sergio dal maso
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venerdì 21 agosto 2020
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la fine del lavoro
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"Non lo trovi sotto casa? Ordinalo su Amazon, domani mattina sarà comodamente a casa tua!”
Quella dei Turner è una normale famiglia inglese. Tenacemente unita, malgrado i lavori precari e malpagati di Ricky e Abbie e il rapporto non troppo sereno con Seb, il maggiore dei due figli, adolescente piuttosto irrequieto.
Abby assiste gli anziani a domicilio, lavora fino a quattordici ore al giorno, trattandoli sempre con affetto e rispetto. Eppure guadagna una miseria, e non ha un contratto stabile perché dipende da una agenzia.
Ricky, dopo aver fatto tanti lavori, dal falegname all’idraulico, vede nelle consegne a domicilio come corriere freelance la possibilità di svoltare, di raggiungere quella solidità economica che gli permetterebbe di ottenere un mutuo e acquistare, finalmente, un appartamento.
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"Non lo trovi sotto casa? Ordinalo su Amazon, domani mattina sarà comodamente a casa tua!”
Quella dei Turner è una normale famiglia inglese. Tenacemente unita, malgrado i lavori precari e malpagati di Ricky e Abbie e il rapporto non troppo sereno con Seb, il maggiore dei due figli, adolescente piuttosto irrequieto.
Abby assiste gli anziani a domicilio, lavora fino a quattordici ore al giorno, trattandoli sempre con affetto e rispetto. Eppure guadagna una miseria, e non ha un contratto stabile perché dipende da una agenzia.
Ricky, dopo aver fatto tanti lavori, dal falegname all’idraulico, vede nelle consegne a domicilio come corriere freelance la possibilità di svoltare, di raggiungere quella solidità economica che gli permetterebbe di ottenere un mutuo e acquistare, finalmente, un appartamento.
Come il precedente Io Daniel Blakeanche Sorry we missed you si apre con uno schermo nero. Si sente solo un dialogo, è il colloquio tra Ricky e il nuovo datore di lavoro.
Un fermo immagine nero come l’abisso in cui da questo momento il protagonista sarà lentamente trascinato, in una spirale di sfruttamento e alienazione di cui diventerà consapevole troppo tardi.
Perché alla base di tutto c’è l’inganno lessicale della seducente formula di assunzione, “non lavori per noi ma con noi”.
Non ci sarà nessuna autonomia lavorativa per Ricky, casomai il contrario. Quella chiamata in gergo gig-economy, cioè i lavori a chiamata pagati a prestazione, è una moderna forma di schiavismo in cui non sono previste ferie – a volte le assenze bisogna addirittura pagarsele - non ci sono indennità di malattia e i soffocanti piani di consegna sono rigidamente controllati da strumenti digitali e satellitari.
E da questa spirale è difficile uscire, spesso i padroncinisi indebitano per acquistare il furgone o gli strumenti di lavoro, a volte proprio con le “agenzie” a cui si legano quindi in modo indissolubile.
Come negli altri suoi film lo sguardo di Ken Loach è estremamente lucido e profetico nel parlarci dei recenti e radicali cambiamenti del mondo del lavoro, della mutazione dei rapporti sociali nel mondo globalizzato.
Ci apre gli occhi sugli acquisti onlineche, senza che ne accorgessimo, hanno spazzato via l’organizzazione tradizionale del commercio. Cosa succede tra il clic che conferma un acquisto su un sito di e-commercee l’apertura del pacco a casa? Ricky lo scoprirà troppo tardi, sulla sua pelle.
Quel clicattiva all’istante una catena di montaggio frenetica, quasi schizofrenica, che in tempi rapidissimi deve garantire il reperimento, il confezionamento e la consegna della merce ordinata. In una catena dove l’anello debole sono proprio i corrieri come il protagonista.
Sorry we missed you è un film durissimo, spietato, ma asciutto e antiretorico. Un pugno nello stomaco che lascia senza fiato. Si crea una forte empatia con Ricky, una vicinanza quasi fisica, ci sembra di accompagnarlo nel suo calvario quotidiano col furgone.
Ken Loach è veramente bravo a rendere assolutamente credibili le storie che racconta. Gli attori, quasi sempre non professionisti, sono impeccabili, sembrano non recitare nemmeno da quanto sono “veri”.
Il formidabile Kris Hitchen nella vita ha fatto veramente l’idraulico e il corriere, proprio come Ricky.
Sentiamo vicini i personaggi della famiglia Turner perché trasudano umanità.
