Se avessi dovuto immaginare un film western di Tarantino, sarebbe stato senza ombra di dubbio Django Unchained.
Il western secondo Tarantino, il tributo di un autore appassionato, indicibilmente ispirato dagli ormai datati spaghetti-western di casa nostra, qui spudoratamente copiati o che dir si voglia, rubati.
Le citazioni si sono sprecate: a cominciare dalle musiche entrate nell’ immaginario collettivo dei più giovani come il sottoscritto, dalle inquadrature sempre ai limiti del minimalismo quasi maniacale, la cura del dettaglio alla Leone in tutto e per tutto, ai dialoghi. In un’ orgia di regalini ai più nostalgici del vecchio western Tarantino ci ha messo del suo e lo ha fatto con stile: ricorrente il tema della vendetta, consumata in un finale violento tra sparatorie alla Peckinpah, così come è ricorrente il montaggio frammentato, tipico del cinema postmoderno, tra flashback e flashforward, violenza esplicita, da bagno di sangue, fino alle lunghe ed estasianti chiacchierate a tavolino in cui emergono le sfumature dei personaggi nati dalla sua mente.
Inquadrature di uso ricercato, movimenti di macchina di virtuosistica precisione, geniale la scena in cui la testa di Jamie Foxx mentre è a cavallo a Doughtrey, viene fatta rientrare in un cappio, così come quella in cui quest’ ultimo convince con astuzia a farsi liberare dai tre uomini (uno dei quali è Quentin) e la cinepresa gli ruota attorno di 360 gradi. Semplice ma efficace il piano sequenza su DiCaprio, prima della sbranamento ai danni del mandingo D’ Artagnan e meno semplici ma altrettanto efficaci le inquadrature espressionistiche che indugiano sulle ombre dei sette che di sera rincasano dal funerale di Calvin.
Irresistibile il siparietto che si prende gioco del goffo Ku Klux Clan capitanato da Don Johnson e Jonah Hill, memorabile quello a Candieland sia per scrittura che a livello registico, con sequenze scolastiche in interni scenografici favolosi.
Attori in stato di grazia. L’ austriaco Christoph Waltz si conferma essere uno dei migliori attori viventi, Leo Di Caprio ci regala un cattivo dai modi eleganti, irreprensibile e schizzato, fenomenale anche per aver continuato a recitare dopo il taglio alla mano. Samuel L Jackson è stato il migliore a mio modestissimo avviso, bravo e un po’ in ombra il vendicatore romantico Foxx. Kerry Washington diversa da ogni altra presenza femminile tarantiniana: meno cazzuta, più dolce ed espressiva.
Strabiliante la capacità di Tarantino di inserire trame da lui architettate in scenari storici reali. Dopo aver cambiato la storia in Bastardi Senza Gloria ci ha proposto un western pre-Guerra Civile in piena schiavitù. Come nel suo precendente film, in cui erano messi contro tedeschi nazisti e tedeschi buoni (i Bastardi) in Django si vedono uomini di colore talmente servili e sottomessi (Samuel L. Jackson) opporsi a neri liberi (Foxx). Intessante tradizione e messa in scena della lotta tra bene e vale in ottica tarantiniana.
Colonna sonora che rimanda i classici più disparati, dal Django di Corbucci (Bacalov) a Gli Avvoltoi hanno fame di Don Siegel e Lo chiamavano Trinità di Barboni (Morricone).
Spazio anche per il vero Django, l’ orgoglio italiano Franco Nero.
Due ore e mezzo che per quanto avvincenti vorresti non finissero mai.
Voto 8.5
Danko188
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