ilaskywalker
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martedì 8 novembre 2011
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perfezione cosmologica
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La cosmologia, lo stato d’animo-pianeta che sembra andare via e invece ritorna, nascosto dietro al sole, il colore del pianeta, la condizione di rifugio dell’essere irreperibile, l’influenza che hanno i movimenti astrali su di noi, Kiefer Sutherland -non in sé, ma la presenza-, il freddo avuto uscendo dalla sala. La lentezza wilsoniana e il cromatismo magrittiano dell’intro mi erano già bastati per dare il 10/10, per me è un capolavoro.
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fleda
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martedì 8 novembre 2011
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nichilista
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In questa fantasia cinematografica il regista ci dice nel modo più "arreso" possibile che la vita non vale la pena di essere vissuta. Già nel primo quadro, riferito ad una delle sorelle, Justine, l'accento è posto sullo sgradevole; sul futile; sulla recita umana.Nel secondo quadro dedicato alla sorella con prole, pure non c'è speranza. L'unico modo è l'accettazione di questa verità. Magari, dico io, fosse così semplice. Il film in fondo è lineare ed è di un semplicismo ingenuo. Il regista crea un crescendo molto prevedibile. Filosoficamente indicativo ( lars von trier non è un eremita ma vive in una cultura che si augura la fine del mondo o di altro che ne fa parte). Non certo un capolavoro.
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In questa fantasia cinematografica il regista ci dice nel modo più "arreso" possibile che la vita non vale la pena di essere vissuta. Già nel primo quadro, riferito ad una delle sorelle, Justine, l'accento è posto sullo sgradevole; sul futile; sulla recita umana.Nel secondo quadro dedicato alla sorella con prole, pure non c'è speranza. L'unico modo è l'accettazione di questa verità. Magari, dico io, fosse così semplice. Il film in fondo è lineare ed è di un semplicismo ingenuo. Il regista crea un crescendo molto prevedibile. Filosoficamente indicativo ( lars von trier non è un eremita ma vive in una cultura che si augura la fine del mondo o di altro che ne fa parte). Non certo un capolavoro. Troppo semplicista anche se le immagini creano una indubbia fascinazione ed è proprio e solo questa la forza del film.
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ivano3
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lunedì 7 novembre 2011
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e quindi uscimmo a non riveder le stelle
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Affinché la musica possa nascere ha bisogno del silenzio, e questo silenzio e' squarciato da un la. Il Vorspiel del Tristan und Isolde di Wagner: un grido d'amore in tre atti. Ecco cosa infine rappresenta tutto quello che abbiamo appena veduto, e tentiamo ancora di rivederlo nel suono, nelle immagini magrittiane che assecondano un grido alla vita inascoltato. Non c'e nessun scampo. Nemmeno la musica potrà lenire ogni nostro dolore. L'ansia del non riveder le stelle rigurgita sogni mostruosi, i caratteri esplodono, implodono, subiscono smarriti un destino inatteso, inesorabile, inascoltate parole seviziano turbamenti insoliti, ogni paura ha un quadro di proiezione che tutela una bellezza da preservare, ma che non sapremmo custodire.
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Affinché la musica possa nascere ha bisogno del silenzio, e questo silenzio e' squarciato da un la. Il Vorspiel del Tristan und Isolde di Wagner: un grido d'amore in tre atti. Ecco cosa infine rappresenta tutto quello che abbiamo appena veduto, e tentiamo ancora di rivederlo nel suono, nelle immagini magrittiane che assecondano un grido alla vita inascoltato. Non c'e nessun scampo. Nemmeno la musica potrà lenire ogni nostro dolore. L'ansia del non riveder le stelle rigurgita sogni mostruosi, i caratteri esplodono, implodono, subiscono smarriti un destino inatteso, inesorabile, inascoltate parole seviziano turbamenti insoliti, ogni paura ha un quadro di proiezione che tutela una bellezza da preservare, ma che non sapremmo custodire. Ogni cosa e' vana, tutto e' perduto se non l'amore per chi si sceglie di morire. Tutto e' instabile, anche la follia ha ragione di esistere. C'e un ponte che unisce la ragione, ma che nessuno oserà oltrepassare, nemmeno un cavallo, poiché tutto e' in preda all'irragionevolezza. E' solo per questa volta tutto cio' che avremo.
