ruger357mgm
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giovedì 2 gennaio 2020
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nessuna pietà per gli ultimi
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Nè Verga nè Dickens saprebbero raccontare la bolla del " lavoro fluido", del precariato travestito da lavoro autonomo 3.0 , meglio dello spietato Ken Loach di oggi.Dopo averci regalato lacrime e magoni con il sublime Daniel Blake ,che ci ha introdotti al mondo dei navigator e del sussidio di disoccupazione ( id est reddito di cittadinanza) , Ken ci presenta la realtà vera della Gig economy, quella dell' e-commerce che tutti ci attrae nel suo magico giro misterico. Belli gli acquisti on line, bello il fattorino che ci recapita l'agognato pacchetto, meno bello il sistema implacabile che strangola lentamente i " padroncini " che coi loro furgoni si incaricano delle consegne " temporizzate ".
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Nè Verga nè Dickens saprebbero raccontare la bolla del " lavoro fluido", del precariato travestito da lavoro autonomo 3.0 , meglio dello spietato Ken Loach di oggi.Dopo averci regalato lacrime e magoni con il sublime Daniel Blake ,che ci ha introdotti al mondo dei navigator e del sussidio di disoccupazione ( id est reddito di cittadinanza) , Ken ci presenta la realtà vera della Gig economy, quella dell' e-commerce che tutti ci attrae nel suo magico giro misterico. Belli gli acquisti on line, bello il fattorino che ci recapita l'agognato pacchetto, meno bello il sistema implacabile che strangola lentamente i " padroncini " che coi loro furgoni si incaricano delle consegne " temporizzate ". Il tutto calato nella viva lingua del paese prossimo extracomunitario e negli ambienti quotidiani del nuovo proletariato, cui una volta il regista guardava con speranza, penso a Terra e Libertà, o con disincanto mentre ora con il suo occhio lucido, la fotografia asciutta, la sceneggiatura tagliata con l'accetta, non riserva agli ultimi alcuna pietà.E' il neo realismo degli anni duemila, l'amara verità che nessuno di coloro che insieme a noi stasera ha visto il film davvero conosce, e non fa sconti , prendere o lasciare. Noi, con le lacrime mandate indietro, guardando la piccola Mary Jane cercare di fermare il maledetto furgone del papà, abbiamo preso carico di questa immane sofferenza.Ken é bravissimo ma il dolore che induce in noi non ci permette di lodarlo come vorremmo o forse é questo guardare al dolore con lucidità che ce lo fa amare....
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[+] loach e i ceti sociali più poveri e disagiati
(di antonio montefalcone)
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sergio dal maso
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venerdì 21 agosto 2020
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la fine del lavoro
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"Non lo trovi sotto casa? Ordinalo su Amazon, domani mattina sarà comodamente a casa tua!”
Quella dei Turner è una normale famiglia inglese. Tenacemente unita, malgrado i lavori precari e malpagati di Ricky e Abbie e il rapporto non troppo sereno con Seb, il maggiore dei due figli, adolescente piuttosto irrequieto.
Abby assiste gli anziani a domicilio, lavora fino a quattordici ore al giorno, trattandoli sempre con affetto e rispetto. Eppure guadagna una miseria, e non ha un contratto stabile perché dipende da una agenzia.
Ricky, dopo aver fatto tanti lavori, dal falegname all’idraulico, vede nelle consegne a domicilio come corriere freelance la possibilità di svoltare, di raggiungere quella solidità economica che gli permetterebbe di ottenere un mutuo e acquistare, finalmente, un appartamento.
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"Non lo trovi sotto casa? Ordinalo su Amazon, domani mattina sarà comodamente a casa tua!”
Quella dei Turner è una normale famiglia inglese. Tenacemente unita, malgrado i lavori precari e malpagati di Ricky e Abbie e il rapporto non troppo sereno con Seb, il maggiore dei due figli, adolescente piuttosto irrequieto.
Abby assiste gli anziani a domicilio, lavora fino a quattordici ore al giorno, trattandoli sempre con affetto e rispetto. Eppure guadagna una miseria, e non ha un contratto stabile perché dipende da una agenzia.
Ricky, dopo aver fatto tanti lavori, dal falegname all’idraulico, vede nelle consegne a domicilio come corriere freelance la possibilità di svoltare, di raggiungere quella solidità economica che gli permetterebbe di ottenere un mutuo e acquistare, finalmente, un appartamento.
Come il precedente Io Daniel Blakeanche Sorry we missed you si apre con uno schermo nero. Si sente solo un dialogo, è il colloquio tra Ricky e il nuovo datore di lavoro.
Un fermo immagine nero come l’abisso in cui da questo momento il protagonista sarà lentamente trascinato, in una spirale di sfruttamento e alienazione di cui diventerà consapevole troppo tardi.
Perché alla base di tutto c’è l’inganno lessicale della seducente formula di assunzione, “non lavori per noi ma con noi”.
Non ci sarà nessuna autonomia lavorativa per Ricky, casomai il contrario. Quella chiamata in gergo gig-economy, cioè i lavori a chiamata pagati a prestazione, è una moderna forma di schiavismo in cui non sono previste ferie – a volte le assenze bisogna addirittura pagarsele - non ci sono indennità di malattia e i soffocanti piani di consegna sono rigidamente controllati da strumenti digitali e satellitari.
E da questa spirale è difficile uscire, spesso i padroncinisi indebitano per acquistare il furgone o gli strumenti di lavoro, a volte proprio con le “agenzie” a cui si legano quindi in modo indissolubile.
Come negli altri suoi film lo sguardo di Ken Loach è estremamente lucido e profetico nel parlarci dei recenti e radicali cambiamenti del mondo del lavoro, della mutazione dei rapporti sociali nel mondo globalizzato.
