Los Angeles. In un futuro imprecisato, Theodore (Joaquin Phoenix) presta servizio presto una società informatica, ha il compito di scrivere lettere per conto di terzi, e gli riesce davvero bene. Dolorosamente reduce da una rottura coniugale con Catharine (Rooney Mara), trova distrazioni in futili giochi videoludici o chat vocali piuttosto squallide con perfetti sconosciuti. Le uniche relazioni umane stabili che riesce a gestire sono quelle con i suoi colleghi di lavoro e l'amica di lunga data Amy (Amy Adams).
Lo sviluppo tecnologico ha portato all'invenzione di un sistema operativo talmente avanguardistico che è capace di percepire le emozioni umane mediante la voce del proprio utente. L'OS di Theodore si chiama Samantha (Scarlett Johansson) e sin dal loro primo virtuale incontro si instaurerà un rapporto di complicità solidissimo che finirà per varcare ogni apparente soglia di razionalità. Si rimane sbaragliati dalle abilità di Samantha, in grado proprio come gli essere umani, di apprendere dalle proprie esperienze.
In questo futuro metropolitano si consuma il dramma di Theodore, una storia che risiede tra le pareti edificate dal melò e di una fantascienza che vien subito da chiedersi per quanto ancora la si potrà considerare tale, come di qualcosa lungi dall'avverarsi. Perchè che se ne voglia o no, la storia di Theodore sembra se non attuale, di sicuro imminente. Si assiste ogni giorno allo spettacolo che il regista ci mostra in una metropoli senza identità, che si chiama Los Angeles ma che avrebbe potuto anche chiamarsi Tokyo, formicante di individui solo in apparenza chiusi in se stessi, immersi nell' urbanità quotidiana, tanto quanto nel proprio mondo socio-virtuale, fatto di auricolari, microfoni, display, posta elettronica e microcamere.
Non c'è una presa di posizione da parte del regista, non punta il dito contro il progresso informatico, scrive contrariamente una storia d'amore col disincanto di chi ha una propria visione e desidera mostrarci gli spunti, invitando alla riflessione con grande delicatezza nell'esplicare come ormai la tecnologia fa parte delle nostre vite e può essere in grado di riempire i vuoti della solitudine, rimarginare le ferite di un passato che non tornerà o un grande amore perduto.
Theodore è una persona molto sensibile, una sorta di baluardo romantico che eccelle nella scrittura come chi non ha smesso di credere nelle piccole cose, fantastica nel guardare gli altri, nell'immaginarsi la vita di chi incontra per caso, sorride ancora nel vedere una famiglia unita e serena. Tra la mancanza di affetto che egli prova si somma la melanchonia del divorzio da quella che probabilmente è stata persona più importante, in tutto questo trambusto emotivo e la desolazione di chi è incapace di riprendere in mano la propria vita, spunta Samantha, l'unica in grado di dargli quell'empatia tanto ricercata, una macchina più umana di tanti umanoidi, desiderosa di corpo e ossigeno.
Se vista in quest'ottica ci si rende conto che la critica di Jones è più pesante contro gli umani sornioni che contro la tecnologia in sè e nel momento in cui l'OS cambia registro dopo un upload generale emergono le debolezze sentimentali di Theodore manifestate in un attacco di panico: la sua umana possessività si trova a fare i conti con la morbosa (an)affettività di un sistema operativo capace di "amare" più di 600 utenti e mantenersi in contatto con altri 8000 contemporaneamente. Tutto così perde di significato per il protagonista che nel sentirsi dire da Samantha che questa preferirebbe restare così com'è, quasi un'entità divina e in continua evoluzione, immune alle emozioni, all'invecchiamento, alla morte.
Un film molto esistenzialista, che nel svelare con questo terrificante cinismo la debolezza e la solitudine umana ha trasmesso in me un ulteriore senso di apatia e misantropia sommate a quelle che già provavo, quindi direi che sono definitivamente a posto. La scadente qualità del video che sono riuscito a reperire non mi permette di esprimere un giudizio coerente in merito alla fotografia, ma la regia di Jonze è strabiliante soprattutto nelle scene in esterno con panoramiche d'impatto sulla città e sequenze che ben rendono lo stato d'animo del protagonista come quella stravagante in cui si fa guidare da Samantha per strada, o l'attacco di panico in cui la perde temporaneamente. Molto potente invece la loro "prima volta".
Sapevo che Joaquin Phoenix era un grande ma non credevo potesse arrivare a certi livelli di intensità, non c'è una sola scena in cui non compare, l'intera sceneggiatura è scritta sul suo personaggio, è onnipresente ed è difficile a non affezionarsi alla sua tenera vulnerabilità, un "cucciolo" come lo chiama la splendida Olivia Wilde durante il loro breve incontro.
La Johansson con la sua voce calda e suadente riuscirebbe a far sussultare ogni maschio e il fatto che sia stata scelta lei per questo ruolo unicamente vocale, una delle donne più desiderate del globo, trovo sia stata una genialata.
Voto 9
Danko188
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