Il film sudcoreano si aggiudica quattro Oscar (Miglior film, regia, sceneggiatura originale e Miglior film Internazionale) cambiando la storia degli Academy Awards.
di Emanuele Sacchi
È trionfo. Avviene l’inimmaginabile al Dolby Theater. Parasite (guarda la video recensione) è il primo film non in lingua inglese di sempre ad aggiudicarsi l’Oscar più ambito, quello come miglior lungometraggio. Bong non sa come trattenere l’emozione quando sale sul palco con tutto il cast, tra cui lo straordinario protagonista Song Kang-ho, e la produzione del film. Hollywood celebra finalmente una cinematografia lontana dall’anglocentrismo e un movimento nato dalla hallyu di fine anni 90 che ha portato l’industria sudcoreana sulla vetta del mondo. Per la capacità di amare il cinema di genere e di utilizzarlo per raccontare le storture di una società dilaniata dal divario sociale e dalle ingiustizie politiche. Parasite (guarda la video recensione) è la migliore risposta a chi si interroga sulle sorti del cinema nell’era di Netflix o a chi pensa di non poter essere più stupito. Il cinema ha ancora molto da raccontare, magari in luoghi che troppo a lungo sono stati trascurati.
Era molto prevedibile che Renée Zellweger si aggiudicasse l’Oscar per il ruolo di Judy Garland in Judy (guarda la video recensione). E anche meritato, per come riesce a entrare in sintonia con la psicologia di una stella fragile, ferita sin dalla tenera età, adorata da tutti ma abbandonata a se stessa di fronte alle difficoltà della vita. La sua esibizione conclusiva e i litigi che caratterizzano l’ottovolante della vita di Judy sono da pelle d’oca: un lavoro stupefacente di Zellweger, a maggior ragione perché arriva dopo una pausa lunghissima, di sei anni, dalle scene e un susseguente ritorno in sordina.
Alla quarta nomination arriva l’Oscar per Joaquin Phoenix nel ruolo di Arthur Fleck in Joker (guarda la video recensione). Il suo discorso di ringraziamento è quasi un monologo, in cui affronta i temi di razzismo, abuso dell’uomo su altri uomini o su altri animali: “Vediamo una mucca dare vita a un cucciolo e glielo prendiamo immediatamente, insieme al suo latte, che metteremo nel nostro caffè alla mattina”.
Phoenix si dice “grato per aver avuto una seconda possibilità”, dopo aver spesso piantato grane nella propria vita e nella propria carriera. È il secondo premio a un’interpretazione del villain nemesi di Batman, dopo quello al compianto Heath Ledger.
Cominciano le sorprese autentiche e l’evento si fa storico. Vince Parasite (guarda la video recensione) e Bong ammette candidamente che dopo l’Oscar come miglior film internazionale pensava fosse finita la sua serata, invece sale sul palco per ritirare un premio che va per la prima volta alla Corea del Sud, contro ogni pronostico. Si pensava che Sam Mendes avesse la meglio per i suoi tecnicismi, invece è il cinema umanista e sociale di Bong Joon-ho a prevalere. Bong, incredulo e commosso, ringrazia i suoi concorrenti e in particolare Martin Scorsese e Quentin Tarantino, ovvero uno dei suoi maestri e uno dei più entusiasti sostenitori del suo cinema.
Più forte delle 52 nomination di John Williams o di un mostro sacro come Alexandre Desplat si è dimostrata Hildur Guðnadóttir, violoncellista islandese e compositrice della colonna sonora di Joker (guarda la video recensione), oltre che della serie Chernobyl (guarda la video recensione). Primo Oscar della serata per il film di Tod Phillips, che va a una giovane donna di talento, confermando che qualcosa è cambiato all’Academy Award.
