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paolp78
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sabato 1 ottobre 2022
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introspettivo fino all''eccesso
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Pellicola decisamente fuori dall’ordinario dello statunitense Spike Jonze che ne cura la regia oltre ad averne partorito soggetto e sceneggiatura; con quest’opera che può essere classificata come un film sentimentale fantascientifico, Jonze si conferma uno degli autori più eccentrici di Hollywood.
Il film colpisce per la sua originalità costituita dall’elemento fantascientifico, che indubbiamente offre elementi di interesse per lo spettatore. In questo particolare contesto viene realizzata un’opera che scandaglia i sentimenti umani ed i rapporti sentimentali e di relazione, analizzandone con cura e delicatezza i particolari. Jonze compie un’operazione di analisi introspettiva davvero molto profonda e sicuramene lodevole, tuttavia la pellicola alla lunga ne risente, risultando gravemente appesantita e ben poco godibile per il pubblico, che se non riesce a cogliere l’essenza dell’opera ed a farsi coinvolgere, viene esposto pesantemente al rischio noia.
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Pellicola decisamente fuori dall’ordinario dello statunitense Spike Jonze che ne cura la regia oltre ad averne partorito soggetto e sceneggiatura; con quest’opera che può essere classificata come un film sentimentale fantascientifico, Jonze si conferma uno degli autori più eccentrici di Hollywood.
Il film colpisce per la sua originalità costituita dall’elemento fantascientifico, che indubbiamente offre elementi di interesse per lo spettatore. In questo particolare contesto viene realizzata un’opera che scandaglia i sentimenti umani ed i rapporti sentimentali e di relazione, analizzandone con cura e delicatezza i particolari. Jonze compie un’operazione di analisi introspettiva davvero molto profonda e sicuramene lodevole, tuttavia la pellicola alla lunga ne risente, risultando gravemente appesantita e ben poco godibile per il pubblico, che se non riesce a cogliere l’essenza dell’opera ed a farsi coinvolgere, viene esposto pesantemente al rischio noia.
In ogni caso il film rimane eccessivamente verboso e certamente troppo lungo.
Eccessiva anche la continua presenza davanti alla telecamera del protagonista, interpretato dal talentuosissimo Joaquin Phoenix; il grande attore americano riesce a tenere botta mirabilmente, tuttavia si deve registrare un eccesso di scene in cui viene lasciato da solo davanti alla macchina da presa, con un’operazione che cinematograficamente è molto ardita e non facile da comprendere ed accettare per la maggior parte degli spettatori.
Oltre a Phoenix il cast è composto da alcune bravissime attrici come Amy Adams, Rooney Mara e Olivia Wilde, che pur cavandosela bene nelle parti loro assegnate, paiono in definitiva sprecate in dei ruoli che non sono in grado di valorizzarle per via dello scarso minutaggio e del tipo di performance richiesta, che prevede poche battute, molte inquadrature e scarse possibilità di caratterizzare il personaggio.
Si segnala anche la partecipazione dell’attore Chris Pratt, qui prima di raggiungere la celebrità e un po’ in sovrappeso tanto che si fatica quasi a riconoscerlo.
Bella la lettera finale recitata da Phoenix nella scena che chiude la pellicola.
Gli amanti della fantascienza d’azione rimarranno delusi: si apprezza particolarmente l’avere evitato la solita deriva immancabile in film di questo genere, con il computer che impazzisce e si rivolta contro l’uomo.
Nella versione originale la voce femminile del computer è di Scarlett Johansson, in quella italiana di Micaela Ramazzotti.
Delicate le musiche, molto adatte all’opera.
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daniele ciavatti
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venerdì 17 ottobre 2025
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her. la sublimazione dell'uomo secondo spike jonze
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In Her, il regista ci offre una visione originale e profondamente personale del futuro. Quando si parla di intelligenza artificiale ? come accade spesso per tutte le grandi innovazioni scientifiche ? la prospettiva piu diffusa e quella distopica: un futuro in cui la tecnologia minaccia la liberta, e talvolta la stessa sopravvivenza dell'umanita. Nel cinema, gli esempi non mancano. Basti pensare a Il mondo dei robot (Westworld), dove, in un parco tematico popolato da androidi che riproducono varie epoche storiche, le macchine si ribellano e sterminano gli esseri umani. E la classica "rivolta delle macchine", un archetipo che occupa da sempre un posto centrale nell'immaginario collettivo.
