fabriziog
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domenica 23 marzo 2014
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anticipazione di prossimo futuro
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Solitudine. Solitudine. Solitudine. Solitudine. Solitudine. Solitudine.
E ancora solitudine.
L’essere umano è un animale complesso e complicato, che sfugge a se stesso e, talora, non si governa, non si capisce, non si conosce: i rapporti sentimentali fra uomo e donna sono lo specchio di questo e le relazioni fra individui sono segnate dal mistero dell’amicizia e dell’amore e, quindi, dalla emotività e, pertanto, dalla irrazionalità.
Una umanità indebolita ha paura di questo e non è più in grado di affrontare la bellezza della difficoltà della comunicazione con l’ “altro”: troppo difficile, troppo impegnativo. Più comodo avere vicino un animale, o ancor meglio, una intelligenza artificiale, partorita dalla copulazione fra la genialità della mente umana ed un computer.
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Solitudine. Solitudine. Solitudine. Solitudine. Solitudine. Solitudine.
E ancora solitudine.
L’essere umano è un animale complesso e complicato, che sfugge a se stesso e, talora, non si governa, non si capisce, non si conosce: i rapporti sentimentali fra uomo e donna sono lo specchio di questo e le relazioni fra individui sono segnate dal mistero dell’amicizia e dell’amore e, quindi, dalla emotività e, pertanto, dalla irrazionalità.
Una umanità indebolita ha paura di questo e non è più in grado di affrontare la bellezza della difficoltà della comunicazione con l’ “altro”: troppo difficile, troppo impegnativo. Più comodo avere vicino un animale, o ancor meglio, una intelligenza artificiale, partorita dalla copulazione fra la genialità della mente umana ed un computer.
Theodore, interpretato da un magniloquente Joaquin Phoenix, sta divorziando da una donna che frequenta ed ama dai banchi della università. Theodore scrive toccanti lettere per conto di fidanzati e sposi che non ne sono capaci e interagiscono tra loro attraverso di lui. Theodore si innamora di un OS (operative system), un sistemo operativo, sul set presente con la voce suadente, sensuale, inquietante di Samantha (nella versione originale americana incarnata da Scarlett Johansson, la Vedova Nera nelle produzioni Marvel, mentre in quella italiana doppiata dall’attrice Micaela Ramazzotti).
La presenza vocale di Samantha diventa quasi ansiogena, come è angosciante il mondo descritto nel film “Lei” (“She”) - Premio Oscar e Golden Globe come miglior sceneggiatura originale - del regista, soggettista e sceneggiatore Spike Jonze.
Il mondo di Theodore si va sempre più popolando di monadi, di persone che non hanno più contatti “veri”, “reali”, “fisici”, che implicano emozionalità, rischio, gioia autentica al pari di autentica sofferenza. La città di Los Angeles è lo scenario grottesco ove gli abitanti parlano tra di loro attraverso le mail scritte da Theodore e gli amanti non sono in carne ed ossa, ma irreali e fittizi come gli OS.
Romantico? Drammatico? Senz’altro. Fantascientifico no: è solo l’anteprima di un prossimo futuro, raccontato nel passato dallo scrittore russo Asimov e descritto dal filosofo tedesco Leibniz. E’ unicamente l’anticipazione di un presente che si avvicina, fatto di contatti non vocali o corporei, privati della fisicità e nascosti agli sguardi, sviluppati solamente attraverso sms, e mail e whatsapp.
Fabrizio Giulimondi
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fsromait
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domenica 23 marzo 2014
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l'insostenibile fascino della mente di "lei"
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Theodore è un mite e sensibile quarantenne (un amico gli dirà egli possedere una interiorità al femminile) che si guadagna da vivere in un’azienda, di Los Angeles, definibile di “divulgazione di emozioni”: infatti egli ascolta, riceve, fa proprie le emozioni di persone anonime e, su queste basi, scrive dei componimenti, resoconti verbali, lettere che saranno reindirizzate ai destinatari dei medesimi pensieri a nome dei corrispondenti mittenti; pertanto Theodore si presenta come una sorta di ghost writer dell’anima del terzo millennio, operante all’interno di un’azienda di servizi la cui mission consiste nel rielaborare, mettendolo in bella forma, il vissuto dell’umanità USA più dispersa e parcellizzata.