Il baratro di alienazione e di imbarbarimento lavorativo in cui è sprofondato il protagonista finisce col lacerare i legami famigliari. Quel sentimento affettivo famigliare che sembra essere l’unico motivo di speranza in una società totalmente asservita al profitto e al denaro, una società che non sa nemmeno immaginare un futuro diverso.
Sorry we missed youè la frase dei bigliettini che i corrieri inglesi lasciano in caso di mancata consegna. Significa “ci dispiace, non ti abbiamo trovato”, ma letteralmente significherebbe “ci dispiace, ti abbiamo perso”. Ciò che è stato perso è il rispetto dell’individuo, della dignità della persona, l’umanità in un mondo del lavoro impazzito.
Ken Loach non indica una via d’uscita, alla piccola Liza Jane non resta che sperare “che tutto torni come prima”.
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elgatoloco
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martedì 4 agosto 2020
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fiction reale o realtà genialmente as fiction?
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In questo"Sorry we missed you"(Ken Loach, scenieggatirua scritta con Paul Laverty, 2019)l'autore britannico è presente in pieno: l'alienazione da lavoro, del e nel lavoro, nella fattispecie precario e ai tempi del"turbocapitalismo"è presente in pieno, dove l'autore coglie ciò nelle pieghe di difficili rapporti familiari in una famiglia nella quale entrambi i genitori sono precari, mentre i figli una preadolescente e un adolescente vivono in maniera diversa una crescita difficile e"contrastata". Chiarissima la denuncia sociale(Loach non ha mai nascosto la sua tendenza politica, molto chiara, assolutamente in controtendenza in una Great Britain che dalla Tatcher a Johnson ha conosciuto un "irresistibile"incrudelimento dei rapporti sociali, dove anche la stagione del"New Labour"di Tony Blair non è stato se non un inganno per il proletariato), che il regista.
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In questo"Sorry we missed you"(Ken Loach, scenieggatirua scritta con Paul Laverty, 2019)l'autore britannico è presente in pieno: l'alienazione da lavoro, del e nel lavoro, nella fattispecie precario e ai tempi del"turbocapitalismo"è presente in pieno, dove l'autore coglie ciò nelle pieghe di difficili rapporti familiari in una famiglia nella quale entrambi i genitori sono precari, mentre i figli una preadolescente e un adolescente vivono in maniera diversa una crescita difficile e"contrastata". Chiarissima la denuncia sociale(Loach non ha mai nascosto la sua tendenza politica, molto chiara, assolutamente in controtendenza in una Great Britain che dalla Tatcher a Johnson ha conosciuto un "irresistibile"incrudelimento dei rapporti sociali, dove anche la stagione del"New Labour"di Tony Blair non è stato se non un inganno per il proletariato), che il regista.autore riesce a comunicare in modo assolutamente unico, riuscendo a essere"reale"pur facendo un cinema di"fiction"(ma probabilmente dovremmo ridiscuter prfondamente tale lemma e il concetto con esso espresso)e"fittizio"parlando di realtà, visto che sappiamo perfettamente non trattarsi mai, in questo film come negli altri di Loach, di un"documentario", di una "riproduzione del reale". Che poi si possa parlare di situazioni estreme e di"parossismo"è assolutamente falso, dato che le sitauzioni che qui Loach ci propone sono"normali", appunto a livello di un proletariato sempre più emarginato economicamente, civilmente e a livello di rapprti umani e dunque familiari, oltte chee(ovviamente)sociali. La frustrazione da lavoro si riserva nei semplici rapporti familiari, con conseguenze prevedibili quanto inevitabili, Gli interpreti, anche qui come sempre, sono straordinari, da Kris Hitchen e Debby Honeywood a tutti/e gli(le)altri/e. El Gato
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vepra81
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domenica 5 luglio 2020
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duro e crudo
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Un film nudo e crudo che racconta le vere difficoltà di chi fatica ogni giorno per trovare da vivere. Drammatico che fa riflettere. Il finale forse diverso l'avrei scritto, ma forse meglio così.. ovvero lasciare a noi spettatori la giusta meditazione.
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gabrjack
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giovedì 23 aprile 2020
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il cinema necessario di ken
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Ultimamente Ken e il suo fido sceneggiatore porta sugli schermi sprazzi di vita vissuta nel Regno Unito dalla parte ovviamente degli sfruttati sopratutto si concentra sull'evoluzione della società nell'era di internet dove purtroppo lo spazio dei diritti si è sempre piu ristretto.