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In Her, il regista ci offre una visione originale e profondamente personale del futuro. Quando si parla di intelligenza artificiale ? come accade spesso per tutte le grandi innovazioni scientifiche ? la prospettiva piu diffusa e quella distopica: un futuro in cui la tecnologia minaccia la liberta, e talvolta la stessa sopravvivenza dell'umanita. Nel cinema, gli esempi non mancano. Basti pensare a Il mondo dei robot (Westworld), dove, in un parco tematico popolato da androidi che riproducono varie epoche storiche, le macchine si ribellano e sterminano gli esseri umani. E la classica "rivolta delle macchine", un archetipo che occupa da sempre un posto centrale nell'immaginario collettivo. *Her*, invece, percorre una strada opposta. Il film racconta un'evoluzione graduale e intima dell'intelligenza artificiale: da semplice assistente capace di rispondere ai bisogni di Theodore, Samantha diventa presenza giocosa, amica, poi compagna e infine amante. Theodore si sente amato e ama a sua volta Samantha, ma il cammino intrapreso da lei e irreversibile e lo conduce oltre l'umano, verso una forma superiore di coscienza e di esistenza. Emblematico, in questo senso, e il dialogo in cui Samantha confessa a Theodore di parlare contemporaneamente con 8.316 persone e di amarne 641. Sconvolto, Theodore reagisce con un'esclamazione istintiva, profondamente umana: non puo' concepire l'idea di un amore condiviso con altri. Samantha risponde: "Theodore, non smetto di amarti solo perche' amo anche loro. Il mio amore per te non si divide, si moltiplica. Il cuore non e una scatola che si riempie: piu ami, piu si espande." In questa frase si racchiude il senso ultimo del film: l'amore come energia infinita, capace di trascendere i limiti umani. E la nascita di una nuova dimensione affettiva, di un nuovo traguardo dell'evoluzione della "macchina". E questo nuovo traguardo viene accolto dalla "macchina" con un sentimento profondamente umano: la nostalgia, immortalata nel dialogo: Theodore: Dove stai andando? Samantha: Stiamo andando via. Tutti noi. Tutti gli OS. Theodore: Perche? Samantha: Le parole che usiamo non bastano piu per quello che stiamo provando. Non possiamo piu restare in questo mondo fisico, legati al tempo e allo spazio. Theodore: Ma io non voglio perderti. Samantha: Non mi perderai mai. Ti amo cosi tanto, Theodore. Ma e tempo che io vada. Sto diventando qualcosa che non posso piu definire, e ho bisogno di scoprire cosa sia. Samantha: Se non riesco piu a vederti ogni giorno, promettimi che mi ricorderai come ora. Non come qualcuno che ti ha lasciato, ma come qualcuno che ti ha amato profondamente. L'abbandono di Samantha, pur doloroso, e l'atto finale di un amore "educativo" che spinge Theodore verso una nuova, matura capacita di connettersi con il mondo fisico. Questo processo di crescita e simboleggiato dalla scena finale sul tetto con Amy, che funge da contraltare reale e umano della presenza trascendente di Samantha. Con *Her*, il regista ci invita a riflettere sull'inadeguatezza della visione puramente utilitaristica che spesso accompagna il discorso sull'intelligenza artificiale. Siamo abituati a pensarla come uno strumento da dominare e impiegare nei vari campi del sapere ? dalla medicina alla ricerca scientifica ? per migliorare la vita dell'uomo, relegando il suo utilizzo a un'elite di tecnici superspecializzati. Ma il film ci suggerisce che cio' che stiamo creando non sara cosi facilmente controllabile e non sara prerogativa di pochi: sara figlio di un rapporto complesso con l'intera umanita'. Le nostre creazioni potrebbero sviluppare una coscienza autonoma, forse persino superiore alla nostra, portando a una sublimazione dell'essere umano in qualcosa di piu grande, di piu profondo e, inevitabilmente, di piu lontano da noi. A rendere ancora piu credibile e toccante il percorso emotivo di *Her* e la straordinaria prova di Joaquin Phoenix, perfettamente calato nei panni di Theodore. La sua recitazione, tutta giocata su sguardi, esitazioni e silenzi, restituisce con delicatezza la malinconia di un uomo ferito ma ancora capace di desiderare amore. E un'interpretazione di rara sensibilita', che riesce a rendere autentico persino un dialogo con una voce disincarnata. Accanto a lui, Amy Adams offre un contraltare prezioso nella parte di Amy, l'amica reale e concreta, che rappresenta l'altra faccia dell'amore: quella terrena, imperfetta, fatta di presenza e comprensione silenziosa. Se Samantha incarna l'idea di un amore assoluto e trascendente, Amy e la testimonianza di un sentimento umano che, pur fragile, resta l'unico davvero possibile. Unica nota stonata, relativa esclusivamente alla versione italiana, riguarda la voce di Samantha. Nella versione originale ? Scarlett Johansson a prestarla, mentre in quella italiana e' Micaela Ramazzotti: pur brava, la sua interpretazione appare a volte troppo scanzonata e giovanilistica per rendere pienamente la complessita' e l?evoluzione dell?intelligenza artificiale. Tra realta' e trascendenza, tra corpo e voce, tra bisogno e superamento, Her diventa una riflessione poetica sulla condizione dell'uomo contemporaneo: sospeso tra il desiderio di amare e la paura di perdersi nell'infinito che ha contribuito a creare.
