Il ritratto personale e lavorativo di un grande osservatore della nostra contemporaneità. Espandi ▽
Dal quartiere Crocetta di Torino alle interviste fiume con i grandi dello sport, della cultura e della politica, con una prevalenza per l’America Latina: Tommie Smith, Muhammad Ali, Enzo Ferrari, Giuseppe Ungaretti, Vinicius de Moraes, Fidel Castro, Gabriel García Márquez, Pietro Mennea, il subcomandante Marcos, Luis Sepúlveda, Diego Armando Maradona, Rigoberta Menchú, solo per citarne alcuni. In un affettuoso amarcord tra amici e colleghi, interviste di oggi e archivi, si ripercorre l’ammirevole, straordinaria carriera nel giornalismo e nella comunicazione televisiva di Gianni Minà (1938-2023). Già da adolescente aspirante giornalista sportivo tifosissimo del Torino, poi esordiente a “Tutto Sport” nella città della Mole. Quindi trasferito a Roma, inviato sul campo e freelancer, poi come autore in proprio, insieme a una squadra fidata, di numerosi reportages per la tv pubblica, dagli anni ’60 fino alla fine dei ’90 circa. Contemporaneamente collaboratore di molte testate cartacee, anche straniere.
Il documentario di Loredana Macchietti parte dalla stessa immagine di copertina di quell’autobiografia: il ritratto appeso sopra la scrivania da cui Minà stesso risponde scettico all’invito di realizzare un documentario su sé stesso.
I suoi strumenti narrativi si posizionano nell’ambito di una piena, rilassata classicità.
Più manifestazione di riconoscenza in presenza del protagonista, che narrazione eccitante delle sue avventurose imprese conoscitive, il film non si addentra nelle dinamiche del mestiere e si perde un po’ nell’aneddotica.