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taxidriver
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lunedì 7 novembre 2011
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l'impotenza dell'uomo di fronte alla natura
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Il volto di Kirsten Dunst apre il film: un'espressione drammatica, un senso di tragedia incombente sull'aria di "Tristano e Isotta" di Wagner. Seguono scene a metà strada fra surrealismo e metafisica, fra cui un'inquadratura a tutto schermo de “Il ritorno dei cacciatori” di Pieter Brueghel il Vecchio: un chiaro omaggio a Solaris di Tarkovskij. Con Melancholia, Von Trier sembra volerci dire che siamo tutti in pericolo e, cosa ancor peggiore (ma anche consolante) non per causa nostra. L'umanità è in costante pericolo di estinzione, ma per cause esogene: cause che dipendono dal cosmo, dai suoi capricci, dinanzi al quale l'uomo è completamente impotente.
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Il volto di Kirsten Dunst apre il film: un'espressione drammatica, un senso di tragedia incombente sull'aria di "Tristano e Isotta" di Wagner. Seguono scene a metà strada fra surrealismo e metafisica, fra cui un'inquadratura a tutto schermo de “Il ritorno dei cacciatori” di Pieter Brueghel il Vecchio: un chiaro omaggio a Solaris di Tarkovskij. Con Melancholia, Von Trier sembra volerci dire che siamo tutti in pericolo e, cosa ancor peggiore (ma anche consolante) non per causa nostra. L'umanità è in costante pericolo di estinzione, ma per cause esogene: cause che dipendono dal cosmo, dai suoi capricci, dinanzi al quale l'uomo è completamente impotente. E così il film è diviso in due parti: una che racconta la crisi di una donna (Kirsten Dunst), neosposata che si rende conto alla festa di matrimonio di non amare l'uomo con cui ha scambiato l'anello. Ogni personaggio è molto approfondito dal punto di vista psicologico, e il malessere di Justine sembra voler preannunciare ciò che sta per succedere. Von Trier, nel descrivere la sua visione dell'Apocalisse, gioca sul contrasto "particolare-universale": la fine del mondo causata da un oscuro pianeta vista attraverso gli occhi di una famiglia (soprattutto due sorelle) che sembra vivere isolata dal resto del mondo. E' lo stesso isolamento di Justine nella prima parte del film: Von Trier sembra voler dire che, alla fine, i rapporti che contano sono davvero pochi. E come medium, come nodo che tiene uniti questi rapporti, sceglie un bambino. Perchè un bambino? semplice: il bambino rappresenta l'innocenza, la purezza. E' il bambino che spinge Justine a costruire una "capanna segreta" per salvarsi dall'Apocalisse. Capanna nella quale si rifugiano lei, la sorella e ovviamente il bambino: qualche lungo ramo d'albero incrociato per affrontare la fine del mondo. Scena finale bellissima, anzi sublime: l'impotenza e la piccolezza dell'uomo davanti alla forza bastarda e implacabile della Natura, delle leggi universali del Cosmo. Polvere siamo e polvere ritorneremo.
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giul1a
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domenica 6 novembre 2011
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fantastico
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E più facile affrontare la fine del mondo che le piccole azioni quotidiane, chi non si è mai per una volta sentito così?
Il regista sublima questo stato d'animo grazie ad un'interpretazione grandiosa della Dunst.
Gli uomini ne escono piccoli miseri e inutili. Il neo marito che si dilegua il giorno stesso delle nozze incapace di "gestire" la situazione, il padre che si autodefinisce "stupid" e scappa e il marito della sorella che si eclissa nel modo più vigliacco ed egoista possibile.