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Theodore è un mite e sensibile quarantenne (un amico gli dirà egli possedere una interiorità al femminile) che si guadagna da vivere in un’azienda, di Los Angeles, definibile di “divulgazione di emozioni”: infatti egli ascolta, riceve, fa proprie le emozioni di persone anonime e, su queste basi, scrive dei componimenti, resoconti verbali, lettere che saranno reindirizzate ai destinatari dei medesimi pensieri a nome dei corrispondenti mittenti; pertanto Theodore si presenta come una sorta di ghost writer dell’anima del terzo millennio, operante all’interno di un’azienda di servizi la cui mission consiste nel rielaborare, mettendolo in bella forma, il vissuto dell’umanità USA più dispersa e parcellizzata.
Ciò nonostante, Theodore vive un’esistenza vuota e solitaria: separato dalla moglie, con cui è cresciuto e ha condiviso sostanzialmente tutte le esperienze importanti delle loro vite, prossimo al divorzio, è padre di una dolce bambina che, tuttavia, vede saltuariamente; in definitiva egli vive la propria affettività in sporadiche e spesso frustranti avventure, sempre in bilico tra il reale e il virtuale.
Una chance di cambiamento gli viene offerta, in modo sorprendente e inaspettato anche per lo spettatore, dalla pubblicità di un software di intelligenza artificiale, sistema operativo o OS, installabile sul proprio PC casalingo e attivabile su terminali telefonici, mobile, hi-phone e similari handset. In tal modo sarà configurata e prenderà coscienza una vera e propria amena mente virtuale, compagna del protagonista, una “Lei” presenza pressoché costante nel quotidiano di Theodore. Essa naturalmente, come tutte le simulazioni o realtà simil-cerebrali (ma senza risvegliare in alcun modo mostri dell’id da terzo millennio), sarà in grado di evolvere accumulando esperienze, affetti e quant’altro, fino a giungere a una sorta di vera e propria vita mentale diffusa e interrelata con la “vera” umanità, sulla scia dei paradigmi del più attuale internetworking postmoderno.
Ovviamente, parallelamente, prende piede anche l’evoluzione, pur dolorosa e tormentata, di Theodore che lo condurrà a rivedere tutti i suoi rapporti affettivi, passati, presenti e futuri.
Tale soggetto, specie di redivivo bildungsroman della maturità, sviluppato in una struggente pur sempre agrodolce e suadente sceneggiatura equipaggiata da una bella fotografia, caratterizzato da un convincente e sempre misurato Joaquin Phoenix, evoca da subito più o meno noti echi cinematografici: dal celeberrimo Hal 9000 di Arthur Clarke e Stanley Kubrick alla certamente meno famosa, e sicuramente più goffa e maldestra, Caterina di Alberto Sordi; nondimeno rimanda a quello che, probabilmente, è il personaggio più maturo e accattivante della cinematografia di Nanni Moretti: il Michele di Bianca, quello tanto perfetto da rinunciare all’amore ma che conservava gli schedari affettivi dei propri amici e conoscenti, nonché che si recava alla stazione a scrutare i saluti e gli addii dell’umanità più anonima e pertanto più vera e per lui ammirevole, film i cui significati rimangono sempre in bilico misterioso tra l’esplicito e l’implicito, tra il detto e il non detto, l’iniziato e l’interrotto.