Anziani, operai, lavoratori autonomi sfuggono alle leggi della nuova economia del resto Ricky non fa che un lavoro uguale a quello di 50 anni fa, chiamatelo affiliato in franchaising o padroncino il suo sogno è in ogni caso guadagnare di piu per comprarsi una casa, fa un lavoro dove troppa gente, dopo la crisi del 2008, si è trovata a spasso per mancanza di occupazione sopratutto per quei lavoratori senza particolari specializzazioni.
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Ultimamente Ken e il suo fido sceneggiatore porta sugli schermi sprazzi di vita vissuta nel Regno Unito dalla parte ovviamente degli sfruttati sopratutto si concentra sull'evoluzione della società nell'era di internet dove purtroppo lo spazio dei diritti si è sempre piu ristretto.
Anziani, operai, lavoratori autonomi sfuggono alle leggi della nuova economia del resto Ricky non fa che un lavoro uguale a quello di 50 anni fa, chiamatelo affiliato in franchaising o padroncino il suo sogno è in ogni caso guadagnare di piu per comprarsi una casa, fa un lavoro dove troppa gente, dopo la crisi del 2008, si è trovata a spasso per mancanza di occupazione sopratutto per quei lavoratori senza particolari specializzazioni. Il trasporto merci si è sempre distinto come un gran serbatoio di lavoro autonomo ma rispetto a 20 anni fa sono cambiate le modalità, mentre a quei tempi erano i mezzi pesanti a farla da padrone con consegne da citta a città con poche fermate e con tempi di consegna abbastanza umani, ad oggi l'avvento di internet e dell'era digitale ha sconvolto tutto, la parcellizzazione, le consegne porta a porta. Il trasporto furgonato ha soppiantato quello pesante e di pari passo è aumentata la concorrenza, vecchie e nuove aziende si sono gettate a peso morto per accappararsi i grossi clienti,Amazon in primis, e hanno dovuto adeguarsi ai tempi di quest'ultimo. Ora le consegne avvengono anche di domenica e noi tutti ad esaltare la puntualità e l'efficenza(leggetevi i commenti entusiastici dei clienti Amazon) ebbene tutta questa efficenza e puntualità passa sulla testa di magazzinieri iperveloci ipercontrollati e iperstressati, di autisti che non possono sgarrare di un minuto, tutto al servizio del cliente che vuole il prodotto a pochi soldi e subito. O meglio: così ci ha abituato Amazon! Passano in secondo piano i problemi famigliari la salute il dirtto al riposo e un minimo di benessere. Non si lavora piu per vivere ma si vive per lavorare. Il cinema di Ken Loach attinge a piene mani in questo vastissimo campo dove pochi cineasti si cimentano.
Lo sguardo di Ken è quasi documentaristico, la sua capacità unita alle straordinarie sceneggiature riesce a dare spessore a queste persone a questi ultimi, impreparati ad affrontare la nuova società iperveloce ipertecnologizzata fino a perdere la vita(vedi l'anziano Blake del film omonimo) ma mentre Blake lotta con tutte le sue forze per far valere i suoi diritti fino all'infarto mortale Ricky si deve piegare a questa nuova dittatura. Il finale di We Missed è sconfortante non c'è e non ci sarà una fine, sembra dire Loach.
Forse l'unica nota positiva è rappresentata dal figlio che dopo varie traversie dovute principalmente all'assenza necessaria dei genitori riesce a comprendere le difficoltà e cerca di ricucire i rapporti logorati e sul filo della rottura a causa di questa non vita. La famiglia dopo tutto sembra dirci il regista, è l'ultimo baluardo dove aggrapparsi per non precipitare nell'angoscia della pura sopravvivenza.
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stefano capasso
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sabato 4 aprile 2020
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complicita inaspettate
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Ricky e Abby hanno due figli, sono parte della working class inglese, sempre a corto di disponibilità economiche e con poche possibilità di realizzare i propri sogni di una vita migliore. Ricky però decide di tentare il salto: acquista un furgone, vendendo la macchina della moglie, e comincia a lavorare come corriere, in franchising. Ben presto il lavoro si rivela totalizzante, senza nessun diritto e con un boss che non ha nessun tipo di coscienza umana verso le difficoltà dei suoi lavoratori. Lo stress di Rick si riflette inevitabilmente sul nucleo familiare.
Ken Loach illumina con sguardo lucido, senza sconti al mondo del lavoro inglese, e sceglie quello che è ormai divenuto quasi un archetipo, il settore del delivery.
