Film d’impatto devastante.
C’è tutta la potenza sinfonica di Von Trier.
Nell’incipit il film è dipinto in un riassunto onirico delirante,
poi tracce di Dogma,ed ecco Festen nella prima parte, ecco la macchina da presa a mano e l’isteria dei commensali,
le nevrosi, la follia sintetizzata ai minimi termini,
tutto che si sfalda, che finisce miseramente.
Nel secondo capitolo c’è la certezza della fine e la reazione dei tipi umani ad essa.
C’è chi ha paura di perdere tutto, chi non regge l’eventualità e non la concepisce, e ne scappa,
chi ha un consapevole disincanto, chi una lucida, asettica rassegnazione.
La suddivisione in capitoli, così cara al regista,
non è necessariamente legata alle due protagoniste:
si delineano molteplici punti di vista sotto lo sguardo intermittente di Dunst e Gainsburg,
ma il film asseconda indubbiamente lo sguardo delle due sorelle.
E’ un film che poi non consente di dormire realmente,è un film che vibra e fa tremare.
Il Pianeta Dunst è inesorabile come la fine . La fine assume i caratteri dell’imminenza,
e lei accoglie, nuda, il pianeta che sorge, e su di esso si riflette e s’illumina catarticamente.
Al chiaro di Melancholia tutto si placa. La palese umana involuzione sta proprio nella perdita del legame telepatico con un Pianeta che non siamo più in grado di leggere o “sentire”. Quando la Natura, quando gli animali che ancora ne avvertono i segnali cessano il baccano, rinunciano alla rivoluzione, la consapevolezza congela l’immagine.
Qui si avverte il distacco nello sguardo di una Dunst assente ed alienata, poichè apparentemente involuta -agli occhi di una società distorta- nel suo profondo e innato legame con l’Universo. Il suo disagio è la consapevolezza del male annidato nell’uomo, del punto di rottura con la natura circostante, il disagio di una collocazione impossibile, di un eterno limbo insonorizzato.
Kirsten Dunst riflette l’inesorabile, avverte l’errore umano,
e i suoi comportamenti la relegano ai margini di una società che accetta solo chi ha compreso la logica del gregge.
Lei non prova alcuna pietà per i suoi simili, con un’eccezione:
sceglie di salvaguardare, assecondandola, l’illibata innocenza di un bambino, che poi rappresenta tutti bambini,
di un bambino che come lei sa tutto, ma in modo diverso, di un bambino incontaminato dal circolo vizioso degli umani.Il film è ispirato al cinema di Visconti, sembrano esserci Malick, Kubrick, Lynch, e persino Gilliam per la parte dipinta.
Ci sono soprattutto Lars Von Trier e il suo arrogante imperscrutabile nichilismo cosmico.
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