Ci apre gli occhi sugli acquisti onlineche, senza che ne accorgessimo, hanno spazzato via l’organizzazione tradizionale del commercio. Cosa succede tra il clic che conferma un acquisto su un sito di e-commercee l’apertura del pacco a casa? Ricky lo scoprirà troppo tardi, sulla sua pelle.
Quel clicattiva all’istante una catena di montaggio frenetica, quasi schizofrenica, che in tempi rapidissimi deve garantire il reperimento, il confezionamento e la consegna della merce ordinata. In una catena dove l’anello debole sono proprio i corrieri come il protagonista.
Sorry we missed you è un film durissimo, spietato, ma asciutto e antiretorico. Un pugno nello stomaco che lascia senza fiato. Si crea una forte empatia con Ricky, una vicinanza quasi fisica, ci sembra di accompagnarlo nel suo calvario quotidiano col furgone.
Ken Loach è veramente bravo a rendere assolutamente credibili le storie che racconta. Gli attori, quasi sempre non professionisti, sono impeccabili, sembrano non recitare nemmeno da quanto sono “veri”.
Il formidabile Kris Hitchen nella vita ha fatto veramente l’idraulico e il corriere, proprio come Ricky.
Sentiamo vicini i personaggi della famiglia Turner perché trasudano umanità.
Il baratro di alienazione e di imbarbarimento lavorativo in cui è sprofondato il protagonista finisce col lacerare i legami famigliari. Quel sentimento affettivo famigliare che sembra essere l’unico motivo di speranza in una società totalmente asservita al profitto e al denaro, una società che non sa nemmeno immaginare un futuro diverso.
Sorry we missed youè la frase dei bigliettini che i corrieri inglesi lasciano in caso di mancata consegna. Significa “ci dispiace, non ti abbiamo trovato”, ma letteralmente significherebbe “ci dispiace, ti abbiamo perso”. Ciò che è stato perso è il rispetto dell’individuo, della dignità della persona, l’umanità in un mondo del lavoro impazzito.
Ken Loach non indica una via d’uscita, alla piccola Liza Jane non resta che sperare “che tutto torni come prima”.
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ghisi grütter
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venerdì 3 gennaio 2020
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autonomo o precario?
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Siamo a Newcastle upon Tyne nel nord-est dell’Inghilterra, che una volta è stato un importante cantiere navale e un polo manifatturiero.
Qui, Ricky Turner (interpretato da Kris Hitchen) si convince che avere un’attività in proprio sia un affare e non vuole più lavorare sotto padrone.
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Siamo a Newcastle upon Tyne nel nord-est dell’Inghilterra, che una volta è stato un importante cantiere navale e un polo manifatturiero.
Qui, Ricky Turner (interpretato da Kris Hitchen) si convince che avere un’attività in proprio sia un affare e non vuole più lavorare sotto padrone. Spera in tal modo di guadagnare di più per potersi comprare una casa che già una volta era vicino ad ottenere, prima della crisi del 2008 quando aveva perso il lavoro fisso. Ricky si rivolge al mondo dell’e.commerce e si propone a una società di spedizioni come corriere, senza sapere bene che i corrieri fanno una vita dura tra mille difficoltà.
Un lavoratore autonomo? Gli dice il capo: «Qui non lavori per noi, lavori con noi». L’autonomia consiste nel metterci un furgone proprio, non avere malattia o ferie, fare attenzione agli orari delle consegne e non sbagliare mai neanche un dettaglio. Se per qualsiasi ragione ci si deve assentare per una giornata, si deve pagare in proprio un sostituto, altrimenti si rischia di perdere il lavoro. Le multe per gli errori sono salate e ai corrieri conviene stare molto attenti.
“Sorry, we missed you” è scritto sul modulo della compagnia di consegna dei pacchi quando il destinatario non è stato trovato in casa.
Abbie (interpretata da Debbie Honeywood), la moglie di Ricky, è un’infermiera che si occupa dei malati a domicilio: anziani non autonomi o giovani handicappati. Dalla mattina alle 7.30 fino alla sera tardi è occupata a prendersi cura dei pazienti, dovendo anche spostarsi da una casa all’altra con gli autobus perché il marito ha venduto la sua auto per comprarsi un furgone.
Ricky ha appena iniziato il suo nuovo lavoro, ed è pieno di speranze e buone intenzione. Lavora quattordici ore al giorno passandone la maggior parte nel suo furgone senza aver tempo neanche di andare in bagno, infatti, è costretto spesso ad orinare dentro una bottiglia.
I due costituiscono pertanto una coppia di genitori che ha poco tempo per badare ai due figli, Sebastian e Lisa Jane (interpretati da Rhys Stone e da Katie Proctor), non per scelta ma per necessità e specialmente il maschio teen-ager ha le porte aperte alle cattive compagnie ed è spesso in raid con la sua gang di writers sui muri di Newcastle.
Il film ha un ritmo incalzante, le giornate si ripetono in modo ossessivo, ogni giorno ci sono un’infinità di imprevisti che Ricky deve affrontare ma non ha tempo per farlo. Ricky è diventato irritabile anche in famiglia e la coppia inizia ad avere dei problemi. Una sera, dopo aver risposto male alla moglie, è aggressivo con il figlio che non riesce a comprendere: in un eccesso di frustrazione alza anche le mani. La famiglia sta per sgretolarsi schiacciata dai piccoli e grandi problemi.