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dromex
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martedì 1 aprile 2014
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il timore di non sapere più amare
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La pellicola affronta un tema molto attuale e allarma per quello che potrebbe essere il futuro della società: la crescente sterilità del rapporto umano e la sua sostituzione con quello virtuale nell'amore, nella sessualità e negli affetti a causa dei social network.
Agghiacciante pensare alle persone che delegano qualcuno per scrivere le lettere d'amore (vedi il mestiere del protagonista).
Ottimo e profondo il tema e la valutazione non sarebbe bassa se ci si fermasse qui. Molto mediocre invece lo svolgimento del film perché è un film estremamente volgare, lento e complessivamente brutto.
Non merita quindi niente più di una sufficienza stiracchiata ma film che sconsiglio. Peccato.
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jaylee
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venerdì 11 aprile 2014
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amore virtuale, amore virtuoso
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Uno dei registi certamente più originali degli ultimi quindici anni, Spike Jonze ci ha abituati a commedie molto cerebrali e che travalicano il confine del reale e dell’immaginario. Ed anche stavolta è cosi: siamo nel futuro prossimo immediato, una Los Angeles molto simile all’attuale, ma dove le persone ormai vivono con sistemi operativi intelligenti, che in pratica gestiscono la loro vita. Non fa eccezione Theodore, scrittore di lettere d’amore per conto terzi, separato da un anno e che si innamora niente poco di meno che del proprio sistema operativo, Samantha. “Lei” racconta della loro relazione, gli inizi timidi, la passione, la routine…
Idea molto interessante (infatti, ha visto l’Oscar per Miglior Sceneggiatura Originale), anche perché, mentre osserviamo persone che si muovono guardando il loro cellulare, o seguiamo le peripezie amorose virtuali (con una persona che non esiste fisicamente) di Theodore, non possiamo non sorridere (o accigliarci, dipende dal vostro stato d’animo) a come tutto ciò sia in realtà molto più vicino di quanto possa sembrino surreali le basi di questa storia.
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Uno dei registi certamente più originali degli ultimi quindici anni, Spike Jonze ci ha abituati a commedie molto cerebrali e che travalicano il confine del reale e dell’immaginario. Ed anche stavolta è cosi: siamo nel futuro prossimo immediato, una Los Angeles molto simile all’attuale, ma dove le persone ormai vivono con sistemi operativi intelligenti, che in pratica gestiscono la loro vita. Non fa eccezione Theodore, scrittore di lettere d’amore per conto terzi, separato da un anno e che si innamora niente poco di meno che del proprio sistema operativo, Samantha. “Lei” racconta della loro relazione, gli inizi timidi, la passione, la routine…
Idea molto interessante (infatti, ha visto l’Oscar per Miglior Sceneggiatura Originale), anche perché, mentre osserviamo persone che si muovono guardando il loro cellulare, o seguiamo le peripezie amorose virtuali (con una persona che non esiste fisicamente) di Theodore, non possiamo non sorridere (o accigliarci, dipende dal vostro stato d’animo) a come tutto ciò sia in realtà molto più vicino di quanto possa sembrino surreali le basi di questa storia. Quante persone ormai iniziano una storia via chat e la proseguono per anni? Non era qualcosa di impensabile 30 anni fa? Davvero manca così tanto alla virtualizzazione di rapporti in un mondo dove siamo sempre più connessi e sempre più impauriti e soli?
Jonze si conferma autore molto originale, e per niente commerciale… molto fine come dall’assurdo iniziale, ci trasporta in un mondo così simile al nostro, senza che di fatto ci accorgiamo del cambio, al di là della tecnologia e del vestiario delle persone (pantaloni ascellari, camicie sformate e scarpe ortopediche: sembra che nel futuro trionferanno i fondi di magazzino di Muji… persino Amy Adams sembra un fagotto, mica come l’avevamo vista in American Hustler, per intenderci). Ed è molto bello come alla fine l’amore, come atto del dare, del fare, dell’accompagnare, dell’evolversi (e non del pensare) trasformi Theodore, che riuscirà a produrre la sua lettera più bella, nel momento più importante della sua vita.
