VIrzì mi ha sempre colpito per la sua dimestichezza nel rappresentare, in maniera grottesca e ironica: l'evoluzione della società Italia attraverso le varie epoche.
Ovosodo: film che racconta la corsa impari tra i figli dell'alta borghesia e quella degli squattrinati operai di quartiere, verso la metà degli anni '90.
Caterina va in città: in cui la visione idealista di provincia si scontra con quella cruda e pragmatica della Capitale, attraverso gli occhi innocenti di una teenager durante il secondo governo Berlusconi.
Tutta la vita davanti: lo spettro del precariato e della disoccupazione ambietato tra le fila di un call center e vissuto da una neo laureata in filosofia, che sa molto di riforma della scuola Moratti e di legge sul lavoro Maroni.
Tutti i santi giorni: le neo coppie di 30 enni, che tra un contratto a progetto e un affitto in palazzina, non trovano il tempo per costruirsi una famiglia e sposarsi, condizione naturale di sia nato a cavallo tra il 1980 e il 1990 (la cosidetta generazione Mille euro).
Partendo da un'esperienza lavorativa così intensa: mi aspettavo un film con una maggiore cura dei dettagli, una trama più solida ed una maggiore attinenza ai fenomeni di costume.
La storia semplicemente non c'è ma funge da pretesto per raccontare le inquietudini di alcuni dei protagonisti principali: Dino, Carla e Serena.
Tralasciando il fatto che i personaggi sono sei, sette se contiamo anche il ciclista investito all'inizio del film: non si riesce a capire quale sia il filo conduttore che fa da sfondo ad un titolo così altisonante come "Il capitale Umano".
Solo alla fine, scritto in debole sui titoli di coda, verrà spiegato cos'è il capitale Umano: un valore che viene dato alle compagnie di assicurazione a titolo di rimborso come assicurazione sulla vita.
Il film semplicemente non decolla e l'ambientazione non convince: troppi i cliché che fanno pensare più ad una produzione grossolana di Federico Moccia che non ad un lavoro di stile come quello a cui Virzì mi aveva abituato.
L'impresario ricco, arrivista e senza scrupoli, amico di convenienza dell'immobiliarista goffo e imbranato, desideroso di entrare nella cerchia di quelli che contano: detta così sembra il confronto Gordon Gekko - Bud Fox de "Wall Street". In realtà: tutto si svolge in pochi minuti, un paio di scambio di battute e il lieto fine che farà felici tutti.
La moglie ricca ed annoiata, incapace di prendere decisioni, anteposta alla psicologa vicina ai problemi dei giovani tossicodipendenti: una storia che sa di già visto e che non porta grossi colpi di scena ma solo qualche sbaglio.
Il triangolo d'amore tra il ricco rampollo destinato a prendere il posto del padre, la figliastra orfana incapace di trovare l'amore vero e l'amico emo che saprà aprirle il cuore: il finale è dei più banali in assoluto, ritagliato tanto per fare felice lo spettatore.
E dire che di materia il film aveva da offrirne: l'arrivismo, il sogno di potere e facili guadagni, la crisi dei mutui e delle compagnia immobiliari, la caduta dei piccoli Imprenditori del Nord e la disperazione delle nuove generazioni costrette a vivere in un mondo sempre più distante.
L'errore più grave, a mio avviso, è stato quello di concedere spazio a tutti finendo per non darlo a nessuno in particolare: la storia non è completa e al telespettatore non resta che tappare i buchi usando la sua immaginazione.
Un film scialbo, debole e ambiguo: un lavoro di adattamento che non è riuscito.
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