Gli interpreti di “Sorry, we missed you” sono tutti attori non professionisti che, durante la lavorazione del film, non sapevano come sarebbe andata avanti la vicenda. Ogni episodio era una novità anche per loro perché il regista voleva l’autenticità in ogni dettaglio. L’interprete principale Kris Hitchen è stato preso dal mondo del lavoro dove faceva l’idraulico prima di ottenere la parte di Ricky. Dura e amara è la sceneggiatura, impeccabile risultato dell’ormai consolidato rapporto tra Ken Loach e Paul Laverty.
Con gli ultimi due film - questo e “Io, Daniel Blake” vincitore della Palma a Cannes 2016 - Ken Loach vuole mostrare il nuovo tipo di sfruttamento su cui è basata la cosiddetta la gig economy e le conseguenze nella vita privata dei lavoratori. La gig economy è una delle nuove forme di organizzazione dell'economia digitale. Si può spiegare come “economia dei lavoretti” e corrisponde a mestieri che una persona potrebbe svolgere a tempo perso. Il modello va verso un lavoro sempre più parcellizzato, affidato a freelance ma gestito dalle piattaforme con formule di organizzazione che molto spesso sono uguali a quelle del lavoro alle dipendenze.
Con il cinema di Ken Loach si entra nelle vite dei personaggi passando direttamente dalla porta principale, vivendoci insieme e affrontando con loro il senso d'impotenza e la ricerca di un’alternativa. Loach è sempre dalla parte dei marginali, dei disoccupati, delle persone semplici che abbiano comunque subìto dei soprusi. Il suo è un eccellente esempio di cinema militante. Avevo letto da qualche parte che Ken Loach, ormai ottantenne, aveva deciso di smettere di fare film ma quando ha sentito che si discuteva della possibile privatizzazione della polizia, ha voluto riprendere a girare per mostrare le conseguenze delle scelte economiche e politiche attuali. Chissà se nel prossimo mostrerà gli effetti della Brexit?
Così afferma la produttrice del film Rebecca O’Brian: «Se si mettono insieme, i film di Ken costituiscono una sorta di lunga storia delle nostre vite. Mi piace pensare che tra 200 anni, se qualcuno vorrà farsi un’idea della storia sociale della nostra epoca, potrebbe trovare una risposta guardando cinquant’anni di film di Ken Loach e dei suoi sceneggiatori».
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eugenio
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lunedì 27 gennaio 2020
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i turner, una famiglia
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Ma quanto è bravo Ken Loach? Quanto è capace questo regista di intercettare il sentir comune di famiglie umili che cercano di elevarsi con onestà e mille difficoltà nel complicato e torbido mondo odierno fatto di compromessi in una lotta spietata per un lavoro sottopagato spesso caratterizzato da pesanti privazioni?
L’ultimo film del cineasta anglosassone, da sempre interprete di questo diffuso malumore, è un grand’affresco familiare che impiega la tematica della semplice istanza quotidiana per delineare con dovizia di particolari e tanta attenzione alle psicologie, i problemi di tutti i giorni. Questa famiglia, I Turner, sono quanto di più normale possa esistere: lui è un padre, Ricky, che nella Newcastle dove tutto viaggia sempre in fretta, decide di mettersi in proprio (per così dire) in una società di corrieri, vendendo pure l’auto della moglie, per riuscire a garantirsi l’affitto di un furgone a prezzo di una vita sociale praticamente inesistente nel rispetto di orari e consegne a ritmo disumano (sappiamo qualcosa da Amazon a Foodora…); lei, Abby è un’assistente domiciliare per anziani soli e infermi, costretta a muoversi tra doppi turni stancanti e massacranti ma sempre con grandissima umanità.
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Ma quanto è bravo Ken Loach? Quanto è capace questo regista di intercettare il sentir comune di famiglie umili che cercano di elevarsi con onestà e mille difficoltà nel complicato e torbido mondo odierno fatto di compromessi in una lotta spietata per un lavoro sottopagato spesso caratterizzato da pesanti privazioni?
L’ultimo film del cineasta anglosassone, da sempre interprete di questo diffuso malumore, è un grand’affresco familiare che impiega la tematica della semplice istanza quotidiana per delineare con dovizia di particolari e tanta attenzione alle psicologie, i problemi di tutti i giorni. Questa famiglia, I Turner, sono quanto di più normale possa esistere: lui è un padre, Ricky, che nella Newcastle dove tutto viaggia sempre in fretta, decide di mettersi in proprio (per così dire) in una società di corrieri, vendendo pure l’auto della moglie, per riuscire a garantirsi l’affitto di un furgone a prezzo di una vita sociale praticamente inesistente nel rispetto di orari e consegne a ritmo disumano (sappiamo qualcosa da Amazon a Foodora…); lei, Abby è un’assistente domiciliare per anziani soli e infermi, costretta a muoversi tra doppi turni stancanti e massacranti ma sempre con grandissima umanità. Ed, infine, ci sono i due figli, entrambi in cammino lungo la complicata strada dell’adolescenza: il maschio assai poco giudizioso amante dei graffiti che svicola tra piccoli furti e ruberie e la piccola, forse la più giudiziosa che ha dovuto imparare a cavarsela da sola, in una famiglia che via via, da unita si troverà sempre più frastagliata negli affetti e nei sentimenti. A causa sempre di quei maledetti soldi.
Già con il recente Io Daniel Blake epopea di un sessantenne alla ricerca dell’assistenzialismo di uno Stato assente, si leggeva il dramma delle diseguaglianza di un mondo che ha posto la dignità del lavoro sotto i tacchi per chi il lavoro lo ha già. In Sorry We Missed You (dal nome degli avvisi di consegna dei pacchi, quando il destinatario non è in casa), questo leitmotiv, dei soldi che mancano, del profitto imperante a scapito di un’umanità umiliata e prostrata da collaborazioni spesso aulicamente definite “professionali” che nascondono il recondito malaffare dello sfruttamento, continua.