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Ricky e Abby hanno due figli, sono parte della working class inglese, sempre a corto di disponibilità economiche e con poche possibilità di realizzare i propri sogni di una vita migliore. Ricky però decide di tentare il salto: acquista un furgone, vendendo la macchina della moglie, e comincia a lavorare come corriere, in franchising. Ben presto il lavoro si rivela totalizzante, senza nessun diritto e con un boss che non ha nessun tipo di coscienza umana verso le difficoltà dei suoi lavoratori. Lo stress di Rick si riflette inevitabilmente sul nucleo familiare.
Ken Loach illumina con sguardo lucido, senza sconti al mondo del lavoro inglese, e sceglie quello che è ormai divenuto quasi un archetipo, il settore del delivery. Con la consueta abilità nel ricostruire dettagliatamente la periferia inglese, il film diventa una denuncia contro il modo in cui viene gestito il mondo del lavoro e sulla modalità di adattamento dei lavoratori. Da una parte è evidente la modalità sprezzante di chi gestisce il business che ormai è esclusivamente legato al profitto, dall’altro pare che in questo corto circuito sia presente una certa complicità della parte debole. È possibile in qualche modo sottrarsi a questo gioco carnefice vittima che sembra inevitabile? C’è ancora possibilità di scegliere tra una vita fatta difficile dal punto di vista economico e quella impossibile che scaturisce dal partecipare a questa giostra folle? Il protagonista per stare al passo coi ritmi insostenibili del lavoro è necessariamente costretto a perdere contatto con il proprio nucleo famigliare, con i figli, che entrano in crisi, e in ultima analisi, fondamentalmente con se stesso. Il tentativo di migliorare le proprie esistenze si trasforma in una crisi che sembra irreversibile, ed è difficile distinguere tra lo sguardo pessimista di Loach e l’evidenza di una realtà quotidiana davvero complessa.
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loland10
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lunedì 2 marzo 2020
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scontri di una vita...
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“Sorry me wised you“ (id., 2019) è il ventiseiesimo lungometraggio del regista inglese Ken Loach.
L’ultimo Ken Loach colpisce ancora e lascia il segno.
Con poca simpatia verso lo spettatore ma con dolente realtà verso se stesso e la società che si vive.
Una finzione con retorica zero; alla fine un retaggio familiare che rimane e un affetto spaurito tra genitori e figli che vanno avanti sperando di essere come prima. Il prima che nessuno voleva, il prima che tutti rimpiangono, il prima di un lavoro nulla e il prima con poco futuro.
Adesso che il lavoro diventa come imprenditore
‘Scusa ci sei mancato’: una preghiera, un monito, un silenzio, un soccorso, una realtà, un epitaffio, un documento, una verità, un laconico, un padre, un figlio, una famigliare, un lavoro, un riposo, un parlarsi è un conoscersi.
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“Sorry me wised you“ (id., 2019) è il ventiseiesimo lungometraggio del regista inglese Ken Loach.
L’ultimo Ken Loach colpisce ancora e lascia il segno.
Con poca simpatia verso lo spettatore ma con dolente realtà verso se stesso e la società che si vive.
Una finzione con retorica zero; alla fine un retaggio familiare che rimane e un affetto spaurito tra genitori e figli che vanno avanti sperando di essere come prima. Il prima che nessuno voleva, il prima che tutti rimpiangono, il prima di un lavoro nulla e il prima con poco futuro.
Adesso che il lavoro diventa come imprenditore
‘Scusa ci sei mancato’: una preghiera, un monito, un silenzio, un soccorso, una realtà, un epitaffio, un documento, una verità, un laconico, un padre, un figlio, una famigliare, un lavoro, un riposo, un parlarsi è un conoscersi.
Ecco che quando il pacco arriva e non ci sei. Una frase di appoggio e una gentilezza al contrario. Tutto vero quello che arriva e tutto serio quello che arriva. Una storia e storie che arriva dal vero. Kean Loach ha indagato, ha letto e ha conosciuto persone che hanno fatto i corrieri. Lavoro di velocità insidioso, maldestro e pieno di sconfitte.
Si è letto che la storia di Don Iane, un corriere morto nel 2018, abbia colpito il regista per poter approfondire tale tipo di lavoro. E una delle tante vicende, come tanti gli incontri che i corrieri fanno quotidianamente.
