Anno | 2022 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 100 minuti |
Regia di | Loredana Macchietti |
Uscita | lunedì 26 giugno 2023 |
Distribuzione | Zenit Distribution |
MYmonetro | Valutazione: 2,50 Stelle, sulla base di 3 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento domenica 25 giugno 2023
Il ritratto personale e lavorativo di un grande osservatore della nostra contemporaneità. In Italia al Box Office Gianni Minà - Una Vita da Giornalista ha incassato 4,4 mila euro .
CONSIGLIATO NÌ
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Dal quartiere Crocetta di Torino alle interviste fiume con i grandi dello sport, della cultura e della politica, con una prevalenza per l'America Latina: Tommie Smith, Muhammad Ali, Enzo Ferrari, Giuseppe Ungaretti, Vinicius de Moraes, Fidel Castro, Gabriel García Márquez, Pietro Mennea, il subcomandante Marcos, Luis Sepúlveda, Diego Armando Maradona, Rigoberta Menchú, solo per citarne alcuni. In un affettuoso amarcord tra amici e colleghi, interviste di oggi e archivi, si ripercorre l'ammirevole, straordinaria carriera nel giornalismo e nella comunicazione televisiva di Gianni Minà (1938-2023). Già da adolescente aspirante giornalista sportivo tifosissimo del Torino, poi esordiente a "Tutto Sport" nella città della Mole. Quindi trasferito a Roma, inviato sul campo e freelancer, poi come autore in proprio, insieme a una squadra fidata, di numerosi reportages per la tv pubblica, dagli anni '60 fino alla fine dei '90 circa. Contemporaneamente collaboratore di molte testate cartacee, anche straniere.
La rilevanza di Gianni Minà, che è stato anche scrittore, animatore culturale, direttore di una rivista come Latinoamerica, dopo un lungo periodo di allontanamento dagli schermi si è riaccesa di recente anche con l'autobiografia Storia di un boxeur latino (minimum fax) e, dopo la sua morte, anche da RaiPlay con l'originale antologico Gianni Minà. Cercatore di storie, oltre ad altri estratti offerti dal programma Blitz!.
Il documentario di Loredana Macchietti parte dalla stessa immagine di copertina di quell'autobiografia: il ritratto appeso sopra la scrivania da cui Minà stesso risponde scettico all'invito di realizzare un documentario su sé stesso. È di Siqueiros ("la leggenda della pittura di murales", ha scritto Fabio Stassi), un primo piano buffo e abbozzato del reporter, e campeggia sui titoli, nella prima e nell'ultima inquadratura, testimonianza di un amore ricambiato. Anche il film di Macchietti, seconda moglie di Minà e sua stretta partner produttiva (Cuba nell'epoca di Obama, 2011) prende il via da uno sguardo di parte e da una prossimità che ne determinano il taglio e lo caratterizzano fino alla fine.
I suoi strumenti narrativi si posizionano nell'ambito di una piena, rilassata classicità: l'espediente della Fiat 500 che trasporta il giornalista da una tappa all'altra del suo percorso privato e professionale, la voce fuori campo della regista in funzione di commento informato sui fatti e insieme testo critico sul "metodo Minà". E poi le interviste sul divano, in totale e senza troppi ma necessari stacchi, a compagni di viaggio che ne attestano e confermano le capacità umane e la curiosità, a braccetto con una certa intraprendenza; di un mestiere allora ancora non vampirizzato dai social né guidato da altri intermediari di ogni tipo.
Non da ultimo, ovviamente, l'archivio a disposizione: immagini in pellicola o betamax di un'informazione televisiva che pare galassia lontana, e anche di intrattenimento alto ma che dialoga con ogni pubblico: come quando Roberto Benigni lesse Dante seguendo le indicazioni di Carmelo Bene a Blitz!, leggendario contenitore della domenica pomeriggio in diretta.
A parte questa ed altre rarità, si avverte una mancanza generale di ritmo, le transizioni da una sequenza all'altra sono brusche, motivate solo dall'ordine cronologico, la qualità dei momenti di fine carriera, in cui l'intelligenza di Minà è stata premiata o riconosciuta, non è eccelsa eppure si insiste a volerli: come la cerimonia per il premio Berlinale Camera per la carriera, ritirato con visibile emozione dalle mani del direttore Dieter Kosslick e di Walter Salles, col quale il giornalista collaborò per la lavorazione di I diari della motocicletta, su Che Guevara.
Più manifestazione di riconoscenza in presenza del protagonista, che narrazione eccitante delle sue avventurose imprese conoscitive, il film, che non si addentra nelle dinamiche del mestiere e si perde un po' nell'aneddotica, ha se non altro il merito di lasciare alle sue parole (da un incontro alla Casa del cinema di Roma, nel 2008) il senso profondo di una professione che Minà ha onorato, con umiltà, amandola. "Io sono solo il ponte tra una situazione, una personalità, e la gente [...] io devo solo servire a che la gente capisca, conosca, non sia narcotizzata dal solito tran tran che lo sport-spettacolo intrattiene per far sì che la gente non pensi".
«Minà ti vogliamo bene» urlava Benigni ai tempi di Blitz. E, onestamente, chi non ha voluto bene a quel magnifico giornalista sportivo, conduttore televisivo e grande intervistatore che ha guidato la nostra vita di lettori e spettatori? Minà ha raccontato il Novecento viaggiando per il mondo e dando voce a eroi della cultura, dell'arte, della politica.
Erano: Gabo, Renzo, Cassius, Bob, Fidel, Sergio, Eduardo, Massimo, Roberto, Vinicius, Walter, Pietro, Rigoberta, Mick, Diego Armando e molti altri in quegli anni di speranze e illusioni che Gianni Minà con la bonomia di un torinese per nulla falso, ma molto cortese, ha coltivato e fatto coltivare con le interviste e la sua schiena dritta che non si è piegata davanti a nessun potere, se non a quello [...] Vai alla recensione »