuto va attribuito a un cast grandioso, che il regista, come sempre, ha saputo far rendere al massimo. Difficile scegliere tra Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni, o tra Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi, tutti eccellenti. Notevoli anche gli attori più giovani, per esempio l’esordiente Matilde Gioli che interpreta Serena, una vera sorpresa. Il finale lascia gli spettatori storditi e sgomenti. E’ proprio tutto marcio e irrecuperabile? Forse no. Se da una parte c’è una classe dirigente che “ha scommesso sulla rovina di questa Paese e ha vinto”, scegliendo il successo personale e i soldi facili, senza preoccuparsi del futuro, dall’altra c’è ancora una speranza: le nuove generazioni che non hanno perso la fiducia, come Serena, capace di andare controcorrente con caparbietà.
Persone che, malgrado tutto, sanno ancora distinguere il vero capitale umano da quello economico.
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