“Il mare lo immagino molto ampio e molto grande. Ma soprattutto profondo. Il maestro ha detto che ci porterà a vederlo.”
Il mare immaginato dai bambini che non lo hanno mai visto (quaderno stampato dai bambini di Banuelos de Bureba - 1935)
Ci sono molti modi per promuovere il progresso sociale di un Paese. Quello che punta su un’istruzione pubblica di qualità è senz’altro il più difficile, ma anche il più efficace e lungimirante, destinato a durare nel tempo. Formare fin dall’infanzia ragazzi dotati di spirito critico, liberi e appassionati, farli lavorare in gruppo pur coltivando il talento e la fantasia di ciascuno, rappresenta una cultura pedagogica autenticamente rivoluzionaria, oggi come nel secolo scorso.
Il sistema scolastico spagnolo della prima metà del Novecento era invece classista e conservatore, basato sulla disciplina e sul culto dell’autorità civile e religiosa. Nella brevissima stagione repubblicana dei primi anni ’30, spazzata via pochi anni dopo dalla sanguinosa guerra civile e dalla dittatura franchista, per contrastare l’analfabetismo di massa il Governo repubblicano investì molto sull’istruzione, inviando maestri anche nelle province rurali più sperdute.
Così, nel 1935, nel paesino di Banuelos de Bureba, vicino a Burgos, viene mandato Antoni Benaiges, un giovane maestro, entusiasta e anticonformista, l’esatto opposto del suo predecessore, il sacerdote locale, grigio e severissimo.
Il metodo educativo di Antoni è quello del pedagogista francese Célestin Freinet, che già alla fine dell’Ottocento teorizzava di mettere il bambino al centro del progetto educativo, “non più come soggetto passivo da indottrinare, ma come soggetto attivo da stimolare attraverso il contatto con la realtà esterna”. Per i freinetisti, inoltre, la scuola deve essere aperta allo scambio e al confronto, facendo stampare direttamente ai bambini, per esempio, dei quaderni artigianali con i loro pensieri, da scambiare poi con i quaderni delle altre scuole.
Se gli alunni della monoclasse di Banuelos de Bureba si appassionano subito alle attività proposte, affezionandosi a quel maestro gentile e bizzarro, gli adulti del piccolo pueblo sono invece perplessi, quando non apertamente ostili. Aleggia nell’aria la tensione sociale e politica dell’imminente guerra civile che divamperà di lì a poco facendo sprofondare la Spagna nella violenza cieca del regime franchista e nella lunga dittatura che finirà solo a metà degli anni Settanta. Per i falangisti di Franco il marchio dell’infamia con cui viene additato Antoni - “ateo e rosso” - è già una sentenza inappellabile: il maestro è un nemico della Spagna.
Parallelamente alla storia di Antoni Benaiges e dei suoi alunni, Il maestro che promise il mare racconta anche un’altra storia, quella della ricerca dei resti delle decine di migliaia di persone fatte sparire durante l’epoca franchista, le cui ossa sono sepolte in centinaia di fosse comuni.
Settantacinque anni dopo la tragedia del maestro, Ariadna, nipote di uno dei suoi alunni, decide di ricostruire la storia del nonno, ormai affetto da demenza senile. Cresciuta, come buona parte della società spagnola, senza aver mai affrontato l’argomento della dittatura, rimossa da quel “patto del silenzio” durato fino agli anni duemila, decide di andare alla ricerca dei resti del bisnonno, anch’egli desaparecido. Inizia così un doloroso recupero della storia della sua famiglia per salvarla dall’oblio, ma per riappropriarsi della memoria famigliare deve ripartire da quella storica.
Il toccante film di Patricia Font intreccia quindi due storie lontane ma inscindibili, alternandole tra passato e presente. Il racconto, pur in due piani temporali distinti, risulta fluido e coinvolgente. Azzeccata la scelta di differenziare i toni della fotografia, con un presente grigio e freddo opposto ai toni caldi e solari che raccontano la vita di Antoni Benaiges. Alcune intuizioni registiche colpiscono lo spettatore, come per esempio la scelta di non mostrare il volto del maestro umiliato e flagellato, esibito in piazza come un trofeo, soffermandosi invece sui volti compiaciuti dei militari e del parroco, e al contempo sui visi sconvolti dei bambini. Le interpretazioni dell’intero cast appaiono convincenti, su tutte Enric Auquer e Laia Costa, rispettivamente il maestro Antoni e Ariadna, autori di una prova superlativa per intensità e espressività.
Malgrado il triste epilogo, negli anni successivi i bambini conosceranno lo stesso il mare, la sua profondità e la sua vastità. Come del resto, quarant’anni dopo potranno assaporare per la prima volta i valori della democrazia. Quei valori, come la libertà, il rispetto per gli altri e l’amore per la cultura che Antoni aveva cercato, con la gentilezza e l’entusiasmo, di insegnare loro. Quei valori, espressi nei pensieri dei quaderni stampati in classe, che la violenza fascista ha potuto bruciare in piazza ma non cancellare per sempre.
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