Qui, in “Lei”, i significati si esprimono e si consumano in modo abbastanza aperto, come del resto il magnifico finale con il recupero di un rapporto reale, effettivamente open, e foriero di ulteriori incipienti cambiamenti. Ma ciò che rimane allo spettatore, di questo elegiaco racconto filmico, è proprio la cangiante potenzialità insita nella mente, artificiale che sia nella sua affettività come nella sua intelligenza, la quale, come forma pensante e senziente pur mediata dalle regole software ispirate all’umana natura, apre a sua volta a prospettive suggestive, certamente antitetiche a tanta nostra quotidianità: se infatti nel corso di quest’ultima siamo, pressoché continuamente, colpiti da corpi viventi, masse protoplasmatiche o neuro-muscolari di materia vivente in cui, spesso, pare non scorgersi traccia alcuna di ciò che può chiamarsi mente, perché ci si dovrebbe scandalizzare di una mente priva di un corpo, priva di materia biologica, che, come viene ripetuto dalla bimba figlia del protagonista, “abita in un computer” ma che dalla natura umana è stata concepita?
Unico plausibile neo indicabile, del soggetto e della sceneggiatura del film, è l’essere sostanzialmente un “film per ricchi”, privo di qualsiasi riferimento al sociale, nel senso che descrive una Los Angeles di gente notevolmente agiata, senza problemi economici, dove non compare un qualche povero o diseredato e i cui unici problemi, delle persone, paiono esser quelli dell’anima e della mente; ma ciò, si potrebbe obiettare, non era, semmai, il problema anche della Vienna di Sigmund Freud, quando il Maestro voleva dare una plausibile descrizione dell’apparato psichico? La speranza, pertanto, è che la “mente di Lei” illumini anche coloro che governano i destini dell’umanità tutta!
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enzo70
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sabato 29 marzo 2014
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l'amore in un futuro che ci auguriamo lontano
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La solitudine e l’angoscia della vita di Theodore trovano il rimedio in una nuova compagna: il suo nome è Samantha, voce dolce, suadente ed intrigante, quella di Scarlett Johansonn nell’edizione in lingua originale, lei, come il titolo del film, capisce il suo uomo; un unico problema, Samantha è una donna virtuale, anzi un nuovo sistema operativo. Un’evoluzione del rapporto virtuale, quello quando uomo e donna si parlano attraverso un pc: questa volta manca proprio la donna, l’amore trova risposte, ma sono bit, intelligenti, ma sempre bit. Il primo merito del film è quello di avere dato spazio a Joaquin Phoenix, che trova in questo film l’ispirazione per un’interpretazione magnifica.
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La solitudine e l’angoscia della vita di Theodore trovano il rimedio in una nuova compagna: il suo nome è Samantha, voce dolce, suadente ed intrigante, quella di Scarlett Johansonn nell’edizione in lingua originale, lei, come il titolo del film, capisce il suo uomo; un unico problema, Samantha è una donna virtuale, anzi un nuovo sistema operativo. Un’evoluzione del rapporto virtuale, quello quando uomo e donna si parlano attraverso un pc: questa volta manca proprio la donna, l’amore trova risposte, ma sono bit, intelligenti, ma sempre bit. Il primo merito del film è quello di avere dato spazio a Joaquin Phoenix, che trova in questo film l’ispirazione per un’interpretazione magnifica. Non era facile, anzi, gran parte delle oltre due ore consistono in Theodore che parla con un telefono in mano. Ma con quel telefono si emoziona, si innamora, gioisce, si dispera, condivide e vive. Il ritorno al mondo reale c’è solo quando pensa alla storia finita con la moglie, e si capisce la disperazione di un matrimonio fallito, e quando parla con la sua migliore amica. Un film geniale nell’idea e ben diretto da Spike Jonze che di film ne fa pochi, ma riesce sempre a dargli un valore aggiunto. Lei è un futuro che ci auguriamo rimanga remoto.
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stefano_maca
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lunedì 31 marzo 2014
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lei: un cyborg che spiega l'animo umano.
