Sorry We Missed You

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Un furgone per vincere la lotta tra precari

di Natalia Aspesi La Repubblica

"Sorry we missed you". Peccato che non c'era nessuno! Sta scritto in corsivo sul foglietto che Ricky lascia sulla porta di casa della famiglia cui avrebbe dovuto consegnare un pacco. Ricky è un quarantenne robusto e tatuato, un gran lavoratore che sa fare tutto e come i personaggi di altri film di Ken Loach, l'ultimo mite incorreggibile comunista, farebbe parte della classe operaia se questa un tempo gloriosa forza sociale non stesse estinguendosi con la chiusura delle grandi fabbriche e la dispersione del lavoro: oggi è più nebulosamente popolo, o così lo chiamano i suoi sfruttatori. A Newcastle Ricky divide con la moglie Abbie la fatica del vivere, gli affetti e i sogni: una casa per la famiglia e la laurea per i figli, l'adolescente Seb e Liza Jane, 10 anni, dai capelli rossi come il padre. Sono cascati come tanti nel disastro epocale del 2008, perdendo la caparra per la casa e indebitandosi, ma non si sono scoraggiati, tutti e due lavorano, i lavori che ci sono oggi per loro. Abbie è un'assistente domiciliare e dipende da una di quelle agenzie esterne cui le istituzioni pubbliche affidano al costo più basso la gestione del precariato: niente sicurezza, paghe minime, nel suo caso un tanto ogni intervento presso persone sole, abbandonate dai familiari, anziani non autosufficienti, via di testa, handicappati, che lei imbocca, lava, a cui cambia il pannolone: si è imposta di trattarli tutti come fossero i suoi genitori, perde più tempo di quanto le è concesso e pagato per alleviare tutto quell'irrimediabile dolore. La sua difesa è mettersi un po' di crema alla canfora alle narici, per difendersi almeno degli odori dell'incontinenza e della morte. I lunghi tragitti Abbie li faceva con la sua macchinetta, ma adesso le toccano gli autobus e le lunghe camminate: l'hanno venduta perché finalmente Ricky ha trovato un buon lavoro di autista-fattorino in una grande agenzia di consegna pacchi e ha bisogno di un furgone suo pagandone subito la caparra. Il gestore del magazzino gli ha spiegato i vantaggi di questa opportunità: sei il capo di te stesso, fornisci servizi, non lavori per noi ma con noi, non hai stipendio ma tariffe, non firmi il cartellino ma gestisci tu il tuo tempo. Sei libero. Nel grande locale dove decine di uomini e qualche donna riempiono i loro furgoni, un collega gli dà una bottiglia molto utile, perché tempo per cercare un gabinetto non ne avrà, il gestore sbrigativo gli consegna quella che chiama la pistola, "il cuore pulsante del lavoro", uno scanner che pianifica il percorso, il guardiano e padrone tecnologico che sorveglia le sue consegne, lo rende rintracciabile sempre. «Un oggetto molto costoso, se lo perdi lo ripaghi». Ecco finalmente le immagini della realtà della gig-economy, di quella economia digitale che Loach definisce il nuovo orrore del capitalismo, "la logica evoluzione del mercato scaduto nella concorrenza selvaggia a ridurre i costi e ottimizzare i profitti". Un modo di consumare diventato irrinunciabile mentre sta sovvertendo il mondo del lavoro e la vita dei lavoratori, i pilastri sociali, le scelte politiche. Paul Laverty, ex seminarista cattolico e cosceneggiatore abituale di Loach, anche questa volta si è molto documentato per raccontare la classe senza coesione né forza né riconoscimento dei nuovi precari legati all'e-commerce, ma non solo, non protetti, non sindacalizzati, sfruttati da intoccabili poteri invisibili ma anche da visibili amministratori: con la perdita di ogni difesa, la fine della solidarietà, quindi di ogni potere di contrattazione, la sottomissione, ognuno per sé e gli altri rivali, nemici. Sopravvivono solo i guerrieri, dice il gestore e infatti di guerra si tratta per Ricky, contro il traffico, contro le soste vietate, contro le strade introvabili, i clienti chiacchieroni o villani o sospettosi o il loro cane feroce, contro il bisogno di urinare contro la stanchezza contro il bip contro i minuti perduti. Persino contro la famiglia che ha bisogno di lui ma non gli è concesso il tempo da dedicare al disagio dei figli, alla solitudine di Liza Jane, alla ribellione di Seb, corpo e intelligenza da adolescente, viso da bambino, voce da uomo, che non vuole rassegnarsi a una vita come quella del padre, non vuole più andare a scuola, rischia un primo arresto, ha un talento artistico che sfoga da graffitaro, ma che sente senza futuro. Dove sono finiti l'amore, le speranze, la famiglia, se non si ha più tempo per capirsi e aiutarsi, e scoppiano i litigi, e il padre alza la mano sul figlio? Non ci sono vie d'uscita per loro e per i tanti come loro, per la stanchezza, la sfiducia, l'umiliazione, la paura? Nel film capita che si parli di calcio ma non di politica, di partiti, di governo, come se non esistessero o non si ritenessero capaci di alcuna garanzia rispetto al potere di una economia aliena e ingestibile. Loach si chiede, e obbliga a chiederci mentre soddisfatti con un clic ordiniamo pranzi e vestiti e frigoriferi e cibo per gatti che arriveranno puntuali, se questo sistema sia sostenibile e sino a che punto si espanderà. Non solo quello del digitale ma della proletarizzazione di qualsiasi mestiere. Come influirà non solo sulle persone sempre più arrabbiate e sulle loro famiglie sempre più inquiete, ma anche sulla società, sulla politica, sui governi. Perché la sinistra ha abbandonato i lavoratori e i lavoratori la sinistra? Chissà, forse Johnson, Trump, per quanto impotenti e pericolosi, ululando a quelli che sviliscono chiamandoli popolo come se loro ne fossero i monarchi... E qui da noi i Salvini che non avendo fede si dice cristiano anziché cattolico, e Casaleggio col suo piano per l'innovazione digitale presentato dal M5s I bravissimi attori sono Kris Hitchen (Ricky), Debbie Honeywood (Abbie), Rhys Stone (Seb), Katie Proctor (Lisa Jane).
Da La Repubblica, 23 dicembre 2019


di Natalia Aspesi, 23 dicembre 2019

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