Il regista mette in scena l’azzimata crudeltà lavorativa odierna, capace di esaurire le nostre energie per salvaguardare quel benessere fisico e mentale che è la vita familiare. Gli sforzi ci dice Loach, sembrano quasi inutili. I Turner vengono tiranneggiati proprio da quest’ansia di ambizione (volta principalmente ad un’elevazione sociale che si vorrebbe concretizzare con l’acquisto di una prima casa), alla fiera sussistenza di un lavoro onesto, divisi proprio da quest’aberrante ritmo che rende l’attività che dovrebbe nobilitare l’uomo quasi una sopravvivenza più che una sussistenza.
Ken il rosso, guidato dalla sapiente mano di Paul Laverty (suo storico sceneggiatore) ben spiega le dinamiche familiari alle prese con stress lavorativi e privati nella figura dell’adolescente ribelle, azzeccando toni e misure, senza eccedere. Non possiamo che provare empatia per i protagonisti della pellicola, indignandoci dinanzi alle umiliazioni di Ricky, commuovendoci dell’assistenza di Abby e scuotendo passivamente la testa per evitare di vedere il peggio. Peggio che, secondo quell’inesorabile programmaticità inglese si avvera, esasperando il tutto e rendendo quasi il protagonista il Giobbe che si fa carico di tutte le sventure, che le accetta per il solo bene familiare.
Un eroe da tragedia greca, forse troppo, in un film bellissimo che non nasconde le ipocrisie gettando uno squarcio sulla realtà odierna di cui poco si parla, di quel velo oltre le tenebre dell’abbondanza entro cui vive “il solito film di Loach”, solito sì forse, diverso eppure uguale in fondo a se stesso.
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angelo umana
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giovedì 9 gennaio 2020
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gli sfruttati
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Bene, anzi male, malissimo, Ken Loach ci ha rifilato un altro bel pugno nello stomaco: ci avverte, monita su quali pericoli corre la società occidentale sviluppata evoluta veloce produttiva, o in quale tragedia già si trova. Eppure ci serviamo dei working poors per farci portare a casa ogni oggetto che possiamo comprare via internet, qualcuno a sue spese provvederà a recapitarcelo a casa in men che non si dica. Già all'inizio del film si svolge l'intervista al circa 40enne Ricky che cerca lavoro, di fronte ha il "datore di lavoro" che in realtà non dà né assicura niente al pretendente, nessuna garanzia o assistenza in caso di malattia, incidenti col furgone da corriere o l'aggressione a scopo di furto che Ricky subirà.
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Bene, anzi male, malissimo, Ken Loach ci ha rifilato un altro bel pugno nello stomaco: ci avverte, monita su quali pericoli corre la società occidentale sviluppata evoluta veloce produttiva, o in quale tragedia già si trova. Eppure ci serviamo dei working poors per farci portare a casa ogni oggetto che possiamo comprare via internet, qualcuno a sue spese provvederà a recapitarcelo a casa in men che non si dica. Già all'inizio del film si svolge l'intervista al circa 40enne Ricky che cerca lavoro, di fronte ha il "datore di lavoro" che in realtà non dà né assicura niente al pretendente, nessuna garanzia o assistenza in caso di malattia, incidenti col furgone da corriere o l'aggressione a scopo di furto che Ricky subirà. Indovinatissimi i personaggi di questa intervista di pseudo "assunzione": la faccia travagliata di Ricky che di lavori ne ha passati tanti, che è disposto a nuovi onerosi impegni pur di assicurare un menage accettabile alla sua famiglia - la moglie Abbie che è una collaboratrice domestica in casa di invalidi o anziani per 13-14 ore al giorno e i due figli, il 17enne ribelle Seb che non vede futuro in questo mondo degli adulti e la 11enne Lisa Jane che resta spesso a casa da sola - e, chissà, domani aver ripagato i suoi debiti e magari comprar casa. Il "datore di lavoro" Maloney è invece un capo azienda cerbero, un re leone nella foresta, con un fisico da quasi Schwarzenegger, fiero del suo essere numero 1 nel mondo del franchising, risoluto e inflessibile nel far pagare ai suoi drivers ogni ritardo smarrimento o furto dei pacchi da consegnare. La libera professione a volte è una truffa, si è “liberi” di non guadagnare nulla ed esposti ad avverse fortune.
Qualcuno paventa guai ancora maggiori, o così li suggerirebbe Loach, per il welfare britannico quando la Brexit sarà cosa fatta, ma l'84enne regista parla della precarietà del lavoro o dell'assistenza sociale da sempre, già dai tempi di Margaret Thatcher e ancor prima, è sempre stato dalla parte degli sfruttati. Ken Loach è definito "attivista e politico britannico", in politica c'è stato di fatto, naturalmente nell'area della sinistra.
Nel film c'è il ritmo forsennato e avvincente di un vortice che porta sempre più in basso la situazione lavorativa del protagonista, fino alla disperazione e naturalmente con i rapporti familiari che subiscono spinte centrifughe, quasi all'orlo della disgregazione. Il titolo stesso è affascinante: il Sorry we missed you è contenuto nel biglietto che i corrieri inglesi lasciano sulla porta di destinari assenti ma sembra il messaggio che questi lavoratori autonomi ricevono quando non sono più utili a chi guadagna su di loro, scusa ti abbiamo perso! E' tutto appropriato e ci sta benissimo la liberatoria lavata di capo telefonica della dolce Abbie al "fottuto" franchiser Maloney. Questa volta Loach o la sceneggiatura addolciscono il finale o creano un filo di speranza: le difficoltà rafforzeranno l'unione tra Ricky, Abbie e i figli: in fondo la famiglia ci e si salva, forse. Ricky dirà del figlio, rivalutandolo mentre guarda i bozzetti dei graffiti a cui Seb ama dedicarsi a scapito dell'apprendimento scolastico, ci sono tante cose sul suo conto che non so.
