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Il padrino ha cambiato voci, ma perché?

Ridoppiate le grandi voci originali.
di Pino Farinotti

Al Pacino (Alfredo Jacob Pacino) (84 anni) 25 aprile 1940, New York City (New York - USA) - Toro. Interpreta Michael Corleone nel film di Francis Ford Coppola Il padrino.

martedì 14 dicembre 2010 - Focus

Nella più recente classifica che allinea i titoli del cinema, di tutto il mondo e di tutti i tempi, Il padrino è fra i primi tre. Nei decenni, e sono ormai quattro, lo abbiamo visto nei palinsesti delle televisioni decine di volte, e sempre era un titolo gradito, come un memoria affidabile, un piccolo sortilegio, quasi un amico. Ieri sera Retequattro ha trasmesso il film ridoppiato. È probabile che non molti se ne siano accorti, oppure abbiano soltanto intuito una differenza senza decifrarla. Ma chi sta attento al cinema, chi lo conosce, dopo la sensazione di diversità, dopo la percezione di flessione del mito, ha certamente decifrato. Le grandi voci originali non c'erano più. Gli appassionati certo mi seguiranno: le voci erano quelle di Giuseppe Rinaldi (Brando), Ferruccio Amendola (Pacino), Cesare Barbetti (Duvall), Vittoria Febbi (Keaton), Pino Colizzi (Caan). Non conosco i sostituti, e non sono neppure interessato a conoscerli.

Decisive
Una premessa. Le voci sono importanti, decisive. Le nostre voci addirittura ottimizzavano gli originali, come Cigoli che faceva Wayne, o lo stesso Rinaldi che faceva Brando giovane. E c'è un dato esatto, esemplare e inconfutabile. Prima che la pubblicità acquisisse tutti i modelli possibili –da Bogart, a Brando, a Costner, Loren, Connery, Ford, DiCaprio, fra gli altri, fino all'ultimissima Roberts- aveva acquisito le voci. La stretta, anzi strettissima connessione fra cinema e pubblicità nacque nel 1971 quando a qualcuno della Craft venne l'idea di usare come speaker Gualtiero De Angelis, il doppiatore che dava la voce a Cary Grant, James Stewart ed Erroll Flynn. "Craft cose buone dal mondo". Se modelli tanti prestigiosi e accreditati, leggendari, assunti dalla memoria profonda e popolare ti indicavano un prodotto da comprare, correvi a comprarlo. Allora c'era ancora Carosello, significa che i prodotti privilegiati erano pochissimi, dunque avevi subito il giorno dopo la misura della redemption. Craft spariva dai bancali.

Actor's
La voce di don Corleone era dunque quella di Rinaldi. Fu lui a doppiare la generazione dell'Actor's Studio, Brando, Newman e Dean, trovando quel registro sofferente e trasgressivo. Valorizzava anche divi come Rock Hudson e Jack Lemmon, dalla comunicazione più tradizionale, diciamo così. Ferruccio Amendola era quello di Pacino, De Niro e Hoffman, l'Actor's di seconda generazione. Quando nel Padrino irrompe Michael (Pacino), con la voce di Amendola, così dura, perentoria, inquietante, è come se ti dichiarasse a priori il suo destino. Cesare Barbetti è quello di Beatty e Redford, fra gli altri. Ha molti repertori, sa essere raffinato e duro, è un vero strumento musicale. Come Pino Colizzi, efficace e completo, che poteva passare da Sonny Corleone, violento e adrenalinico, al Gesù di Zeffirelli. E poi la Febbi, che dava musicalità e perfezione a talenti come la Dunaway in Chinatown, la Farrow nel Grande Gatsby e la Schneider in Fantasma d'amore. Tutti i suoni e tutte le armonie. Nella Keaton ridoppiata c'era il suono, non c'erano armonie. La distonia emerge, esponenziale, nel segmento siciliano del film, dove Coppola usò la presa diretta e gli attori parlano in siciliano. Ci sono Urzì, Gaipa, Citti e Infanti con le loro voci, e Pacino che si inserisce col "sostituto". Un vero "assurdo armonico". Non conosco la ragione di questa operazione di restyling del Padrino. Non riesco proprio a darmene una spiegazione. Ma che finisca qui. La differenza è troppa, è come sentire una sinfonia diretta da Karajan oppure da un allievo del conservatorio.

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