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L'idea è brillante, l'interpretazione è lodevole, la sceneggiatura da..da Oscar. Stiamo parlando di "Lei" ( non nasconderò il mio rammarico per non aver conservato in Italia il titolo originale "her") il film che parla, attraverso gli "auricolari" di uno smartphone, delle emozioni dell'essere umano in uno scenario futuristico nemmeno tanto lontano. Un mondo pieno zeppo di computer e giochi 3d capaci di immergere la vita di una persona qualunque in una esperienza tridimensionale; eppure un mondo dove si ritrova il piacere per le piccole cose: l'email e allo stesso tempo le classiche lettere, lo skyline delle metropoli e il panorama innevato d'inverno, le false relazioni in una chat e l'abbraccio spensierato di una bimba gioiosa.
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L'idea è brillante, l'interpretazione è lodevole, la sceneggiatura da..da Oscar. Stiamo parlando di "Lei" ( non nasconderò il mio rammarico per non aver conservato in Italia il titolo originale "her") il film che parla, attraverso gli "auricolari" di uno smartphone, delle emozioni dell'essere umano in uno scenario futuristico nemmeno tanto lontano. Un mondo pieno zeppo di computer e giochi 3d capaci di immergere la vita di una persona qualunque in una esperienza tridimensionale; eppure un mondo dove si ritrova il piacere per le piccole cose: l'email e allo stesso tempo le classiche lettere, lo skyline delle metropoli e il panorama innevato d'inverno, le false relazioni in una chat e l'abbraccio spensierato di una bimba gioiosa.. La vita di Theodore, uno scrittore a pagamento che intraprende delle relazioni epistolari con soggetti a lui conosciuti soltanto attraverso i ricordi dei suoi clienti, è triste e vuota: reduce da un quasi divorzio ormai ha perso tutta l'euforia che prima lo caratterizzava e si autodefinisce "triste e malinconico". La monotona routine della sua vita procede piatta e sconsolata prima di imbattersi in Samantha: la "Siri" del trentunesimo secolo creata da un nuovo sistema operativo appositamente per lui. Inizialmente Lei sbriga per lui le faccende alla stregua di una segretaria, ma la particolarità di Samantha va oltre tutto quello che abbiamo sempre immaginato riguardo i cyborg: lei è capace di apprendere e rielaborare le emozioni alla pari di un essere umano.
Questa sua caratteristica si fonderà bene con la ricerca dell'amore di Theodore, infatti i due presto si innamoreranno..l'una dell'altro! Sebene questo tipo di relazioni potrebbero creare scalpori in un mondo come il nostro, nello scenario futuristico di "Her" la cosa sembra molto più standardizzata.
Non ho intenzione di svelare la trama del film che non è per niente scontata come potrebbe sembrare a primo acchitto, piuttosto preferirei ringraziare il regista Spike Jonze per avermi regalato 126 minuti di svago tra risate, lunghi monologhi pieni di patos e molto commuoventi, e estasi davanti all'imbarazzo e la scoperta della vita per un uomo come Theodore. Una sceneggiatura veramente accattivante, capace di catturare l'attenzione in una morsa molto stretta simile a quella sensazione che segue la lettura di un libro che si desidera non finisca mai. Le lunghe chiaccherate tra Theodore e Samantha spiegano a parole l'amore che nessuno di noi è capace di raccontare; l'emozione struggente per l'amore impossibile tra i due ci costringe a riflettere sulle esperienze personali e la vita di ognuno. Alla fine del film, per vicissitudini varie, la scena finale ci spinge a spogliarci di tutto quello in cui abbiamo sempre creduto e a dover ricominciare tutto da zero, con un piccolo gesto come "scusarsi" per mettere da parte rancori e malumori che ci costringono ad una vita vissuta quasi a metà.
Un film bellissimo.. da vedere assolutamente.