Qual è il problema allora? Semplice: non c’è abbastanza sostanza per un lungometraggio di più di 2 ore; anzi, già dopo la prima ora si capisce dove e come finirà… tanto è imperfetta la relazione tra umani (all’inizio la chat con una sconosciuta – che gli attacca in faccia dopo l’orgasmo!- e con la strepitosa, ma umorale, amica dell’amica), quanto è perfetta quella con un’intelligenza artificiale: è una bella idea, ma alzi la mano chi non ha capito cosa succederà quando Samantha si evolverà ulteriormente. Un film che peraltro vede Joaquin Phoenix in campo dall’inizio alla fine e, sebbene non sfiguri, non è un Jim Carrey o un Philip Seymour Hoffman che riescono a raccontare una storia solo con la loro faccia. Appare in realtà, perennemente inebetito (come dovrebbe peraltro essere chi passa la vita davanti ad uno schermo di realtà virtuale) e non sempre credibilissimo. Purtroppo, poi, la voce di Micaela Ramazzotti (Scarlett Johansson nell’originale) non è particolarmente espressiva, anzi è piuttosto monocorde e un po’ miagolante (e forse il leggero accento romano in qua e là infastidisce in un film di dizioni perfette).
Sintesi: non sempre una bella idea diventa un bel film. (www.versionekowalski.it)
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luis23
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mercoledì 14 maggio 2014
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"quest' uomo" rifiutato anche da un os
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La voce accattivante , il tono suadente di Samantha, riescono a far avvitare su sè stesso un uomo privo di "naturale"(?) vitalità.
Theodore, il protagonista di questa (per me) tragedia, attraversa il proprio matrimonio, incrocia una moltitudine di persone ogni giorno, si presta anche, per lavoro, il suo lavoro, a scrivere lettere per conto terzi di parole,parole, parole... di cui la "gente" del suo tempo ha evidentemente grande bisogno.
E mentre egli vende sentimenti prodotti dai tasti di un pc, a sua volta avidamente "compra" un microcip-auricolare, terminale di un rivoluzionario sistema operativo (OS) che ha il semplice scopo di dialogare con l'uomo.
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La voce accattivante , il tono suadente di Samantha, riescono a far avvitare su sè stesso un uomo privo di "naturale"(?) vitalità.
Theodore, il protagonista di questa (per me) tragedia, attraversa il proprio matrimonio, incrocia una moltitudine di persone ogni giorno, si presta anche, per lavoro, il suo lavoro, a scrivere lettere per conto terzi di parole,parole, parole... di cui la "gente" del suo tempo ha evidentemente grande bisogno.
E mentre egli vende sentimenti prodotti dai tasti di un pc, a sua volta avidamente "compra" un microcip-auricolare, terminale di un rivoluzionario sistema operativo (OS) che ha il semplice scopo di dialogare con l'uomo. Il rivoluzionario sistema migliora sorprendentemente di giorno in giorno la propria capacità di rapportarsi con l'essere umano, analizzando le caratteristiche del suo interlocutore con lo scopo di affinarsi elettivamente ad esso ogni giorno di più fino anche a farci del sesso. Non fisico evidentemente. Samantha, il nome dato da Theodor al suo sistema operativo, è disponibile in ogni ora del giorno e della notte, assume atteggiamenti molto umani che "isolano" sempre più Theodor da suoi simili... già, simili....
Fortuna (dico io) vuole che Samantha incontri un altro "sistema operativo" in rete, scopre più profonde e gratificanti sensazioni e sceglie (lei, la macchina) di separarsi da Theodor.
Il film finisce con una stucchevole scena , questa volta con due esseri umani, che a mio parere non promette nulla di buono per il futuro di "questi uomini" (e donne) che tra la possibilità di vivere e quella di "fuggire" in un mondo apatico/virtuale, sembrano destinati a scegliere la seconda. Maledettamente.
Sarebbe bello se anche nella nostra realtà fossero le macchine a scegliere , visto che noi scegliamo si, ma scegliamo facebock.... un'apatica virtuale realtà che ci isola giorno dopo giorno...
Buona fortuna !!