Un aspetto però preme osservare: le possibili considerazioni degli spettatori che vedranno questo film di avvertimento o "denuncia graffiante". La gente cresciuta, magari pensionata o in carriera, che il suo welfare in qualche modo lo ha raggiunto, forse dirà "che orrore, in che mondo viviamo, e di mio figlio cosa sarà?, dove andremo a finire!" I politici che lo vedranno citeranno spesso il film come spettatori illuminati e forse diranno nei comizi o in tivù "è ora di finirla, adesso basta" (da Edoardo Bennato), proporrano leggi e provvedimenti e incontreranno le "parti sociali". I tanti agenti di commercio e/o finte partite iva italiane si diranno attoniti e sconvolti all'uscita dal cinema. I ragazzi che tra poco si addentreranno in questo mondo lavorativo non andranno a vedere il film di un 84enne regista e continueranno a compulsare il proprio smartphone-passatempo o finestra sul mondo, come il 17enne del film; una piccola citazione per associazione di idee: il titolo del libro di Elena Ferrante La vita bugiarda degli adulti – Crescere per diventare cosa, per assomigliare a chi? E' sperabile dunque che l'attivista e politico britannico abbia sempre devoluto parte dei suoi guadagni da ottimo regista a beneficio dei precari senza alcuna sicurezza, mostrando i quali si è fatto moltissimo apprezzare. Più o meno come le devoluzioni che sta facendo il calciatore negro del Liverpool Sadio Mane.
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giorgio47
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giovedì 16 gennaio 2020
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la fine della dignita' del lavoro
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Dobbiamo essere grati che esiste ancora un regista che parla della vita, quella vera, e degli ultimi diseredati di questa società. Certo non è né piacevole né gratificante guardare la sofferenza delle persone e meno che mai di persone che cercano di fare del tutto per vivere una vita serena e operosa. L’ultimo film di Ken Loach è veramente di una malinconia unica. La storia di una famiglia di persone per bene che cerca di sopravvivere nella giungla di indifferenza e apatia in cui sono precipitati i lavoratori sfruttati oltre ogni limite da un sistema che è immagine dell’ingiustizia e della prevaricazione del capitale, appoggiato troppo spesso da politici complici, sull’essere umano.
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Dobbiamo essere grati che esiste ancora un regista che parla della vita, quella vera, e degli ultimi diseredati di questa società. Certo non è né piacevole né gratificante guardare la sofferenza delle persone e meno che mai di persone che cercano di fare del tutto per vivere una vita serena e operosa. L’ultimo film di Ken Loach è veramente di una malinconia unica. La storia di una famiglia di persone per bene che cerca di sopravvivere nella giungla di indifferenza e apatia in cui sono precipitati i lavoratori sfruttati oltre ogni limite da un sistema che è immagine dell’ingiustizia e della prevaricazione del capitale, appoggiato troppo spesso da politici complici, sull’essere umano. Persino gli affetti più cari sono vessati e martoriati dalla vita frenetica e convulsa a cui sono oggi sottoposti i lavoratori. Un autista di furgone che effettua consegne per ordini via internet ed una moglie che svolge l’ingrato ma importante lavoro di assistere i vecchi, sono costretti ad una vita piena di amarezza e cosa gravissima, senza via di scampo.
Il pessimismo di questo film può essere paragonato a quello cosmico, anche se con le dovute differenze, dato che il poeta faceva riferimento alla condizione umana, mentre il film si riferisce ad una classe sociale, ma la tristezza che incute è enorme. Nel film ci sono anche, giustamente, dei riferimenti alle lotte passate e alla scomparsa di quelle che erano le conquiste del mondo del lavoro “che fine ha fatto la giornata di otto ore?” è il triste commento di una vecchia operaia di fronte all’impegno umano di chi l’accudisce con tanto amore solo per sua volontà e umanità in quanto non riceve riconoscimenti di nessun genere tanto meno economico.
Insomma si esce dal film con il cuore pieno di amarezza che è ancora maggiore se si pensa che molti che si reputano di sinistra sono stati gli artefici di questo mondo squallido, arido e senza dignità. Non solo, ma se penso a chi ha avuto il coraggio di tacciare di presunzione Ken Loach per avere voluto esprimere la sua solidarietà ai lavoratori, ed ora ha fatto un film per rivalutare, insieme allo squallore delle TV e della stampa, la memoria di un politico che ha portato il nostro Paese allo sfacelo, mi viene il vomito!!
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francesca meneghetti
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martedì 21 gennaio 2020
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questo capitalismo non muore più
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Esiste un genere cinematografico che possa definirsi operaista o anticapitalistico, così come esistono il genere storico, erotico, fantascientifico? Non mancano in effetti, in ambiente inglese, le narrazioni tese a denunciare i mali di quel sistema, “storicamente determinato” diceva Marx, che è incentrato su: iniziativa privata, ricerca incondizionata del profitto, sfruttamento della forza lavoro e delle risorse naturali. Si parte da “Tempi moderni”, del 1936, che contiene tutti i temi fondamentali (i ritmi disumani, l’alienazione, accentuata dalla catena di montaggio, la disoccupazione, le lotte sociali e quella individuale per la sopravvivenza), fino ad arrivare, attraverso il Free Cinema degli anni ’50 e attraverso quel gioiellino di Full Monty (1997) dell’era thatcheriana, all’ultimo film di Ken Loach.
