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“Mai, chi l’avrebbe detto mai, che sarei finita qui nel girone dei più deboli?
Qui, non so più chi sono io, perché dentro il cuore mio regna il re dei miserabili (…)
Io, invece, non mi muovo, sto qui, come se fossi in gabbia,
e aspetto il tuo ritorno, che accende un nuovo inferno dentro me…” Mina - La Gabbia
Giovanna, Anna e Lilia. Tre donne, tre madri. Tre vite intense, intrecciate da percorsi esistenziali segnati indelebilmente dal dolore. Tre modi diversi di vivere il mistero della maternità, quel sentimento assoluto e profondo che non sempre si rivela facile, a volte non è nemmeno scontato ci sia. Può essere cercata in tutti i modi, con ostinazione, ma gli accadimenti della vita possono anche portare a rifiutarla.
È quello che è successo ad Anna, la cui vita è stata segnata da un trauma straziante. Lilia, invece, che ne ha preso il posto, si è rivelata per Giovanna una madre premurosa e paziente.
Oggi Giovanna è una donna realizzata, molto determinata. Da quanto è mancato il padre dirige con dedizione l’azienda di famiglia, leader nella levigazione artigianale delle pietre. Ha cresciuto da sola la figlia Alida, ora adolescente, con la quale ha un rapporto sincero, seppure a volte conflittuale.
All’improvviso le crolla il mondo addosso: tossisce, inizia a star male, le viene diagnosticato un carcinoma fulminante al fegato, curabile in tempi rapidi solo con un trapianto da un famigliare. Non solo, Anna, la madre, è costretta a rivelarle il segreto che porta dentro da sempre: non è sua madre biologica, l’ha adottata quand’era ancora neonata.
Tra la frustrazione per gli ostacoli burocratici e il travaglio emotivo per la nuova condizione esistenziale Giovanna si mette alla ricerca della madre naturale. Non sarà facile, anche perché deve fare presto, la malattia non dà scampo. Fortunatamente riesce a rintracciarla. Da molto tempo Anna ha scelto la solitudine, un isolamento sociale privo di relazioni umane, è diffidente e ostile verso chiunque tenti il minimo dialogo.
In quel casolare lontano, fuori dal mondo, occorre avvicinarla in punta di piedi, rallentare, abbassare la maschera delle proprie paure, delle fragilità che, in fondo, ognuno vive dentro di sé. Ci vuole pazienza.
Inizia un cammino di conoscenza reciproca e, nello stesso tempo, un viaggio intimo per ritrovare sé stessa. Si rivelerà un percorso doloroso, difficile, con cadute improvvise e lente risalite.
Per il mio bene racconta una storia intensa e stratificata. Il tema centrale della maternità si incrocia con altre tematiche tanto profonde quanto universali, come il rapporto con la malattia o la ricerca della propria identità.
Il regista Mimmo Verdesca, all’esordio nella finzione dopo pregevolissimi documentari su alcune icone del cinema italiano come Alida Valli e Lilia Silvi - delle quali per inciso ha ripreso i nomi in questo film - sceglie saggiamente una regia attenta e misurata, senza scadere mai nel pietismo e rispettosa delle scelte delle protagoniste. E proprio per questo senso della misura, per la grazia e la sensibilità usata nel raccontare una storia così dura, riesce a emozionare in modo autentico, creando empatia con lo spettatore.
È un gioco di specchi, di sguardi che si cercano tra i silenzi dei gesti quotidiani. C’è una grande attenzione ai dettagli, spesso simbolici, con inquadrature rivelatrici che mirano a ridurre la distanza tra le due protagoniste. Molto evocativa, per esempio, la scena in cui Anna, dopo essere stata amorevolmente pettinata e truccata, si specchia sovrapponendo il suo volto a quello della figlia, come se quelle due anime smarrite e fragili riuscissero a riconoscersi per la prima volta.
Efficace anche la fotografia, fredda e lucente nella prima parte, per diventare poi più cupa nella seconda, in particolare all’interno del casolare e nelle scene notturne. Superlative per intensità e affiatamento le interpretazioni delle protagoniste, capaci di esprimere in modo assolutamente credibile i difficili percorsi psicologici di Anna, Giovanna e Lilia. D’altro canto, Barbora Bobulova, Stefania Sandrelli e Marie-Christine Barrault sono tre magnifiche attrici che non hanno bisogno di presentazioni. Molto brava anche la giovanissima Sara Ciocca che interpreta l’adolescente Alina, completando l’arco generazionale di questa storia tutta femminile. Una storia di madri e di figlie, di vite sospese tra un dolore insopportabile e l’impossibilità di accettarlo, ma dove può esserci anche accettazione e catarsi, la possibilità di rinascere. Uscire dalla gabbia della sofferenza, cantata meravigliosamente dalla voce struggente di Mina, che sia quella della malattia o di un trauma dal passato, è ancora possibile.
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