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giorgia magario
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mercoledì 2 aprile 2014
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un film che suscita nostalgia per il futuro
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Her è un bel film, che in qualche modo ci rende possibile ancora credere nell'amore, anche se questo sopraggiunge da una fonte alquanto inaspettata. In un mondo futuro,ma non così distante da quello in cui viviamo oggi, popolato da uomini e macchine, computer che cantano, respirano, parlano come noi; dove il limite tra la vita reale e quella virtuale si fa sempre più sottile; in quel mondo che può spaventare per la sua vastità, ecco che scopriamo come sia inaspettato, pazzesco e incredibile l'amore.
Che cosa realmente ci distanzi da quella vita io non posso saperlo, non so se davvero arriveremo a conoscere computer e sistemi operativi che ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, con i quali affrontare difficoltà e condividere la vita di tutti i giorni, computer a cui manca solo un corpo per essere come noi, che ci stanno vicini in ogni momento nascosti nelle nostre orecchie.
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Her è un bel film, che in qualche modo ci rende possibile ancora credere nell'amore, anche se questo sopraggiunge da una fonte alquanto inaspettata. In un mondo futuro,ma non così distante da quello in cui viviamo oggi, popolato da uomini e macchine, computer che cantano, respirano, parlano come noi; dove il limite tra la vita reale e quella virtuale si fa sempre più sottile; in quel mondo che può spaventare per la sua vastità, ecco che scopriamo come sia inaspettato, pazzesco e incredibile l'amore.
Che cosa realmente ci distanzi da quella vita io non posso saperlo, non so se davvero arriveremo a conoscere computer e sistemi operativi che ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, con i quali affrontare difficoltà e condividere la vita di tutti i giorni, computer a cui manca solo un corpo per essere come noi, che ci stanno vicini in ogni momento nascosti nelle nostre orecchie...Computer pronti a scoprire il mondo come bambini, computer curiosi che si piegano sotto i sentimenti, computer muniti di coscienza, ma senza un briciolo di malignità o desiderio di prevaricazione.
Forse è questo a cui il film vuole mirare, schierandosi contro una non troppo taciuta linea di tendenza che prende di mira le nuove e più avanzate tecnologie, riportandoci ad una concezione dell'amore che è paradossalmente primordiale e priva di ogni pregiudizio insensato, sia nei confronti dei computer ma, e soprattutto, degli esseri umani.
Mi è capitato di riascoltare una canzone della colonna sonora del film, che ho scoperto intitolarsi Moon. Precisamente quella composta da Samantha, il sistema operativo la cui splendida voce appartiene a Scarlett Johansson, verso la fine del film. E mi sono ritrovata con una lacrima al bordo dell'occhio che non so proprio spiegare da dove sia venuta, e subito dopo ne è scesa un'altra. Di per se il film non è commovente, o almeno non credo sia quello l'intento primario, ma l'ingenua dolcezza di quella musica artificiale deve avermi, come si suol dire, toccato qualche corda nel profondo e risvegliato un sentimento di nostalgia che non sapevo di poter provare...: quello per il futuro. Gli esseri umani che popolano quel mondo non sono affatto diversi da come siamo noi ora eccetto che per un particolare: una mente più aperta, più sensibile. Un obbiettivo da raggiungere insomma, e da non temere.
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marinabelinda
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mercoledì 2 aprile 2014
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il dovere di crescere
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Leggere notizie su questo film può far pensare a qualche cosa di già visto. Ed effettivamente è così, mi sono venuti subito alla mente film come Strange Days, I love you, ma anche Wall E, Ginger e Fred e -ovviamente- Blade Runner.
Poi però non si può che rimanere incantati dalla poesia di questo film, dove il corpo è importante anche quando non si vede, ma dove, prevalgono, soprattutto le sensazioni e le emozioni.
La parola ricorrente è 'crescita': Theodore e la moglie volevano crescere insieme e non ci sono riusciti, lasciando una ferita enorme nell'anima di Thoedore.
