Spike Jonze ha dato vita ad un’opera cinematografica sorprendente per quantità e qualità di contenuti, e per l’eccezionale capacità di indurre alla riflessione lo spettatore.
La pellicola disvela con pulsante rigore e mestizia un mondo proiettato in avanti nel tempo, in una Los Angeles distante una decade dalla realtà odierna. Il regista, con sapienza e sagacia, come un demiurgo, plasma lo spazio e il tempo: la verticalità dell’architettura della metropoli californiana e gli spazi aperti, alternati a frammenti di silenzio assoluto e spazi chiusi, divengono la miglior livrea per il vagone esistenzialista lanciato da Jonze, che plasma la fantascienza a misura d’uomo, quasi a voler dar conto di cosa il futuro prossimo abbia in serbo per noi.
Il protagonista, Theodore Twombly (Joaquin Phoenix, un'interpretazione essenziale, ficcante e melodica), lavora come dipendente per una società informatica che si occupa di scrivere lettere per conto terzi. Una professione, quella del paroliere, dimensionata da Jonze in un contesto spiccatamente futuribile, nel quale la tecnologia sembra poter e dover bypassare ogni sorta di scambio relazionale. Theo, sensibile e melanconico, scrive con passione e disincanto, ma non riesce a chetare quell’inquietudine interiore che avverte dopo l’allontanamento dalla compagna di una vita, sua moglie . Un’esistenza solitaria, quasi avulsa dalla realtà, con i rapporti umani ridotti al lumicino. Theo dialoga con il receptionista della propria compagnia e con l’amica-vicina di una vita, ma non va oltre a questo. Dunque, la solitudine che si misura con l’incomunicabilità: il contatto umano è pudico, mesto, breve, distaccato e disilluso.
A squarciare dolcemente la scena giunge Samantha, una coscienza artificiale chiamata OS (la voce italiana di Micaela Ramazzotti riduce senza dubbio l’empatia e la forza d’impatto sul pubblico; discorso inverso per la suadente e coinvolgente interpretazione vocale di Scarlett Johansson), pronta ad essere programmata a seconda delle necessità e mancanze individuali e ricoprire pertanto ruoli diversi: amico, compagna, agenda, servizio mailing, daily organiser, o semplicemente una voce robotica assistenziale; il tutto attivabile con un semplice click su un dispositivo auricolare ed un piccolo phone ad esso collegato.
In maniera piuttosto paradossale e grottesca Theodore e Samantha si innamorano l’uno dell’altra: può un uomo amare un sistema operativo artificiale?
È qui che Jonze ridà fiato all’ancestrale discorso platonico relativo all’anima (se per essa intendiamo quella parte immateriale ed ingenerata, distaccata dal corpo fisico e fondamento della spiritualità umana), centrandolo in una società in cui l’antitesi fra tecnologia e mondo umano è ampiamente superata, con i due piani che sono sovrapposti e interconnessi costantemente: il coronamento apologetico del tecnocentrismo moderno e il discorso esistenzialista (che a tratti profuma dello struggente Sturm und Drang tedesco) che si respirano reciprocamente.
Theodore, grazie a Samantha, si libererà dal gravoso peso del sistema di convinzioni e credenze che paiono orbitare geneticamente attorno alla natura umana e si apre all’esperienza più irrazionale, più immateriale ed inimmaginabile della propria vita. Assaporerà quell'atomo invisibile, quell'universo latente che è al di là del tempo e dello spazio, e che, in ultima analisi, è raggiungibile solo e solo attraverso un sentimento puro, incontaminato e primordiale.
Theodore accantonerà quel senso di inettitudine ed appannamento, tornerà a respirare dopo aver corso il rischio di soffocare.
Theodore scoprirà cosa significhi amare scoprendo se stessi: superare quell'eternalismo che relega in una torre d'avorio l'amore, avanzare oltre le coordinate dello spazio e del tempo. Nonostante la paradosallità degli eventi e delle circostanze (è il prodotto della scientificità e della massima applicazione tecnologica umana a ri-condurre l'uomo nell'universo dell'irrazionale), l'individuo sembra poter sfuggire ad un destino già segnato, schivando con destrezza il dramma dell'alienazione e dalla solitudine da "eterno presente".
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