Secondo oscar per Elton John e primo per il co-autore che si è occupato di molti testi di Elton dal 1967 a oggi, Bernie Taupin. Una coppia inossidabile della canzone, per cui le celebrazioni non sono mai abbastanza. Unico Oscar della serata a Rocketman (guarda la video recensione) che va alla canzone "(I’m gonna) Love Me Again", suggello alla biografia agrodolce di un incredibile performer.
Il primo film della storia a essere nominato e a vincere un Oscar provenendo dalla Corea del Sud. Nonostante la presentazione di Penelope Cruz facesse pensare a un premio in direzione spagnola, Almodovar e il suo Dolore e gloria non possono nulla contro Parasite (guarda la video recensione) e la Bong Joon-ho wave che ha inondato Hollywood. Bong ringrazia doppiamente, perché “è il primo anno in cui la categoria ha cambiato nome, da Miglior film in lingua straniera a Miglior film internazionale”. Secondo premio per Parasite (guarda la video recensione) stasera. Ma questo vuol dire che non vincerà per Migliore regia?
Sarà probabilmente l’unico Oscar della serata per il film, ma c’erano pochi dubbi sulla vittoria di Bombshell (guarda la video recensione) nella categoria per Miglior trucco. Il lavoro compiuto da Kazu Hiro sul viso di Charlize Theron ha permesso di colmare le differenze rispetto al volto reale di Megyn Kelly senza appesantire l’immagine con prostetiche ingombranti. Cede il passo invece Joker, (guarda la video recensione) ancora a bocca asciutta nonostante le 11 nomination.
In 1917 (guarda la video recensione) letteralmente non si contano gli interventi ai limiti delle capacità tecniche per riuscire a rendere il dinamismo e la continuità del viaggio dei due protagonisti. Inoltre tra gli effetti speciali andrebbe anche annoverata l’illusione di piano sequenza che elimina i pochi punti critici di montaggio del film. Un lavoro mirabile, certamente.
Secondo oscar della serata per Le Mans ’66 (guarda la video recensione), che va a Michael McCusker e Andrew Buckland. Se l’impressione è quella di sedere sulla Ford guidata da Ken Miles, il merito va anche spartito con un lavoro di montaggio frenetico e preciso, brusco come le sterzate di Miles ma, come lui, capace di accelerare all’improvviso.
Scontro di titani nella categoria per la migliore fotografia, in cui la spunta Roger Deakins per 1917 (guarda la video recensione). Secondo Oscar su 15 nomination per lui, straordinario direttore della fotografia: qui viene premiato anche lo sforzo fisico di seguire i due protagonisti nel loro percorso tra le trincee, con la necessità di non poter girare nuovamente le sequenze. Deakins ha fatto ricorso a un’attrezzatura leggerissima e a varie magie del mestiere.
Dopo la sveglia di Eminem, che arriva propizia in una serata monocorde, un premio atteso per un lavoro notevole, quello di Donald Sylvester su Le Mans ‘66 (guarda la video recensione), che lo ha portato a recuperare modelli vintage di Ford e Ferrari e manipolare il suono dei motori con microfoni direzionali, ottenendo il feeling di un viaggio sulla pista maledetta di Le Mans. Sylvester amaramente ricorda che il film potrebbe essere “l’ultimo film di sempre targato 20th Century Fox”.
Fin dai primi premi della stagione si parlava di Laura Dern come unica opzione per l’Oscar come attrice non protagonista. Alla terza nomination Dern vince la statuetta per Storia di un matrimonio (guarda la video recensione) di Noah Baumbach, nella parte di un avvocato divorzista femminista che non lascia scampo all’altra parte in tribunale. Sul palco si lascia andare a un commovente omaggio ai genitori, grandissimi attori: “Dicono di non incontrare mai i propri eroi, ma se sei molto fortunato puoi averli come genitori”.
C’era un netto favorito nella categoria per il miglior cortometraggio documentario: Learning to Skateboard in a Warzone (if you’re a girl) di Carol Dysinger e Elena Andreicheva, girato durante cinque anni in Afghanistan racconta il coraggio richiesto per essere una ragazza libera, che intraprende scelte controcorrente.