Samantha -che non è umana, ma è paradossalmente è umanissima- vuole crescere, e sperimentare quanto più possibile, soffrendo per l'assenza del corpo e superando la sofferenza stessa.
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Leggere notizie su questo film può far pensare a qualche cosa di già visto. Ed effettivamente è così, mi sono venuti subito alla mente film come Strange Days, I love you, ma anche Wall E, Ginger e Fred e -ovviamente- Blade Runner.
Poi però non si può che rimanere incantati dalla poesia di questo film, dove il corpo è importante anche quando non si vede, ma dove, prevalgono, soprattutto le sensazioni e le emozioni.
La parola ricorrente è 'crescita': Theodore e la moglie volevano crescere insieme e non ci sono riusciti, lasciando una ferita enorme nell'anima di Thoedore.
Samantha -che non è umana, ma è paradossalmente è umanissima- vuole crescere, e sperimentare quanto più possibile, soffrendo per l'assenza del corpo e superando la sofferenza stessa. Ha la curiosità cognitiva di Prometeo. Ha la sete di sapere dell'essere umano pur non essendolo.
E allora, perdonatemi l'azzardo, non ho potuto che ricordare la sirenetta, forse più quella della favola di Andersen, che non ad Ariel di Walt Disney. Come la Sirenetta vuole camminare, vuole vedere, conoscere, ma alla fine, proprio come la sirenetta, è destinata a trasformarsi.
Anche Samantha, come tutti gli OS, si trasforma: in cosa non si sa. La sua volontà di conoscere si è spinta al limite, ma ha contribuito a far prendere coscienza a Theodore di quello che è. E davvero Theodore è un personaggio così candido da lasciare incantati, e forse proprio per questo molto più commovente del protagonista di Mr.Beaver che aveva qualche analogo problema di relazione.
L'uno si lega al processore Samantha, l'altro a un giocattolo. Ma Samantha non è un giocattolo, anzi, è qualcosa di sempre più complesso che fa attraversare al protagonista ogni stadio della crescita umana, fino a fare superare anche a lui quello che potrebbe essere il limite del dolore e della vera solitudine.
Il finale è pieno di speranza: 'sono due solitudini che si avvicinano' (come dice una vecchia canzone di Enrico Ruggeri).
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rubilai
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sabato 5 aprile 2014
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cosa è reale e cosa virtuale?
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Tramite un espediente narrativo, un software iperevoluto, Jonze regala un film sui sentimenti e le emozioni umane che offre spunti niente affatto banali. La pellicola disegna un futuro credibile in cui ad essere rivoluzionate sono le relazioni interpersonali eppure non le emozioni provate. Ci si interroga su cosa possa definirsi "reale" e cosa no. Bella la colonna sonora. Non perdetelo.
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il cascio
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mercoledì 7 maggio 2014
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intelligenza artificiale, amore reale
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Her è probabilmente una delle storie d’amore più particolari e più originali che io abbia mai visto. La rivoluzione tecnologica è riuscita a creare, nel futuro non molto lontano di Jonze, un sistema operativo in grado di provare emozioni e nel caso dell’introverso protagonista Theodore anche di provare amore.
Grazie alla debolezza di Theodore, separato dalla moglie ma che vuole ancora innamorarsi, e la voglia di provare emozioni fisiche di Samantha, il sistema operativo, nasce un amore intenso e sincero ma destinato a non durare nel tempo.
Questa storia d’amore stramba fa riflettere non solo per la sincerità delle emozioni provate da Theodore e Samantha, ma anche perché ormai da anni la tecnologia sta prendendo largo in gran parte delle azioni della nostra vita privandoci delle emozioni umane e delle relazioni sociali.
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Her è probabilmente una delle storie d’amore più particolari e più originali che io abbia mai visto. La rivoluzione tecnologica è riuscita a creare, nel futuro non molto lontano di Jonze, un sistema operativo in grado di provare emozioni e nel caso dell’introverso protagonista Theodore anche di provare amore.