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Esiste un genere cinematografico che possa definirsi operaista o anticapitalistico, così come esistono il genere storico, erotico, fantascientifico? Non mancano in effetti, in ambiente inglese, le narrazioni tese a denunciare i mali di quel sistema, “storicamente determinato” diceva Marx, che è incentrato su: iniziativa privata, ricerca incondizionata del profitto, sfruttamento della forza lavoro e delle risorse naturali. Si parte da “Tempi moderni”, del 1936, che contiene tutti i temi fondamentali (i ritmi disumani, l’alienazione, accentuata dalla catena di montaggio, la disoccupazione, le lotte sociali e quella individuale per la sopravvivenza), fino ad arrivare, attraverso il Free Cinema degli anni ’50 e attraverso quel gioiellino di Full Monty (1997) dell’era thatcheriana, all’ultimo film di Ken Loach. Il regista non ha mai fatto mistero del suo orientamento politico e ideologico: dunque è “naturale” che prosegua la sua indagine sui mali generati del capitalismo, mettendo a fuoco i contorni di quel recente sistema di distribuzione dei prodotti che inizia con un clic davanti a un sito Internet e che si conclude molto, fin troppo, rapidamente con la consegna di un pacco a domicilio. “Il resto – scrive Michele Serra - il resto è sempre strada: è fiumi di camion e di furgoni, è traffico, inquinamento, corrieri sottopagati che si stressano e stressano gli altri”. Il protagonista de film è infatti Ricky, il quale, dopo vari lavori nell’edilizia che sono stati stroncati dalla produzione, tenta di avviare un’attività in franchising per la distribuzione di pacchi. Questo gli dà l’illusione di essere un padroncino: in realtà si avvia alla schiavitù. E lo scopre ben presto: non ha orari, non ha diritti, è condannato a correre in furgone senza soste (un mezzo comprato con i soldi di famiglia, dopo aver venduto l’utilitaria della moglie, costretta a così a sfiancanti viaggi e attese in bus per raggiungere gli anziani che segue a domicilio: è il suo lavoro Lo stress del padre e la sua scarsa disponibilità di tempo per moglie e figli hanno un effetto domino sulla stabilità familiare, ma Ricky, cocciutamente, non si arrende: deve sacrificarsi per essere “a working class hero “, come diceva John Lennon. Da questo punto di vista, il film raggiunge il suo obiettivo, che si suppone essere quello di diffondere coscienza dei problemi: vedere “di che lacrime grondi e di che sangue” l’efficienza del sistema Amazon, e di quelli consimili, effettivamente rappresenta un pugno nello stomaco. Solo che c’è un eccesso di determinismo nel film, non molto diverso da quello degli scrittori naturalisti francesi che affrontarono per primi la questione sociale: nella famiglia di Ricky, nonostante l’infinita dolcezza, la pazienza, l’autocontrollo della moglie Abby, tutto prende ad andare male, come se dal lavoro schiavistico del padre dipendessero tutti i guai, inclusa la ribellione adolescenziale del figlio, che brucia la scuola per dedicarsi alla Street Art, e le insicurezze della piccola Liza. Ora è certo che certi fasi critiche dei figli richiedono ai genitori nervi saldi e lucidità, ma non è detto che genitori in difficoltà siano la causa diretta e meccanica di queste crisi. Sorge allora il dubbio che Ken Loach sia, almeno qui, nichilista, più ancora che anticapitalista: segnato da un pessimismo senza speranza che gli preclude assolutamente un finale come quello di “Tempi moderni”, moderatamente aperto alla speranza. In quest’ottica, il realismo (o neo-neorealismo del film) è qualcosa di più di una presa diretta sua realtà, di una rappresentazione oggettiva del vero. C’è un’accentuazione della negatività che aggiunge dell’altro: forse la disperazione, a fronte dell’incredibile resistenza e diffusione di un sistema che schiavizza molti, avviluppando le più remote periferie de mondo, a vantaggio di pochi, ma che gode ancora di buona salute: il capitalismo è proprio duro a morire. E la nostra umanità ne ha risentito. Il fim è riuscito e merita attenzione.
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loland10
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lunedì 2 marzo 2020
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scontri di una vita...
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“Sorry me wised you“ (id., 2019) è il ventiseiesimo lungometraggio del regista inglese Ken Loach.
L’ultimo Ken Loach colpisce ancora e lascia il segno.
Con poca simpatia verso lo spettatore ma con dolente realtà verso se stesso e la società che si vive.
Una finzione con retorica zero; alla fine un retaggio familiare che rimane e un affetto spaurito tra genitori e figli che vanno avanti sperando di essere come prima. Il prima che nessuno voleva, il prima che tutti rimpiangono, il prima di un lavoro nulla e il prima con poco futuro.
Adesso che il lavoro diventa come imprenditore
‘Scusa ci sei mancato’: una preghiera, un monito, un silenzio, un soccorso, una realtà, un epitaffio, un documento, una verità, un laconico, un padre, un figlio, una famigliare, un lavoro, un riposo, un parlarsi è un conoscersi.
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“Sorry me wised you“ (id., 2019) è il ventiseiesimo lungometraggio del regista inglese Ken Loach.
L’ultimo Ken Loach colpisce ancora e lascia il segno.
Con poca simpatia verso lo spettatore ma con dolente realtà verso se stesso e la società che si vive.
Una finzione con retorica zero; alla fine un retaggio familiare che rimane e un affetto spaurito tra genitori e figli che vanno avanti sperando di essere come prima. Il prima che nessuno voleva, il prima che tutti rimpiangono, il prima di un lavoro nulla e il prima con poco futuro.
