“La natura ci destinò per medicina di tutti i mali la morte.” Giacomo Leopardi - Operette morali
Trincea di Col Caprile sul Monte Grappa. Nel silenzio del primo mattino un giovane soldato del fronte austriaco si muove silenzioso e furtivo. Riesce ad aprire un varco nel filo spinato. Impaurito, abbandona la trincea e si inoltra nel territorio italiano.
Il suo nome è Peter Pan, proviene da un villaggio ungherese dove faceva il pastore. Come tanti ragazzi arruolati a forza e poi fatti crudelmente massacrare nelle trincee della Grande Guerra, non sa nemmeno dove si trova o per cosa si sta combattendo.
Nella sconfinata natura dell’Altopiano, spopolata e martoriata dalle bombe, si muove a suo agio, quel paesaggio gli ricorda le sue colline, gli riaccende ricordi della sua infanzia che gli tengono compagnia.
Non è una fuga verso la libertà, si rende conto che è praticamente impossibile riuscire a tornare a casa.
Si muove timoroso e cauto come un elfo dei boschi.
Ci sono strani presagi nell’aria. Segnali di morte. I pochi esseri umani che incontra, senza mai farsi scoprire, sembrano presenze eteree, incorporee. Uno strambo capitano somigliante a Don Chisciotte che guida uno sparuto gruppo di soldati italiani allo sbando non lo vede ma avverte la presenza di ombre. Una anziana dal volto scavato e compassionevole lo osserva da lontano, porta delle croci su un carretto.
Capisce che sarà il suo ultimo viaggio. Può solo abbandonarsi alla natura, seguirne il respiro, sentire di far parte del suo immenso mistero e accogliere il suo abbraccio immanente.
Una natura viva e pulsante nei suoi microcosmi, dove cavallette, lucertole e formiche ne continuano il corso, indifferenti alle miserie umane. Ma anche una natura madre e protettrice, in cui un imponente dio Pan, simboleggiato da un gigantesco caprone con le corna, si ribella e lotta contro il mostro distruttivo della guerra. La morte, che con la guerra non può che essere distruzione e furia cieca, ora diventa catarsi, riconciliazione con la madre-terra, alfa e omega finalmente ricongiunti.
Soldato Peterè un film piccolo e delicato, un autentico gioiello che risplende di poesia.
I due registi, Gianfilippo Pedote, storico produttore milanese di progetti cinematografici innovativi, e Giliano Carli, scenografo asiaghese di maestri come Olmi e Lucchetti, hanno iniziato a lavorare su questo progetto circa vent’anni fa. La scintilla l’accese la scoperta della presenza nel Sacrario militare di Cima Grappa di un loculo di un soldato chiamato Peter Pan. La sua tomba ha sempre fiori freschi e nuovi visitatori per la curiosa omonimia con il personaggio del romanzo di J.M. Barrie.
Come tutte le opere d’arte Soldato Peter è un film in cui lo spettatore deve abbandonarsi alla visione, lasciandosi guidare dallo sguardo smarrito e dagli occhi magnetici di Ondina Quadri, una scelta assolutamente azzeccata per trasmettere l’innocenza e il candore dell’età spezzata di Peter.
Il coraggio di far coesistere elementi cinematograficamente distanti, come la tecnica pittorica del live-painting di Cosimo Miorelli o il girato in Super8 sfocato usato per i flashback, con la nitidezza di una fotografia a tratti documentaristica, è stato ampiamente ripagato da una struttura narrativa che risulta compatta e coerente, coinvolgente per le emozioni che riesce a trasmettere.
Sullo sfondo, protagonista è la natura, ferita dalla guerra ma indomita, magnificamente fotografata da Matteo Calore e impreziosita dai paesaggi di luoghi simbolici come il Monte Zebio, il Barental o il Monte Corno.
È un film in cui le parole sono lievi, centellinate, lasciano spazio alle immagini, ai rumori della natura e ai silenzi. Eppure, nella sua delicatezza Soldato Peter è un film potente.
“Un canto sommesso contro la guerra che oggi continua a insanguinare il mondo”, lo hanno definito i due registi, “quella guerra che sembra scaturire dallo stesso pensiero onnipotente e tecnofilo che ha portato l’uomo a considerare la natura come qualcosa di estraneo e distante da sé, un’entità da sfruttare per trarne beneficio, economico in primo luogo, fino a creare le condizioni per rendere incerta la nostra stessa sopravvivenza sulla Terra.”
Non poteva che essere la montagna a dare l’ultimo abbraccio a Peter e alla sua generazione cancellata dalla Grande Guerra. Se il Peter Pan della favola non voleva crescere, a quello in carne e ossa e a milioni di ragazzi mandati a morire al fronte non è stato permesso.
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