Grazie alla debolezza di Theodore, separato dalla moglie ma che vuole ancora innamorarsi, e la voglia di provare emozioni fisiche di Samantha, il sistema operativo, nasce un amore intenso e sincero ma destinato a non durare nel tempo.
Questa storia d’amore stramba fa riflettere non solo per la sincerità delle emozioni provate da Theodore e Samantha, ma anche perché ormai da anni la tecnologia sta prendendo largo in gran parte delle azioni della nostra vita privandoci delle emozioni umane e delle relazioni sociali.
La fotografia e la scenografia del film sono a dir poco spettacolari e suggestive, per non parlare dell’ambientazione urbana di Shangai e Los Angeles che fanno sembrare tutto più futuristico ma pur sempre vicino a noi.
Altra nota assolutamente positiva è la colonna sonora degli Arcade Fire e la canzone di Karen O “The Moon Song”, bellissima la scena dove viene cantata da Samantha e Theodore a segno dell’amore intenso che c’è tra di loro, proprio come due persone.
Spike Jonze in questo capolavoro è riuscito a creare una storia d’amore sincera e reale tra un uomo e una macchina che però ovviamente non può durare a causa dell’incompatibilità. A mio avviso il regista ha lanciato un messaggio forte e chiaro, le macchine non potranno mai prendere il posto di una persona a livello emotivo, infatti il finale è abbastanza chiaro e lascia immaginare cosa succede facendo capire che le emozioni fisiche anche il gesto più semplice come appoggiare la testa sulla spalla dell’altro è un’azione che un sistema operativo non potrà mai fare.
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gio campo
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martedì 8 luglio 2014
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lei e me
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Se chiudessimo gli occhi per un attimo, solo per un secondo, cosa vorreste essere?
Lei, se stessi in tre lettere.
Jonze ci porta in un percorso lontano da ogni barriera, da ogni forma di pregiudizio, e ci dice una semplice cosa: ascoltate il mondo.
Si, ascoltate il mondo, ascoltate voi stessi e gli altri.
E’ un gioco di piani d’ascolto infatti, le immagini si susseguono ad un ritmo delicatissimo, è il risultato, è far parte di questo “folle” triangolo, tra Phoneix e la Johansson, o meglio la dolce Micaela Ramazzotti.
Ma non solo, è la risposta al paradosso, al fatto di quanto si possa amare illimitatamente e indistintamente.
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Se chiudessimo gli occhi per un attimo, solo per un secondo, cosa vorreste essere?
Lei, se stessi in tre lettere.
Jonze ci porta in un percorso lontano da ogni barriera, da ogni forma di pregiudizio, e ci dice una semplice cosa: ascoltate il mondo.
Si, ascoltate il mondo, ascoltate voi stessi e gli altri.
E’ un gioco di piani d’ascolto infatti, le immagini si susseguono ad un ritmo delicatissimo, è il risultato, è far parte di questo “folle” triangolo, tra Phoneix e la Johansson, o meglio la dolce Micaela Ramazzotti.
Ma non solo, è la risposta al paradosso, al fatto di quanto si possa amare illimitatamente e indistintamente.
Di quanto questo mondo abbia ancora bisogno di persone capaci di amare e perdonare.
La camera sa stringere e allentare la presa nelle condizioni soffocanti e di libertà, mettendo al centro le contraddizioni, le paure, i valori.
Le musiche sono vere fotografie, veri fotogrammi di esperienze che vivono in quel momento e cercano di farsi spazio per costruirsi un corpo, un volto.
Ci serviva un Joaquin Phoneix per un Theodore che sente con gli occhi, e Jonze chiama a se proprio quel volto spigoloso e segnato da ogni impercettibile emozione.
Ma di gentile contorno, c’è Amy, ed Amy anche nella vita, la speranza nella solitudine e nella lotta interiore di Theodore.