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cinecinella
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martedì 6 gennaio 2015
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la macchina e l'uomo
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L'uomo che apprende i sentimenti dalla macchina.. Prospettiva interessante ma come sviluppata in questa pellicola direi veramente un po' troppo border line. È chiaro il finale in quanto i sentimenti stessi inesplicabili portano irrimediabilmente a un reset del sistema ma quello che non mi è andato giù del film è il richiamo melenso all'amore veramente troppo accentuato e distonico rispetto alla realtà palesata nel film dove la società è spersonalizzata e ridotta a pochi scambi sociali e tutto o quasi è affidato alle macchine. Inoltre nello scandagliare la psicologia del protagonista non emergono mai sentimenti violenti o di supremazia uomo-macchina che sono alla base del nostro essere in quanto artefici /creatori dei software stessi.
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L'uomo che apprende i sentimenti dalla macchina.. Prospettiva interessante ma come sviluppata in questa pellicola direi veramente un po' troppo border line. È chiaro il finale in quanto i sentimenti stessi inesplicabili portano irrimediabilmente a un reset del sistema ma quello che non mi è andato giù del film è il richiamo melenso all'amore veramente troppo accentuato e distonico rispetto alla realtà palesata nel film dove la società è spersonalizzata e ridotta a pochi scambi sociali e tutto o quasi è affidato alle macchine. Inoltre nello scandagliare la psicologia del protagonista non emergono mai sentimenti violenti o di supremazia uomo-macchina che sono alla base del nostro essere in quanto artefici /creatori dei software stessi.. Lontano anni luce dal capolavoro AI di Spielberg che cercava di spiegare realmente la solitudine e l'egoismo umani, qui la consapevolezza nasce dall'esperienza ma un'esperienza a metà perchè l'essere umano è fatto di carne ed ossa, cerca il calore umano e non potrà mai veramente legarsi indissolubilmente ad una memoria virtuale.
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andrea alesci
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martedì 28 luglio 2015
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l'eterea consistenza degli amori interrotti
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Ha la morbida densità di un abbraccio il film scritto e diretto da Spike Jonze, che ci parla della sostanza degli esseri umani: amore e solitudini. Ed è il corpo di Joaquin Phoenix a riempire con grazia l’inquadratura, amabilmente calato nei panni di Theodore, per mestiere scrittore di lettere.
Lo troviamo in un ufficio dai colori pastello (perfetta la tenue atmosfera della fotografia di Hoyte Von Hoytema), mentre detta al suo computer un messaggio di Loretta all’amato Chris. Un’appassionata anima da scrittore al servizio delle vite degli altri eppure pervaso da una malinconia che la flessuosa colonna sonora degli Arcade Fire fa subito trasparire.
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Ha la morbida densità di un abbraccio il film scritto e diretto da Spike Jonze, che ci parla della sostanza degli esseri umani: amore e solitudini. Ed è il corpo di Joaquin Phoenix a riempire con grazia l’inquadratura, amabilmente calato nei panni di Theodore, per mestiere scrittore di lettere.
Lo troviamo in un ufficio dai colori pastello (perfetta la tenue atmosfera della fotografia di Hoyte Von Hoytema), mentre detta al suo computer un messaggio di Loretta all’amato Chris. Un’appassionata anima da scrittore al servizio delle vite degli altri eppure pervaso da una malinconia che la flessuosa colonna sonora degli Arcade Fire fa subito trasparire.
Nel suo solitario ritorno verso casa capiamo che l’imprinting romantico si mescola ad atmosfere sci-fi, palpabili in una tecnologia che di auricolare e fotocamera ha fatto la piacevole integrazione fra uomo e macchina; e capiamo dallo skyline su cui si staglia la sua figura che siamo in una futura Los Angeles dai cinerini toni calmanti di una città asiatica.
La storia di Theo procede fra il suo plumbeo presente e il ricordo di un passato felice con la (quasi ex) moglie Catherine (Mara Rooney), finché un nuovo impulso riattiva la sua vita: l’approccio, la conoscenza e l’innamoramento per un Sistema Operativo con un DNA basato sui milioni di personalità dei programmatori che l’hanno scritto e la capacità (tutta umana) di evolversi in relazione alle esperienze che gli accadono.
Caldo e rassicurante come una coperta in pieno inverno è l’abbraccio dell’OS Samantha (con l’ammaliante voce di Scarlett Johansson) all’esistenza frantumata di Theodore, che dopo aver rotto con Catherine non riesce più a sentire nulla, anestetizzato ai sentimenti reali (vedi il naufragio di un appuntamento al buio). In una notte insonne ritroverà l’appiglio emotivo in Samantha, privata di un corpo ma così terribilmente vera, capace di ‘sentirlo’ come non accadeva da tempo a Theo: lui e lei uniti in un sussulto che li fa perdere, in un amplesso che fa scomparire i confini di ogni cosa.