Ricky e Abbie sono di Newcastle, sposati con due figli adolescenti, Sebastian e Liza. Ricky perde il lavoro, vuole acquistare un furgone per avviare un’attività autonoma di corriere. Per fare questo le rinunce sono tante, dalla vendita dell’auto della moglie, costretta a girare la città con mezzi pubblici per soccorrere gli anziani a domicilio, agli orari impossibili e a vedere i figli il minimo.
La situazione non va per il verso giusto, tra problemi di salute, di consegne con quelli del figlio che non va scuola, di Liza abbandonata a se stessa e della moglie esausta, stanca senza dimenticare il sogno di comprare casa. Tutti si complica, ogni giorno e ogni momento.
Ecco che il film di Kean Loach si aggrappa ad una corda piena di colla, si arrampica ai vetri oramai sporchi, si ostina a svegliarsi(ci) dal torpore quotidiano per i valori minimi ed essenziali di un vivere sincero e di affetto.
La redenzione sembra lontana o appare dal lumicino lontano in fondo al tunnel quando il figlio maldestro e ostinato, scontroso e contro si mette con le unghie contro la portiera del furgone del padre. Vuole fermarlo in tutti i modi, vuole ricordarsi di essere presente, rivuole un padre. Moglie e figlia vogliono tornare come erano prima. Difficile e impossibile tornare indietro.
Il lavoro che non c’è, il lavoro c’è. La casa, la famiglia, il diritto sanitario, il diritto sulle persone, le questioni sindacali, gli orari, le telefonate, i litigi, le imprecazioni, i clienti assenti, il tempo che corre. E le strade della città ora impazzite e ora vuote di umanità. Una ‘Brexit’ e una ‘vita infame’.
Sentito per sentito, visto per visto. Certo che i nomi ci sono tutti da (s)fruttare per lavorare e da (s)fruttato fino all’ultimo pacco. Una lista… fino ad Amazon. Nessuno è fuori.
Orribile il dentro: un film amarissimo dove ogni inquadratura familiare è sghemba, quasi pudica, fuori porta e quantomeno scivolosa.
Ridicolizzati i grandi del commercio su strada e i pacchi (regalo) arrivano a persone ancora sulla tastiera o a fare colazione o in pigiama o assenti per spocchia o presenti e arrabbiati. Una società di forviati e delusi, di indignati e avvelenati.
Riveriti i potenti quando fa comodo: certo fanno comodo per il lavoro…ma quante rivoluzioni post-industriali siamo arrivati …: il lavoro ‘postmoderno’ di ciechi e inutili (per far numero e selezione).
You per accondiscendere ed essere cordiali: ma le distanze aumentano e i rapporti familiari (o gruppi sociali) sono al lumicino o quasi al macero. Su questo Ken Loach ha fornito l’intera filmografia senza sconti e con acidità (violenta).
Cast: Kris Hitchen (Ricky) Debbie Honeywood (Abbie), Rhys Stone (Sebastian) e Katie Proctor (Liza Jane) sono i Turner: genitori e figli. Un seguirsi e un inseguirsi nei ruoli. Senza trucchi e sbavature irreali. (Sembra) tutto in presa diretta con la cinepresa che segue a distanza e con grande rispetto (e dignità) i percorsi di ognuno e di quello che gira attorno.
Fotografia (di Robbie Ryan): ingrigita, instabile, sciatta e scandita.
Musica (George Fenton): interiore e intensa, isolata e non sovrastante.
Sceneggiatura (Paul Laverty ); collaboratore assiduo del regista (oltre una dozzina di film): segue i personaggi (e viceversa) e scrive quello che fanno e pensano. Non un gioco macchinoso ma uno sfinito reale.
Regia di Ken Loach, non incline al gusto ma accostata alla vita (e i suoi molteplici rivoli).
Voto: 7½ (***½) -cinema nemesis-
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yarince
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giovedì 20 febbraio 2020
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dal "pane e le rose" a "pane e veleno"
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Sorry we missed you; un film disperato e duro, un pugno allo stomaco. Disperato perchè è senza speranza; siamo lontani dalla coralità dello sciopero dei minatori dell'84, supportato anche dalla comunità gay e lontanissimi dallo slogan "vogliamo il pane e le rose" dei sindacalisti impegnati nelle lotte di rivendicazione dei latinos in California, dove la classe operaia agiva insieme per difendere i loro diritti. Qui c'è un padroncino, solo con il suo furgone di proprietà, è un lavoratore autonomo che guadagna su commissione, sul numero di consegne, non c'è alcuna sicurezza nè garanzia, nè ferie retribuite, nè orario, nè malattia.