Lei, Her, riesce a trasmettere tutto ciò che di buono c’è del sentimento umano, e di quanto esso, il sentimento, sia reale, e sia appunto l’anima stessa di ognuno di noi.
Se dovessimo immaginare solo per un attimo, ecco, basterebbe solo questo: immaginare.
Immaginare di poter volere, di poter sperare, crederci, amare.
Il cuore non è una scatola che viene riempita, aumenta di volume ad ogni nuovo amore, ad ogni nuova Lei.
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evildevin87
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mercoledì 17 settembre 2014
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distopia emozionale
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Se si possa provare qualcosa per una macchina e/o se quest'ultima possa a sua volta provare sensazioni ed emozioni ce le eravamo già chiesti con Blade Runner. Ma se il poc'anzi citato capolavoro della fantascienza dava una riflessione che verteva sul quadro generale della questione, in questo "Lei" (che francamente preferisco chiamare col titolo originale) si analizza più nello specifico la questione delle emozioni, in particolare dell'amore. La cosa interessante è che non ci si concentra solo sul computer Samantha (doppiata in originale da Scarlett Johansonn e in italiano da Micaela Ramazzotti) ma il film pone riflessioni anche sugli esseri umani. Ebbene, nel futuro che vediamo in questa pellicola, le emozioni, le sensazioni e il contatto con le altre persone sono scardinate alla base.
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Se si possa provare qualcosa per una macchina e/o se quest'ultima possa a sua volta provare sensazioni ed emozioni ce le eravamo già chiesti con Blade Runner. Ma se il poc'anzi citato capolavoro della fantascienza dava una riflessione che verteva sul quadro generale della questione, in questo "Lei" (che francamente preferisco chiamare col titolo originale) si analizza più nello specifico la questione delle emozioni, in particolare dell'amore. La cosa interessante è che non ci si concentra solo sul computer Samantha (doppiata in originale da Scarlett Johansonn e in italiano da Micaela Ramazzotti) ma il film pone riflessioni anche sugli esseri umani. Ebbene, nel futuro che vediamo in questa pellicola, le emozioni, le sensazioni e il contatto con le altre persone sono scardinate alla base. Il contatto reale con persone reali è una cosa tranquillamente rimpiazzabile grazie al digitale. Gente che ha rapporti sessuali via telefono o col proprio sistema operativo super intelligente, o anche gente che preferisce far scrivere lettere d'amore a delle società adibite a questo compito. Gente che ha come partner un sistema operativo in grado di interagire, apprendere, provare emozioni e sensazioni (piccola postilla: francamente mi sembra alquanto surreale che una macchina possa provare un orgasmo, ma va beh). E alla fine quale miglior soggetto di un uomo come Theodore (Joaquin Pheonix), sentimentalmente sconfitto e che quasi si adagia in questa sua condizione di essere apatico, chiuso in sè stesso e che lavora come impiegato in una società che scrive lettere d'amore, per meglio mostrare questa storia? Il personaggio non ha certo la pretesa di restare simpatico allo spettatore: ci ritroviamo molto spesso a provare profonda pena e rabbia per lui per essere così dannatamente impedito, per questo suo preferire un contatto fittizio rispetto a uno reale. E' una persona fondamentalmente debole, repressa, assoggettata da questa distopia emozionale che è la società in cui vive. Ed è un sistema operativo a colmare il suo vuoto interiore. Ma alla fine è tutto una mera illusione, e l'inevitabile sopraggiunge prima o poi.
Sul film posso dire quanto segue: nel suo complesso funziona e da' degli ottimi spunti di riflessione, anche se in molti punti esaspera fin troppo e potrebbe anche stuccare a qualcuno. La fotografia con questa predominanza del colore rosso conferisce al tutto un'atmosfera estremamente incalzante, così come il lavoro di regia di Spike Jonze. Per quanto mi riguarda, il primo vero film di fantascienza da qualche anno a questa parte.
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