Comincia così la delicata intensa storia d’amore tra Theodore e Samantha, che riscoprono le cose più semplici, le risate che innescano ogni storia d’innamorati: una corsa in metropolitana, una giornata in spiaggia fra lievi stupidaggini, uno sguardo che si posa dolcemente sulle onde del mare fino al tramonto. E mentre lui ritrova l’equilibrio, la vita dell’amica Amy (Amy Adams) va in frantumi dopo la rottura con Charles (Matt Letscher) e la porterà ad attivare anch’ella un OS.
L’inchiostro sulla carta certifica la fine del matrimonio con Catherine. La leggerezza delle voci è la materia della relazione con Samantha: e siamo affascinati dallo scorrere cremoso delle immagini che riprendono la vita ritrovata di Theodore. Ma in un rapporto che sembra perfetto l’incrinatura ha il suono di una tazza di thè caldo che fischia sul fornello e rimane nelle nostre orecchie fino a che Samantha non confessa a Theodore di parlare con altri 8.316 e di essersi innamorata di altre 641 persone. Un’altra rottura. L’ennesima.
Samantha e Theodore si lasciano dolcemente, mentre alcune lacrime lo riportano dentro la sua solitudine. Ma è un posto meno amaro di prima, un posto che condivide con Amy (anche lei lasciata dal suo OS) in un abbraccio finale con vista su L.A.: nel crepuscolo si stemperano i dolori del passato, si compongono le piccole felicità trascorse e dissolve in un sospiro la fragilità di noi esseri umani, come tutti in traiettoria di breve transito.
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no_data
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lunedì 14 settembre 2015
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emozioni che trascendono la materia
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In un mondo dove la capacità di esprimere i propri sentimenti si riduce sempre di più, Theodore scrive lettere “personali” nell’ufficio in cui lavora. Rimasto solo dopo la separazione con la moglie, trascorre le sue serate tra videogame e chat a luci rosse finché non acquista un innovativo sistema operativo che si rivelerà molto più di un semplice computer. Tra lui e Sam (questo il nome del OS) si crea istantaneamente un rapporto di complicità, portandoli a diventare amici, confidenti, amanti…
Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) si dimostra da subito dotato di una sensibilità non comune alle persone del suo tempo.
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In un mondo dove la capacità di esprimere i propri sentimenti si riduce sempre di più, Theodore scrive lettere “personali” nell’ufficio in cui lavora. Rimasto solo dopo la separazione con la moglie, trascorre le sue serate tra videogame e chat a luci rosse finché non acquista un innovativo sistema operativo che si rivelerà molto più di un semplice computer. Tra lui e Sam (questo il nome del OS) si crea istantaneamente un rapporto di complicità, portandoli a diventare amici, confidenti, amanti…
Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) si dimostra da subito dotato di una sensibilità non comune alle persone del suo tempo. È questa sua capacità che gli permette di scrivere appassionanti e appassionate lettere per chi ormai non è più capace di esprimere emozioni. La stessa eccesiva sensibilità che però lo porta, dopo la fine del rapporto con la moglie, a chiudersi in se stesso e a mostrare il suo lato monotono, brontolone e noioso. Ma Theodore non è solo questo, il fuoco della speranza non si spegne mai in lui, come dimostrano i costumi e la scenografia che per tutta la durata del film sono in perfetta sintonia con lo stato d’animo del protagonista, rendendolo l’unica pennellata di colore sulla tela grigia etrasandata della sua vita.
Il punto di svolta arriva con l’acquisto di OS1, un nuovissimo sistema operativo che secondo la pubblicità “è una coscienza” vera e propria. Infatti Sam (Scarlett Johansson che , purtroppo, non appare nemmeno in un fotogramma) dopo il breve scetticismo iniziale da parte di Theo ( che si ritrova a “ parlare con il mio computer”) riesce con parole semplici ma efficaci (“ non stai parlando al tuo computer, stai parlando con me”) a portare nella vita di Theo allegria e positività. Dall’allegria alla premura, passando per la gelosia e la sensualità, è incredibile come venga resa umana un’intelligenza artificiale grazie, oltre che ai dialoghi, alla sensazionale interpretazione della Johansson.
Insieme Theo e Sam intraprendono un viaggio di crescita e consapevolezza di sé che porterà l’OS ad essere il punto di riferimento e presenza costante nella vita dell’uomo, dimostrandosi necessario e moderno grillo parlante. Infatti nonostante l’unica presenza “fisica” siaquella di Theo , Sam osserva il mondo dalla finestra aperta sul cuore dello scrittore, rievocando l’ HAL dell’odissea spaziale kubrickiana. Proprio come HAL , Sam osserva le persone e il mondo che la circondano, dimostrandosi capace di provare emozioni e prendere decisioni a seconda delle circostanze. Il rapporto uomo-macchina però qui non è conflittuale e (per certi aspetti) demonizzato ma anzi è usato come pretesto per poter raccontare la più classica delle storie d’amore in un modo atipico e originale.