Da non perdere
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gattaluna
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domenica 6 novembre 2011
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emozione profonda
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Questo film mi ha emozionato profondamente. All'inzio, è spiazzante, siamo sospesi su un registro magico e notturno, con sequenze oniriche e un po' spettrali, una per tutte: il cavallo che si accascia e che rimanda a cavalli al ralenti caduti in battaglia ma forse anche ad Artax che annega ineluttabimente nella Palude della Tristezza. Ed una strana tristezza, una malinconia profonda e inspiegabile quella che prende la giovane e bellissima Justine nel giorno del suo matrimonio. Ed è proprio la cerimonia che occupa la prima parte del film, dedicata a Justine. Sulla Terra incombe Melancholia, misterioso pianeta che, come fosse un meteorite, viaggia, lento e implacabile, verso di noi.
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Questo film mi ha emozionato profondamente. All'inzio, è spiazzante, siamo sospesi su un registro magico e notturno, con sequenze oniriche e un po' spettrali, una per tutte: il cavallo che si accascia e che rimanda a cavalli al ralenti caduti in battaglia ma forse anche ad Artax che annega ineluttabimente nella Palude della Tristezza. Ed una strana tristezza, una malinconia profonda e inspiegabile quella che prende la giovane e bellissima Justine nel giorno del suo matrimonio. Ed è proprio la cerimonia che occupa la prima parte del film, dedicata a Justine. Sulla Terra incombe Melancholia, misterioso pianeta che, come fosse un meteorite, viaggia, lento e implacabile, verso di noi. Un film di fantascienza? Potrebbe essere, forse, ma sarebbe un film di fantascienza senza astronavi, senza scienziati americani, tute, militari armati fino ai denti e il solito eroe che salva la Terra. Qui la dimensione, ancor più nella seconda parte, dedicata alla sorella della sposa, Claire, è tutta intima, chiusa in un piccolo universo familiare, in una ricca villa di campagna, dove si svolge tutto, una dimensione ancor più claustrofobica che, tra cucine, salottini in giardino e stalle, ci rappresenta una umana, planetaria ma qui solo intima tragedia, sino al bellissimo finale assordante dove tre modi di affrontare la morte si rappresentano e si confrontano (malinconico, rassegnato ma coraggioso - Justine, disperato - Claire, ingenua attesa della salvezza - il bambino, il quarto modo, la fuga volontaria nella morte, l'abbiamo visto nel marito di Claire che, a suo modo, sfugge all'inevitabile collisione). Due scene di grande impatto: Claire scopre Justine che, di notte, nel giardino silenzioso, si offre nuda alla luce del pianeta, in una sorta di "tintarella di luna" che provoca sgomento; ancora Claire che controlla, con un piccolo, ingenuo ma efficace strumento creato dal figlio con un pezzo di legno e del fil di ferro, che le dimensioni di Melancholia nel cielo sono spaventosamente aumentate. Per me, un capolavoro da rivedere e consigliare agli amanti del cinema.
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angelo48
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sabato 5 novembre 2011
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la danza della morte
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La riflessione di von Trier sul tema della morte, della condizione umana e del potere inarrestabile della natura si avvale di una fotografia di grande spessore artistico, della sublime musica di Wagner e della prova di due bravissime attrici. Il risultato è, a mio avviso, un film di quelli destinati ad entrare nella storia della settima arte. Il viaggio verso l’Apocalisse è vissuto in maniera diversa dai protagonisti: lo sguardo rassegnato, quasi inespressivo, di Justine, sprofondata in una grave crisi depressiva (l’estrema possibile evoluzione di quello stato d’animo che chiamiamo “malinconia”), quello di Claire, la sorella “normale”, che ha reazioni più umane, come l’irrazionale tentativo di fuga, ed in cui molti di noi potrebbero riconoscersi, quello del marito di Claire, che cerca di avere un atteggiamento positivo/costruttivo, ma poi cede di schianto di fronte all’evidenza della ineluttabilità della catastrofe e quello innocente dell’infanzia del figlio.