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Sorry we missed you; un film disperato e duro, un pugno allo stomaco. Disperato perchè è senza speranza; siamo lontani dalla coralità dello sciopero dei minatori dell'84, supportato anche dalla comunità gay e lontanissimi dallo slogan "vogliamo il pane e le rose" dei sindacalisti impegnati nelle lotte di rivendicazione dei latinos in California, dove la classe operaia agiva insieme per difendere i loro diritti. Qui c'è un padroncino, solo con il suo furgone di proprietà, è un lavoratore autonomo che guadagna su commissione, sul numero di consegne, non c'è alcuna sicurezza nè garanzia, nè ferie retribuite, nè orario, nè malattia. Non c'è solidarietà tra i corrieri di Loach, vige la legge del più resistente, chi più consegna più guadagna e chi si lamenta viene sostituito da chi non lo fa. Ricky è solo, con una bottiglietta per fare la pipì e una scatoletta nera che suona di continuo, che traccia i pacchi, i tempi di consegna e la procedura e che diventa il padrone della sua vita. "Sorry we missed you" è il messaggio che viene lasciato quando il destinatario non è in casa, ma è anche il messaggio sotteso in tutto il film; "We miss you" , " Papà, ci manchi" perchè è lui che manca alla famiglia, ai suoi ragazzi, a sua moglie, perchè il lavoro che avrebbe dovuto risollevare la loro situazione finanziaria, in realtà lo tiene in ostaggio tutto il giorno, lontano da casa, dove torna solo a tarda sera, sfinito. Da soli non si può che sprofondare sempre più nella disperazione e forse, l'unica speranza è ritrovare quell'unità, quella compattezza che contraddistinse le rivendicazioni dei minatori e a cui si fa un chiaro riferimento nel film.
Quando ci chiediamo se esiste ancora qualcuno che dice qualcosa di sinistra, beh, possamo rispondere che c'è ancora lui, Ken Loach.
Nato da famiglia di operai, cineasta e documentarista, di impegno civile, di denuncia sociale, attivista politico di estrema sinistra, lui non ha mai perso di vista la working class, nè in politica nè nei suoi film. Lui sveglia la coscienza di classe, sveglia in noi il senso sopito di appartenenza ad una comunità.
Ha prodotto documentari e film a basso costo,
spesso censurati perchè scomodi e molto poco distribuiti…ma le lacrime, la rabbia e la pietas che si provano per i suoi protagonisti sono indimenticabili: il piccolo kes che aveva come amico un falchetto, il padre di "piovono pietre sulla classe operaia" che ruba per poter comprare alla figlia il vestito per la comunione, i suoi operai precari, disoccupati, che sbarcano il lunario come possono, che si muovono nell’Inghilterra delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni della Thatcher. Loach e Laverty hanno percorso la storia sociale di tutto il ' 900: la guerra di indipendenza Irlandese, quella civile Spagnola, quella sandinista in Nicaragua, i desaparecidos argentini, le rivendicazioni dei latinos in California, lo sciopero dei minatori nella Uk Thatcheriana, contro i licenziamenti e le chiusure delle miniere. E' Paul Laverty la penna delle sue sceneggiature, spesso scritte per esperienza diretta, come la guerra sandinista in Nicaragua, per cui scrisse "La canzone di Carla" . Nell'84 Loach diresse un documentario che si chiamava " Which side are you on? Tu da che parte stai? Io, sempre dalla tua parte!!!
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inesperto
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domenica 9 febbraio 2020
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realtà difficili
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Cinema-denuncia voto 5 stelle
Cinema-intrattenimento voto 1 stella
Il film è un potente atto d'accusa contro il mondo del lavoro parasubordinato britannico, schiavistico e senza tutele, che provoca pesantissimi stress personali, i quali si riverberano inevitabilmente sui rapporti familiari. Questa è la storia di una famiglia che riesce a malapena a galleggiare sulla linea di sopravvivenza, con un padre che lavora come corriere fino a 16 ore al giorno e una madre, infermiera a domicilio, costretta a spostarsi coi mezzi tutto il giorno per andare da una casa all'altra. Immancabile il figlio problematico, lasciato tutto il giorno a se stesso, e la sorellina che, forse, è colei che soffre più di tutti della situazione.