Adesso che il lavoro diventa come imprenditore
‘Scusa ci sei mancato’: una preghiera, un monito, un silenzio, un soccorso, una realtà, un epitaffio, un documento, una verità, un laconico, un padre, un figlio, una famigliare, un lavoro, un riposo, un parlarsi è un conoscersi.
Ecco che quando il pacco arriva e non ci sei. Una frase di appoggio e una gentilezza al contrario. Tutto vero quello che arriva e tutto serio quello che arriva. Una storia e storie che arriva dal vero. Kean Loach ha indagato, ha letto e ha conosciuto persone che hanno fatto i corrieri. Lavoro di velocità insidioso, maldestro e pieno di sconfitte.
Si è letto che la storia di Don Iane, un corriere morto nel 2018, abbia colpito il regista per poter approfondire tale tipo di lavoro. E una delle tante vicende, come tanti gli incontri che i corrieri fanno quotidianamente.
Ricky e Abbie sono di Newcastle, sposati con due figli adolescenti, Sebastian e Liza. Ricky perde il lavoro, vuole acquistare un furgone per avviare un’attività autonoma di corriere. Per fare questo le rinunce sono tante, dalla vendita dell’auto della moglie, costretta a girare la città con mezzi pubblici per soccorrere gli anziani a domicilio, agli orari impossibili e a vedere i figli il minimo.
La situazione non va per il verso giusto, tra problemi di salute, di consegne con quelli del figlio che non va scuola, di Liza abbandonata a se stessa e della moglie esausta, stanca senza dimenticare il sogno di comprare casa. Tutti si complica, ogni giorno e ogni momento.
Ecco che il film di Kean Loach si aggrappa ad una corda piena di colla, si arrampica ai vetri oramai sporchi, si ostina a svegliarsi(ci) dal torpore quotidiano per i valori minimi ed essenziali di un vivere sincero e di affetto.
La redenzione sembra lontana o appare dal lumicino lontano in fondo al tunnel quando il figlio maldestro e ostinato, scontroso e contro si mette con le unghie contro la portiera del furgone del padre. Vuole fermarlo in tutti i modi, vuole ricordarsi di essere presente, rivuole un padre. Moglie e figlia vogliono tornare come erano prima. Difficile e impossibile tornare indietro.
Il lavoro che non c’è, il lavoro c’è. La casa, la famiglia, il diritto sanitario, il diritto sulle persone, le questioni sindacali, gli orari, le telefonate, i litigi, le imprecazioni, i clienti assenti, il tempo che corre. E le strade della città ora impazzite e ora vuote di umanità. Una ‘Brexit’ e una ‘vita infame’.
Sentito per sentito, visto per visto. Certo che i nomi ci sono tutti da (s)fruttare per lavorare e da (s)fruttato fino all’ultimo pacco. Una lista… fino ad Amazon. Nessuno è fuori.
Orribile il dentro: un film amarissimo dove ogni inquadratura familiare è sghemba, quasi pudica, fuori porta e quantomeno scivolosa.
Ridicolizzati i grandi del commercio su strada e i pacchi (regalo) arrivano a persone ancora sulla tastiera o a fare colazione o in pigiama o assenti per spocchia o presenti e arrabbiati. Una società di forviati e delusi, di indignati e avvelenati.
Riveriti i potenti quando fa comodo: certo fanno comodo per il lavoro…ma quante rivoluzioni post-industriali siamo arrivati …: il lavoro ‘postmoderno’ di ciechi e inutili (per far numero e selezione).
You per accondiscendere ed essere cordiali: ma le distanze aumentano e i rapporti familiari (o gruppi sociali) sono al lumicino o quasi al macero. Su questo Ken Loach ha fornito l’intera filmografia senza sconti e con acidità (violenta).
Cast: Kris Hitchen (Ricky) Debbie Honeywood (Abbie), Rhys Stone (Sebastian) e Katie Proctor (Liza Jane) sono i Turner: genitori e figli. Un seguirsi e un inseguirsi nei ruoli. Senza trucchi e sbavature irreali. (Sembra) tutto in presa diretta con la cinepresa che segue a distanza e con grande rispetto (e dignità) i percorsi di ognuno e di quello che gira attorno.
Fotografia (di Robbie Ryan): ingrigita, instabile, sciatta e scandita.
Musica (George Fenton): interiore e intensa, isolata e non sovrastante.
Sceneggiatura (Paul Laverty ); collaboratore assiduo del regista (oltre una dozzina di film): segue i personaggi (e viceversa) e scrive quello che fanno e pensano. Non un gioco macchinoso ma uno sfinito reale.
Regia di Ken Loach, non incline al gusto ma accostata alla vita (e i suoi molteplici rivoli).
Voto: 7½ (***½) -cinema nemesis-
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nadia meden
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domenica 5 gennaio 2020
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ken loach, we missed you
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Un grande ritorno di questo grandissimo regista, superbo e raffinato che ancora una volta ci porta sullo schermo la vita reale, parte di quella vita quotidiana che può appartenere a ognuno di noi. Senza strafare ma con i piedi ben piantati per terra , questa volta ci racconta la storia di una famiglia, madre , padre e due figli. Abby, la madre , donna buona e gentile lavora da mattina a sera come badante, il padre, Ricky una bella persona, cerca lavoro dopo aver svolto diverse mansioni, specialmente nell' edilizia. Trova lavoro e diventa uno dei tanti uomini del "furgoncino bianco ", quelli che recapitano a casa i pacchi degli ordini fatti su internet. quattordici ore di lavoro al giornosenza pause, niente diritti, tanti doveri, sempre controllato dalla "scatolina nera " che controlla tutti i suoi spostamenti.