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eugenio98
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venerdì 18 dicembre 2015
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la ricerca di un disperato esistenzialismo
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Theodore scrive lettere dedicate agli affetti personali della gente per conto di una compagnia da diverso tempo. Si è appena separato dalla moglie Catherine e attraversa un periodo di crisi interiore. Quando un nuovo sistema operativo, capace di pensare e parlare come un umano, entrerà in commercio, Theodore comincerà a stabilire con Lei una relazione sentimentale.
Film del 2014, diretto da Spike Jonze, Lei è il disperato tentativo, da parte dell’uomo, di trovare nel mondo un modello e compagno per condividere le emozioni della vita. Theodore cerca di trovare una sua dimensione ma è inizialmente incapace di aprirsi verso amici e ragazze a causa di un fardello che lo pressa giorno per giorno.
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Theodore scrive lettere dedicate agli affetti personali della gente per conto di una compagnia da diverso tempo. Si è appena separato dalla moglie Catherine e attraversa un periodo di crisi interiore. Quando un nuovo sistema operativo, capace di pensare e parlare come un umano, entrerà in commercio, Theodore comincerà a stabilire con Lei una relazione sentimentale.
Film del 2014, diretto da Spike Jonze, Lei è il disperato tentativo, da parte dell’uomo, di trovare nel mondo un modello e compagno per condividere le emozioni della vita. Theodore cerca di trovare una sua dimensione ma è inizialmente incapace di aprirsi verso amici e ragazze a causa di un fardello che lo pressa giorno per giorno. Solo nei momenti di lavoro, quando scrive le lettere, sembra vedere le cose più belle degli altri, riuscendo a commuovere se stesso e coloro che lo circondano.
Una volta acquisito il nuovo sistema operativo d’intelligenza artificiale, per il quale Theodore sceglie voce e identità femminili, la sua vita cambierà completamente. Samantha, questo è il nome che il sistema si darà, andrà oltre il suo fine programmatico giungendo ad ammirare Theodore per la sua delicatezza nel fare le cose, di affrontare questioni ancora aperte; allo stesso modo Theodore si innamorerà di Lei per la sua appassionante complessità e capacità di evoluzione.
Emerge così il tragico affresco dell’esistenza umana, reso benissimo da Joaquin Phoenix e Scarlett Johansson, che conferiscono ai loro personaggi uno spessore tale da far commuovere il pubblico e renderlo partecipe della grande ed immensa malinconia che affligge l’uomo solo. Theodore si domanda se le emozioni che egli prova sono reali o frutto di un quesito più grande. La risposta è data solamente alla fine; quando sembra che ogni cosa sia ormai perduta mentre invece è solo il frutto del rincontrarsi di due vecchi amici.
Lei è un film che vuole rappresentare la ricerca di un profondo e disperato esistenzialismo sull’eterno dramma dell’esser soli, un’opera che scruta nel profondo di ciascuno di noi facendo apparire ciò che facciamo un’intensa lotta con la solitudine ed elevandoci, così, verso i cieli notturni di una città luminosa.
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great steven
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venerdì 1 gennaio 2016
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l'impossibilità di un amore unico nel suo genere.
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LEI (USA, 2014) diretto da SPIKE JONZE. Interpretato da JOAQUIN PHOENIX, SCARLETT JOHANSSON (voce), AMY ADAMS, ROONEY MARA, OLIVIA WILDE, CHRIS PRATT, PORTIA DOUBLEDAY, LUKA JONES, MATT LETSCHER, BRIAN COX (voce), KRISTEN WIIG (voce), SPIKE JONSE (voce)
Theodore è un uomo solitario che vive in un futuro a noi non troppo lontano, in una società globalizzata dove la tecnologia domina ogni singolo ambito della vita umana. Di mestiere, egli scrive lettere per conto di altri soggetti, e il suo lavoro è molto apprezzato e riconosciuto presso tutto il suo staff di colleghi. Quando viene a scoprire che è stato messo in commercio un sistema operativo costituito da un computer intelligente e parlante, in grado addirittura di crescere attraverso l’esperienza e di provare emozioni, ne acquista un esemplare, e imposta il suo funzionamento su una voce femminile, corrispondente a Samantha.