Le nomination sono dominate da lavori girati su fronti di guerra, in particolare quello della rivoluzione incompiuta nella Siria di Bashir Assad. Ma a spuntarla sono Steven Bognar, Julia Reichert e Jeff Reichert con Made in USA - Una fabbrica in Ohio , girato in una fabbrica dell’Ohio in cui operai americani e cinesi devono cooperare ed emergono etiche del lavoro e diritti radicalmente differenti. Il fim è prodotto da Netlfix e dai coniugi Obama.
Il premio non poteva che andare a Jacqueline Durran per Piccole donne (guarda la video recensione), autrice di un lavoro mirabile nel dar vita ai costumi delle eroine di milioni di ragazze. La cura del look, ispirata dai quadri di Winslow Homer, di Amy March e della apparente trascuratezza di Jo e Laurie è la stessa, maniacale ma appassionata, che caratterizza la rivisitazione non lineare di Greta Gerwig del romanzo di Alcott.
Categoria gremita di lavori straordinari, ma Barbara Ling per C’era una volta... a Hollywood (guarda la video recensione), vincitrice, ridà vita alla Hollywood del 1969 con uno misto di realismo e un lirismo che segue la visione di Quentin Tarantino. L’immersione dello spettatore in quel mondo è senza precedenti.
Tra varie proposte che ruotano attorno all’impegno sociale, prevale e si aggiudica l’Oscar un dramma personale, The Neighbors’ Window, in cui una madre, frustrata dalla routine quotidiana, spia una giovane coppia nel suo appartamento newyorchese. Il regista Marshall Curry dedica il premio a tutti gli storyteller.
Sorpresa! Ad aggiudicarsi l’Oscar per il miglior adattamento non è Piccole donne (guarda la video recensione) di Greta Gerwig o The Irishman (guarda la video recensione), bensì Jojo Rabbit (guarda la video recensione), libero adattamento del romanzo "Come semi d’autunno" di Christine Leunens, riscritto da Taika Waititi stesso, che nel film interpreta il ruolo di Hitler come lo immagina il ragazzino protagonista. Gli Oscar hanno apprezzato il mix di comicità e tragedia del regista neozelandese.
Un pronostico ribaltato e clamorosamente. Quentin Tarantino non si aggiudica la statuetta per la migliore sceneggiatura originale, che va a Parasite (guarda la video recensione) di Bong Joon-ho, che afferma: “Non scrivo una sceneggiatura per rappresentare un Paese, ma questo va a tutta la Corea del Sud”. Un meccanismo a orologeria perfetto, una rappresentazione di classi sociali contrapposte che rivela anche nei minimi dettagli la propria eccellente fattura.
Vince Hair Love, la storia tenera e toccante di un padre impacciato, che prepara i capelli per la figlia per la prima volta. Padre e figlia sono afroamericani e anche i capelli della gente di colore possono permettere di osservare cosa significhi discriminazione. Il regista vincitore Marshall Curry dedica il premio a Kobe Bryant.
Ancora un pronostico ampiamente rispettato. Toy Story 4 (guarda la video recensione) non aveva concorrenti tali da impensierirlo: nel discorso di ringraziamento i produttori si rivolgono a chi è cresciuto con Toy Story, a testimonianza di una serie che ha abbracciato (e cambiato) più generazioni di spettatori.
“Aspettati il peggio, ma cerca di fare il meglio” dice Brad Pitt, impugnando la sua prima statuetta come Miglior Attore non protagonista. E ricorda gli stuntmen, come il suo Cliff Booth, personaggio di C’era una volta…a Hollywood. Joe Pesci - favoloso in The Irishman (guarda la video recensione) - e Anthony Hopkins (I due papi) non erano neanche presenti alla serata, forse consapevoli di non avere chance in una categoria blindata dai pronostici, che prevedevano un solo favorito.