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Cinema-denuncia voto 5 stelle
Cinema-intrattenimento voto 1 stella
Il film è un potente atto d'accusa contro il mondo del lavoro parasubordinato britannico, schiavistico e senza tutele, che provoca pesantissimi stress personali, i quali si riverberano inevitabilmente sui rapporti familiari. Questa è la storia di una famiglia che riesce a malapena a galleggiare sulla linea di sopravvivenza, con un padre che lavora come corriere fino a 16 ore al giorno e una madre, infermiera a domicilio, costretta a spostarsi coi mezzi tutto il giorno per andare da una casa all'altra. Immancabile il figlio problematico, lasciato tutto il giorno a se stesso, e la sorellina che, forse, è colei che soffre più di tutti della situazione. Il nostro Ken non consente soluzione di continuità al martellare incessante di questa forte critica, tanto che la pellicola risulta impegnativa ai massimi livelli. Da guardare per l'importanza dei contenuti, ma in un momento di buona freschezza mentale.
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eugenio
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lunedì 27 gennaio 2020
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i turner, una famiglia
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Ma quanto è bravo Ken Loach? Quanto è capace questo regista di intercettare il sentir comune di famiglie umili che cercano di elevarsi con onestà e mille difficoltà nel complicato e torbido mondo odierno fatto di compromessi in una lotta spietata per un lavoro sottopagato spesso caratterizzato da pesanti privazioni?
L’ultimo film del cineasta anglosassone, da sempre interprete di questo diffuso malumore, è un grand’affresco familiare che impiega la tematica della semplice istanza quotidiana per delineare con dovizia di particolari e tanta attenzione alle psicologie, i problemi di tutti i giorni. Questa famiglia, I Turner, sono quanto di più normale possa esistere: lui è un padre, Ricky, che nella Newcastle dove tutto viaggia sempre in fretta, decide di mettersi in proprio (per così dire) in una società di corrieri, vendendo pure l’auto della moglie, per riuscire a garantirsi l’affitto di un furgone a prezzo di una vita sociale praticamente inesistente nel rispetto di orari e consegne a ritmo disumano (sappiamo qualcosa da Amazon a Foodora…); lei, Abby è un’assistente domiciliare per anziani soli e infermi, costretta a muoversi tra doppi turni stancanti e massacranti ma sempre con grandissima umanità.
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Ma quanto è bravo Ken Loach? Quanto è capace questo regista di intercettare il sentir comune di famiglie umili che cercano di elevarsi con onestà e mille difficoltà nel complicato e torbido mondo odierno fatto di compromessi in una lotta spietata per un lavoro sottopagato spesso caratterizzato da pesanti privazioni?
L’ultimo film del cineasta anglosassone, da sempre interprete di questo diffuso malumore, è un grand’affresco familiare che impiega la tematica della semplice istanza quotidiana per delineare con dovizia di particolari e tanta attenzione alle psicologie, i problemi di tutti i giorni. Questa famiglia, I Turner, sono quanto di più normale possa esistere: lui è un padre, Ricky, che nella Newcastle dove tutto viaggia sempre in fretta, decide di mettersi in proprio (per così dire) in una società di corrieri, vendendo pure l’auto della moglie, per riuscire a garantirsi l’affitto di un furgone a prezzo di una vita sociale praticamente inesistente nel rispetto di orari e consegne a ritmo disumano (sappiamo qualcosa da Amazon a Foodora…); lei, Abby è un’assistente domiciliare per anziani soli e infermi, costretta a muoversi tra doppi turni stancanti e massacranti ma sempre con grandissima umanità. Ed, infine, ci sono i due figli, entrambi in cammino lungo la complicata strada dell’adolescenza: il maschio assai poco giudizioso amante dei graffiti che svicola tra piccoli furti e ruberie e la piccola, forse la più giudiziosa che ha dovuto imparare a cavarsela da sola, in una famiglia che via via, da unita si troverà sempre più frastagliata negli affetti e nei sentimenti. A causa sempre di quei maledetti soldi.
Già con il recente Io Daniel Blake epopea di un sessantenne alla ricerca dell’assistenzialismo di uno Stato assente, si leggeva il dramma delle diseguaglianza di un mondo che ha posto la dignità del lavoro sotto i tacchi per chi il lavoro lo ha già. In Sorry We Missed You (dal nome degli avvisi di consegna dei pacchi, quando il destinatario non è in casa), questo leitmotiv, dei soldi che mancano, del profitto imperante a scapito di un’umanità umiliata e prostrata da collaborazioni spesso aulicamente definite “professionali” che nascondono il recondito malaffare dello sfruttamento, continua.