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La riflessione di von Trier sul tema della morte, della condizione umana e del potere inarrestabile della natura si avvale di una fotografia di grande spessore artistico, della sublime musica di Wagner e della prova di due bravissime attrici. Il risultato è, a mio avviso, un film di quelli destinati ad entrare nella storia della settima arte. Il viaggio verso l’Apocalisse è vissuto in maniera diversa dai protagonisti: lo sguardo rassegnato, quasi inespressivo, di Justine, sprofondata in una grave crisi depressiva (l’estrema possibile evoluzione di quello stato d’animo che chiamiamo “malinconia”), quello di Claire, la sorella “normale”, che ha reazioni più umane, come l’irrazionale tentativo di fuga, ed in cui molti di noi potrebbero riconoscersi, quello del marito di Claire, che cerca di avere un atteggiamento positivo/costruttivo, ma poi cede di schianto di fronte all’evidenza della ineluttabilità della catastrofe e quello innocente dell’infanzia del figlio. Nella scena finale, di altissimo impatto emotivo, le due sorelle cercano nel contatto delle mani che si stringono il conforto degli affetti, l’ultimo e più alto valore dell’umanità che si spegne. Il film è di uno straordinario spessore estetico e formale ed è fonte di innumerevoli spunti di riflessione. Credo avrebbe ampiamente meritato la Palma d’Oro a Cannes.
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melandri
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venerdì 4 novembre 2011
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??????????????????????
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ma che fine ha fatto la mia critica postata il 2 novembre???????????
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bernardgranger
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giovedì 3 novembre 2011
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cinema di alta classe: fotografia, musica e attori
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Esteticamente sublime, a partire dal prologo accompagnato dall'ouverture di Tristano e Isotta, è un film angosciante che diventa liberatorio nel catastrofico finale.
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mantraliulai
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giovedì 3 novembre 2011
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satellite emozionale
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La Malinconia. Un sentimento così dirompente e distruttivo, a tratti "amichevole", a tratti terrorizzante da toglierti la forza di camminare. Ingestibile e gigantesco come un pianeta che entra in collisione con la Terra, con tutto ciò che sei, che respiri, che conosci.
Dobbiamo dare il merito a Lars Von Trier di aver creato una metafora talmente potente, forse la prima utilizzata in questo modo nella storia del cinema. Due sorelle due protagoniste: Justine se ne abbandona completamente, si arrende davanti ad essa, mentre Claire cerca di combatterla come può. Intorno, i familiari, quelli di sangue e quegli acquisiti, poco importa perchè comunque, alla fine, si rimane da soli con se stessi.
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La Malinconia. Un sentimento così dirompente e distruttivo, a tratti "amichevole", a tratti terrorizzante da toglierti la forza di camminare. Ingestibile e gigantesco come un pianeta che entra in collisione con la Terra, con tutto ciò che sei, che respiri, che conosci.
Dobbiamo dare il merito a Lars Von Trier di aver creato una metafora talmente potente, forse la prima utilizzata in questo modo nella storia del cinema. Due sorelle due protagoniste: Justine se ne abbandona completamente, si arrende davanti ad essa, mentre Claire cerca di combatterla come può. Intorno, i familiari, quelli di sangue e quegli acquisiti, poco importa perchè comunque, alla fine, si rimane da soli con se stessi.
La bellezza degli elementi, l'evocatività delle musiche wagneriane accompagnano la sfiancante attesa.
Insuperabile la prova d'attrice di Charlotte Gainsbourg; l'unico motivo per cui non ha vinto un riconoscimento a Cannes è perchè l'aveva già vinto nel 2009 diretta dallo stesso regista. Non c'è altra spiegazione. E pensare che in questo film le hanno negato persino il parrucchiere, è sempre spettinata povera donna. Invece non riesco proprio a spiegarmi il premio per la migliore interpretazione femminile Cannes 2011 a Kirsten Dunst, la quale sfodera le sue solite due espressioni facciali: un sorriso accennato a labbra chiuse in su e una smorfia di disappunto con labbra chiuse in giù. Nonostante ciò, anche questa volta Lars è riuscito a regalarci il suo particolarissimo pugno nello stomaco.
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