Sorry We Missed You

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la fine del lavoro Valutazione 5 stelle su cinque

di sergio dal maso


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venerdì 21 agosto 2020

"Non lo trovi sotto casa? Ordinalo su Amazon, domani mattina sarà comodamente a casa tua!”
 
Quella dei Turner è una normale famiglia inglese. Tenacemente unita, malgrado i lavori precari e malpagati di Ricky e Abbie e il rapporto non troppo sereno con Seb, il maggiore dei due figli, adolescente piuttosto irrequieto.
Abby assiste gli anziani a domicilio, lavora fino a quattordici ore al giorno, trattandoli sempre con affetto e rispetto. Eppure guadagna una miseria, e non ha un contratto stabile perché dipende da una agenzia.
Ricky, dopo aver fatto tanti lavori, dal falegname all’idraulico, vede nelle consegne a domicilio come corriere freelance la possibilità di svoltare, di raggiungere quella solidità economica che gli permetterebbe di ottenere un mutuo e acquistare, finalmente, un appartamento.     
Come il precedente Io Daniel Blakeanche Sorry we missed you si apre con uno schermo nero. Si sente solo un dialogo, è il colloquio tra Ricky e il nuovo datore di lavoro.
Un fermo immagine nero come l’abisso in cui da questo momento il protagonista sarà lentamente trascinato, in una spirale di sfruttamento e alienazione di cui diventerà consapevole troppo tardi. 
Perché alla base di tutto c’è l’inganno lessicale della seducente formula di assunzione, “non lavori per noi ma con noi”.
Non ci sarà nessuna autonomia lavorativa per Ricky, casomai il contrario. Quella chiamata in gergo gig-economy, cioè i lavori a chiamata pagati a prestazione, è una moderna forma di schiavismo in cui non sono previste ferie – a volte le assenze bisogna addirittura pagarsele - non ci sono indennità di malattia e i soffocanti piani di consegna sono rigidamente controllati da strumenti digitali e satellitari.
E da questa spirale è difficile uscire, spesso i padroncinisi indebitano per acquistare il furgone o gli strumenti di lavoro, a volte proprio con le “agenzie” a cui si legano quindi in modo indissolubile.
Come negli altri suoi film lo sguardo di Ken Loach è estremamente lucido e profetico nel parlarci dei recenti e radicali cambiamenti del mondo del lavoro, della mutazione dei rapporti sociali nel mondo globalizzato.
Ci apre gli occhi sugli acquisti onlineche, senza che ne accorgessimo, hanno spazzato via l’organizzazione tradizionale del commercio. Cosa succede tra il clic che conferma un acquisto su un sito di e-commercee l’apertura del pacco a casa? Ricky lo scoprirà troppo tardi, sulla sua pelle.
Quel clicattiva all’istante una catena di montaggio frenetica, quasi schizofrenica, che in tempi rapidissimi deve garantire il reperimento, il confezionamento e la consegna della merce ordinata. In una catena dove l’anello debole sono proprio i corrieri come il protagonista.
Sorry we missed you è un film durissimo, spietato, ma asciutto e antiretorico. Un pugno nello stomaco che lascia senza fiato. Si crea una forte empatia con Ricky, una vicinanza quasi fisica, ci sembra di accompagnarlo nel suo calvario quotidiano col furgone.
Ken Loach è veramente bravo a rendere assolutamente credibili le storie che racconta. Gli attori, quasi sempre non professionisti, sono impeccabili, sembrano non recitare nemmeno da quanto sono “veri”.
Il formidabile Kris Hitchen nella vita ha fatto veramente l’idraulico e il corriere, proprio come Ricky.
Sentiamo vicini i personaggi della famiglia Turner perché trasudano umanità.
Il baratro di alienazione e di imbarbarimento lavorativo in cui è sprofondato il protagonista finisce col lacerare i legami famigliari. Quel sentimento affettivo famigliare che sembra essere l’unico motivo di speranza in una società totalmente asservita al profitto e al denaro, una società che non sa nemmeno immaginare un futuro diverso.  
Sorry we missed youè la frase dei bigliettini che i corrieri inglesi lasciano in caso di mancata consegna. Significa “ci dispiace, non ti abbiamo trovato”, ma letteralmente significherebbe “ci dispiace, ti abbiamo perso”. Ciò che è stato perso è il rispetto dell’individuo, della dignità della persona, l’umanità in un mondo del lavoro impazzito.
Ken Loach non indica una via d’uscita, alla piccola Liza Jane non resta che sperare “che tutto torni come prima”.

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