Il regista mette in scena l’azzimata crudeltà lavorativa odierna, capace di esaurire le nostre energie per salvaguardare quel benessere fisico e mentale che è la vita familiare. Gli sforzi ci dice Loach, sembrano quasi inutili. I Turner vengono tiranneggiati proprio da quest’ansia di ambizione (volta principalmente ad un’elevazione sociale che si vorrebbe concretizzare con l’acquisto di una prima casa), alla fiera sussistenza di un lavoro onesto, divisi proprio da quest’aberrante ritmo che rende l’attività che dovrebbe nobilitare l’uomo quasi una sopravvivenza più che una sussistenza.
Ken il rosso, guidato dalla sapiente mano di Paul Laverty (suo storico sceneggiatore) ben spiega le dinamiche familiari alle prese con stress lavorativi e privati nella figura dell’adolescente ribelle, azzeccando toni e misure, senza eccedere. Non possiamo che provare empatia per i protagonisti della pellicola, indignandoci dinanzi alle umiliazioni di Ricky, commuovendoci dell’assistenza di Abby e scuotendo passivamente la testa per evitare di vedere il peggio. Peggio che, secondo quell’inesorabile programmaticità inglese si avvera, esasperando il tutto e rendendo quasi il protagonista il Giobbe che si fa carico di tutte le sventure, che le accetta per il solo bene familiare.
Un eroe da tragedia greca, forse troppo, in un film bellissimo che non nasconde le ipocrisie gettando uno squarcio sulla realtà odierna di cui poco si parla, di quel velo oltre le tenebre dell’abbondanza entro cui vive “il solito film di Loach”, solito sì forse, diverso eppure uguale in fondo a se stesso.
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paolorol
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sabato 25 gennaio 2020
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indispensabile ed inutile
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E' sconfortante pensare che ci siamo ridotti così. E che sia un vecchio di 83 anni l'unico a ricordarcelo. Il capitalismo portato alle conseguenze estreme. Che meravigliose emozioni sperimentiamo quando troviamo sul web quelle scarpe griffate da coatto all'ultimo stadio o quel tubino che non lo mettono più manco le battone della tangenziale...a metà prezzo!! Che i negozi ed i loro proprietari, quei commercianti che un tempo erano protetti, insieme ai ladri, dal dio Mercurio, se ne vadano pure al diavolo, in nome di questa new economy che ci rende tutti apparentemente uguali e che ci da l'illusione di essere qualcuno o qualcosa. Il risvolto della orrenda medaglia è ancora più disgustoso ed allarmante, salvo che non ce ne rendiamo conto.
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E' sconfortante pensare che ci siamo ridotti così. E che sia un vecchio di 83 anni l'unico a ricordarcelo. Il capitalismo portato alle conseguenze estreme. Che meravigliose emozioni sperimentiamo quando troviamo sul web quelle scarpe griffate da coatto all'ultimo stadio o quel tubino che non lo mettono più manco le battone della tangenziale...a metà prezzo!! Che i negozi ed i loro proprietari, quei commercianti che un tempo erano protetti, insieme ai ladri, dal dio Mercurio, se ne vadano pure al diavolo, in nome di questa new economy che ci rende tutti apparentemente uguali e che ci da l'illusione di essere qualcuno o qualcosa. Il risvolto della orrenda medaglia è ancora più disgustoso ed allarmante, salvo che non ce ne rendiamo conto.
Il film dovrebbe essere visto da tutti, cominciando con i bambini delle elementari, che nascono già schiavi del più feroce ed acritico consumismo. Ken Loach è grande, grandissimo, come sempre. L'ultimo baluardo di un cinema impegnato nel sociale e nella difesa dei più deboli e degli svantaggiati. La povertà è dunque una malattia? I protagonisti del film non sembrano malati, sono persone buone (al diavolo chi li classificherebbe con l'orrendo neologismo "buonisti"), disponibili, volenterose e generose. Ma condannate per sempre alla povertà da meccanismi crudeli ed inesorabili dei quali siamo complici.
Il film è indispensabile perchè ci illumina ma nel contempo inutile perchè forzatamente si limita a descrivere la fine del mondo, o forse il day after, senza nessuna possibilità di modificare uno stato di cose ormai consolidato. Abbiamo fatto la fine ingloriosa dell'America, home of the brave, dove tutti sono totalmente liberi di fare gli schiavi.
Regia perfetta, interpreti sublimi, inclusi i ragazzini, sceneggiatura impeccabile. Grazie Ken, ti meriteresti l'Oscar ma rimarrei deluso se lo accettassi.
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