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Paolo Sorrentino ormai sembra aver raggiunto una capacità narrativa e registica molto elevata, e nonostante sia debitore di capisaldi come Fellini e Lynch, riesce a personalizzare uno stile proprio che incamera quegli elementi visivi straordinari che si trovano nella nostra bellissima Italia e che sono in grado di creare un atto figurativo unico, d'indelebile bellezza, appunto.
“La grande bellezza” è una delizia per occhi costante che ci lascia senza fiato in tutti i suoi 135 minuti, capace di mostrare le recondite bellezze di una Roma notturna, dove la moltitudine di personaggi tristi, finti e depressi che la abitano non sono altre macchie che si cancella man di mano avanzano nella loro inutile esistenza.
Sono essi il contraltare della meravigliosità delle fontane, vicoletti, panoramiche splendide e gli antichi fasti dei palazzi nobiliari; persone che si vantano di avere tutto ciò che desiderano quando in realtà hanno una depressione ben percepibile e che è schiava dei loro vizi e frustrazioni; gente che non possiede anima, come dei contenitori vuoti che s’ingozzano di pettegolezzi e invidie.
Il protagonista Jep Gambardella è uno che si vuole elevare nella compagnia di questa gente, ben sapendo nel profondo che anche lui è una nullità come loro: venduta l’anima al diavolo per soldi facili guadagnati scrivendo di scandali e rinunciata una promettente carriera di romanziere per soddisfare i suoi vizi. E proprio tramite alcuni eventi che deciderà di riprendere per mano la sua vita, a sessantacinque anni suonati.
Di per sé il film possiede anche un impianto narrativo valido, ben aiutato dalla eccellente regia di Sorrentino e dalla stupenda fotografia di Bigazzi, peccato che a mio modo di vedere il film s’incentra un po’ troppo su Jep e Roma, così facendo si è cancellata la possibilità di avere altri aspetti interessanti sugli altri personaggi presenti della pellicola: lo scrittore fallito Romano (bravo verdone anche se troppo classico nel suo modo di recitare) e la spogliarellista Ramona (Ferilli inconsistente come sempre) che avrebbero meritato più spazio.
Tirando le somme, “La grande bellezza” ti sa stordire e ingozzare allo stesso tempo con l’aggettivo del titolo, ma ti fa anche tenere conto dell’ingombrante ombra dei capolavori felliniani “La dolce vita” e “8 e mezzo” che rivestono il film; quindi un Sorrentino fin troppo ispirato dal maestro emiliano. Rimane da dire che, Sorrentino sa il fatto suo quando si tratta di dirigere film dall'alto tasso di sublimità e di saper raggiungere un modus operandi tutto americano.
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