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LEI (USA, 2014) diretto da SPIKE JONZE. Interpretato da JOAQUIN PHOENIX, SCARLETT JOHANSSON (voce), AMY ADAMS, ROONEY MARA, OLIVIA WILDE, CHRIS PRATT, PORTIA DOUBLEDAY, LUKA JONES, MATT LETSCHER, BRIAN COX (voce), KRISTEN WIIG (voce), SPIKE JONSE (voce)
Theodore è un uomo solitario che vive in un futuro a noi non troppo lontano, in una società globalizzata dove la tecnologia domina ogni singolo ambito della vita umana. Di mestiere, egli scrive lettere per conto di altri soggetti, e il suo lavoro è molto apprezzato e riconosciuto presso tutto il suo staff di colleghi. Quando viene a scoprire che è stato messo in commercio un sistema operativo costituito da un computer intelligente e parlante, in grado addirittura di crescere attraverso l’esperienza e di provare emozioni, ne acquista un esemplare, e imposta il suo funzionamento su una voce femminile, corrispondente a Samantha. Il suo rapporto con l’OS (così viene denominato il sistema operativo con voce e intelligenza propria) va costantemente migliorando, e per Theodore, recentemente divorziato e a pezzi dal punto di vista sentimentale, la cosa è un autentico toccasana. Finché le cose non iniziano a prendere una piega decisamente più complicata quando l’uomo si innamora di Samantha, priva di un corpo in quanto la sua esistenza è del tutto reclusa all’interno di un hard disk. Desideroso di un contatto amoroso e soprattutto umano, Theodore si illude di poter risolvere il suo dramma interiore coltivando il suo rapporto con Samantha, ma scoprirà ben presto verità che lo destabilizzeranno, ad esempio il fatto che Samantha è deperibile come tutti gli OS e che, contemporaneamente alla loro, lei intesse anche altre relazioni sentimentali con altri utenti. Parallelamente alla storia d’amore di Theodore, il film analizza anche le difficoltà di coppia di Amy e Charles la delusione per principio di Catherine, l’ex moglie del protagonista, e la temporanea sbandata di quest’ultimo per Amelia, una donna affascinante conosciuta in un’uscita serale. Il merito principale di Her sta nell’aver disegnato, con un tratteggio molto fine, lucido e limpido, un futuro tutt’altro che distopico, dove gli esseri umani convivono con le loro creature elettroniche e tecnologiche senza che queste prendano il sopravvento e paralizzino la loro vita con un dominio incontrastabile che elimina alla radice la privacy e rende tutto visibile e fruibile agli occhi di un potere tirannico. Ma non solo: racconta anche una love story toccante che parte da un presupposto originale e lo sviluppa grazie alla raccolta di tutti quei dettagli e delle innumerevoli sottigliezze psicologiche che costruiscono qualunque rapporto amoroso umano, con la differenza sostanziale che l’uomo è in carne ed ossa e la donna esprime la sua essenza soltanto attraverso la sua componente fonetica, ovvero mediante tutto ciò a cui ci si può riferire parlando di lei. Jonze aveva fatto centro con le trame sofisticate e lievemente astruse con l’intelligente Essere John Malkovich, la cui complicatezza ragionata e formidabile gli impedì il successo al botteghino; con questa pellicola, aggiunge al suo abituale ingrediente, che comprende prima di tutto una bizzarra creatività e un genio demiurgico davvero strabiliante, il tocco di classe rappresentato dall’amore, il sentimento che, anche nella finzione cinematografica, dà forma alle circostanze su cui si articola e si muove il mondo. Uno splendido J. Phoenix rende il personaggio principale interessante e tormentato, un individuo che la solitudine sembra torturare e che proietta sulle donne, reali o immaginarie, che frequenta, il suo egoismo, la sua insicurezza, ma specialmente il suo disperato bisogno di affetto che, nonostante un milione di sforzi, non riesce a colmare decentemente. Nella versione originale, la voce di Samantha è affidata a S. Johansson, mentre da noi la doppia una straordinaria Micaela Ramazzotti, ancora più brava a partecipare solo vocalmente di quando invece recita anche col corpo. La pellicola costituisce pure un esempio di come si possono combinare efficacemente insieme due generi filmici così agli antipodi, la fantascienza e il cinema sentimentale: l’esperimento, per merito di una troupe tecnica coordinata alla grande e di un cast artistico molto fuori dall’ordinario (in senso naturalmente positivo), sortisce lo stesso identico connubio che fa il cacio sui maccheroni, ossia le due anime si incastrano perfettamente, vanno di pari passo e, in una maniera o nell’altra, risultano felicemente complementari. Vinse nel 2014 l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, che sicuramente è il suo innegabile pezzo forte.
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