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Un grande ritorno di questo grandissimo regista, superbo e raffinato che ancora una volta ci porta sullo schermo la vita reale, parte di quella vita quotidiana che può appartenere a ognuno di noi. Senza strafare ma con i piedi ben piantati per terra , questa volta ci racconta la storia di una famiglia, madre , padre e due figli. Abby, la madre , donna buona e gentile lavora da mattina a sera come badante, il padre, Ricky una bella persona, cerca lavoro dopo aver svolto diverse mansioni, specialmente nell' edilizia. Trova lavoro e diventa uno dei tanti uomini del "furgoncino bianco ", quelli che recapitano a casa i pacchi degli ordini fatti su internet. quattordici ore di lavoro al giornosenza pause, niente diritti, tanti doveri, sempre controllato dalla "scatolina nera " che controlla tutti i suoi spostamenti. " Non lavori per noi ma lavori con noi " gli dice il capo, una frase che fa ben sperare per una futura autonomia e per guadagnare bene. I problemi del figlio adolescente, i debiti che riaffiorano, le tante ore trascorse fuori casa , le tensioni nervose, diventeranno un dramma . Bellissima la presenza della figlia piccola bella e rossa di capelli come il padre, molto bravi tutti . Dopo "Io Daniel Blake" , a mio avviso, il piu' bel film di Loach . Grazie
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yarince
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giovedì 20 febbraio 2020
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dal "pane e le rose" a "pane e veleno"
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Sorry we missed you; un film disperato e duro, un pugno allo stomaco. Disperato perchè è senza speranza; siamo lontani dalla coralità dello sciopero dei minatori dell'84, supportato anche dalla comunità gay e lontanissimi dallo slogan "vogliamo il pane e le rose" dei sindacalisti impegnati nelle lotte di rivendicazione dei latinos in California, dove la classe operaia agiva insieme per difendere i loro diritti. Qui c'è un padroncino, solo con il suo furgone di proprietà, è un lavoratore autonomo che guadagna su commissione, sul numero di consegne, non c'è alcuna sicurezza nè garanzia, nè ferie retribuite, nè orario, nè malattia.
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Sorry we missed you; un film disperato e duro, un pugno allo stomaco. Disperato perchè è senza speranza; siamo lontani dalla coralità dello sciopero dei minatori dell'84, supportato anche dalla comunità gay e lontanissimi dallo slogan "vogliamo il pane e le rose" dei sindacalisti impegnati nelle lotte di rivendicazione dei latinos in California, dove la classe operaia agiva insieme per difendere i loro diritti. Qui c'è un padroncino, solo con il suo furgone di proprietà, è un lavoratore autonomo che guadagna su commissione, sul numero di consegne, non c'è alcuna sicurezza nè garanzia, nè ferie retribuite, nè orario, nè malattia. Non c'è solidarietà tra i corrieri di Loach, vige la legge del più resistente, chi più consegna più guadagna e chi si lamenta viene sostituito da chi non lo fa. Ricky è solo, con una bottiglietta per fare la pipì e una scatoletta nera che suona di continuo, che traccia i pacchi, i tempi di consegna e la procedura e che diventa il padrone della sua vita. "Sorry we missed you" è il messaggio che viene lasciato quando il destinatario non è in casa, ma è anche il messaggio sotteso in tutto il film; "We miss you" , " Papà, ci manchi" perchè è lui che manca alla famiglia, ai suoi ragazzi, a sua moglie, perchè il lavoro che avrebbe dovuto risollevare la loro situazione finanziaria, in realtà lo tiene in ostaggio tutto il giorno, lontano da casa, dove torna solo a tarda sera, sfinito. Da soli non si può che sprofondare sempre più nella disperazione e forse, l'unica speranza è ritrovare quell'unità, quella compattezza che contraddistinse le rivendicazioni dei minatori e a cui si fa un chiaro riferimento nel film.
Quando ci chiediamo se esiste ancora qualcuno che dice qualcosa di sinistra, beh, possamo rispondere che c'è ancora lui, Ken Loach.
Nato da famiglia di operai, cineasta e documentarista, di impegno civile, di denuncia sociale, attivista politico di estrema sinistra, lui non ha mai perso di vista la working class, nè in politica nè nei suoi film. Lui sveglia la coscienza di classe, sveglia in noi il senso sopito di appartenenza ad una comunità.
Ha prodotto documentari e film a basso costo,
spesso censurati perchè scomodi e molto poco distribuiti…ma le lacrime, la rabbia e la pietas che si provano per i suoi protagonisti sono indimenticabili: il piccolo kes che aveva come amico un falchetto, il padre di "piovono pietre sulla classe operaia" che ruba per poter comprare alla figlia il vestito per la comunione, i suoi operai precari, disoccupati, che sbarcano il lunario come possono, che si muovono nell’Inghilterra delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni della Thatcher. Loach e Laverty hanno percorso la storia sociale di tutto il ' 900: la guerra di indipendenza Irlandese, quella civile Spagnola, quella sandinista in Nicaragua, i desaparecidos argentini, le rivendicazioni dei latinos in California, lo sciopero dei minatori nella Uk Thatcheriana, contro i licenziamenti e le chiusure delle miniere. E' Paul Laverty la penna delle sue sceneggiature, spesso scritte per esperienza diretta, come la guerra sandinista in Nicaragua, per cui scrisse "La canzone di Carla" . Nell'84 Loach diresse un documentario che si chiamava " Which side are you on? Tu da che parte stai? Io, sempre dalla tua parte!!!
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