Fantascienza,
Ratings: Kids+16,
durata 130 min.
- Danimarca, Svezia, Francia, Germania 2011.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 21ottobre 2011.
MYMONETROMelancholia
valutazione media:
3,54
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Compito di alcuni artisti, come Pasolini, è cogliere i segnali deboli che arrivano dal futuro.
Quello di artisti come von Trier è di spiegarci - con la poesia delle immagini - l'oggi che viviamo.
Un oggi fatto di angoscia personale, quella scaturita da genitori inadeguati, come lo sono quelli di Justine e di Claire, e l'angoscia per qualcosa che non possiamo gestire, come la crisi economica e finanziaria, sospesa su di noi come un immane pianeta che può distruggere la perfezione di vite poco vissute, vite artefatte, ma tanto in linea con gli stilemi imposti dalle mode, che siano pacchiane come la limousine troppo grande, o piccolo borghesi come i riti calcolati e stupidamente cadenzati della festa di matrimonio da un Vatel dei poveri.
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Compito di alcuni artisti, come Pasolini, è cogliere i segnali deboli che arrivano dal futuro.
Quello di artisti come von Trier è di spiegarci - con la poesia delle immagini - l'oggi che viviamo.
Un oggi fatto di angoscia personale, quella scaturita da genitori inadeguati, come lo sono quelli di Justine e di Claire, e l'angoscia per qualcosa che non possiamo gestire, come la crisi economica e finanziaria, sospesa su di noi come un immane pianeta che può distruggere la perfezione di vite poco vissute, vite artefatte, ma tanto in linea con gli stilemi imposti dalle mode, che siano pacchiane come la limousine troppo grande, o piccolo borghesi come i riti calcolati e stupidamente cadenzati della festa di matrimonio da un Vatel dei poveri.
Tutte cose effimere, false, imposte e auto-imposte da una umanità codarda, ma anche grifagna fino alla feccia e ben rappresentata dal capo di Justine che le chiede, fino alla nausea e nel momento e col modo più inopportuno, una tagline per una campagna pubblicitaria. Ed è nella scena del confronto fra Justine e il suo capo che si coglie in pieno il messaggio di von Trier per il futuro: questo oggi pieno di niente e affannosamente alla ricerca di rimettere in moto un sistema fallito perché basato solo sull'accumulazione spietata da cui il sentimento deve essere bandito.
von Trier ci mostra un'umanità insensibile e anche pretenziosa, fatta di "esperti" come il marito scienziato, che alla fine non ha nessuna risposta se non quella codarda del suicidio per evitare di dichiarare il fallimento delle proprie teorie. Un messaggio forte a tutta la classe dirigente del pianeta che non vuole ancora capire che qualcosa di nuovo,inatteso e ingestibile è sui nostri cieli e richiede una visione del mondo diversa. Totalmente diversa.
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La riflessione di von Trier sul tema della morte, della condizione umana e del potere inarrestabile della natura si avvale di una fotografia di grande spessore artistico, della sublime musica di Wagner e della prova di due bravissime attrici. Il risultato è, a mio avviso, un film di quelli destinati ad entrare nella storia della settima arte. Il viaggio verso l’Apocalisse è vissuto in maniera diversa dai protagonisti: lo sguardo rassegnato, quasi inespressivo, di Justine, sprofondata in una grave crisi depressiva (l’estrema possibile evoluzione di quello stato d’animo che chiamiamo “malinconia”), quello di Claire, la sorella “normale”, che ha reazioni più umane, come l’irrazionale tentativo di fuga, ed in cui molti di noi potrebbero riconoscersi, quello del marito di Claire, che cerca di avere un atteggiamento positivo/costruttivo, ma poi cede di schianto di fronte all’evidenza della ineluttabilità della catastrofe e quello innocente dell’infanzia del figlio.
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La riflessione di von Trier sul tema della morte, della condizione umana e del potere inarrestabile della natura si avvale di una fotografia di grande spessore artistico, della sublime musica di Wagner e della prova di due bravissime attrici. Il risultato è, a mio avviso, un film di quelli destinati ad entrare nella storia della settima arte. Il viaggio verso l’Apocalisse è vissuto in maniera diversa dai protagonisti: lo sguardo rassegnato, quasi inespressivo, di Justine, sprofondata in una grave crisi depressiva (l’estrema possibile evoluzione di quello stato d’animo che chiamiamo “malinconia”), quello di Claire, la sorella “normale”, che ha reazioni più umane, come l’irrazionale tentativo di fuga, ed in cui molti di noi potrebbero riconoscersi, quello del marito di Claire, che cerca di avere un atteggiamento positivo/costruttivo, ma poi cede di schianto di fronte all’evidenza della ineluttabilità della catastrofe e quello innocente dell’infanzia del figlio. Nella scena finale, di altissimo impatto emotivo, le due sorelle cercano nel contatto delle mani che si stringono il conforto degli affetti, l’ultimo e più alto valore dell’umanità che si spegne. Il film è di uno straordinario spessore estetico e formale ed è fonte di innumerevoli spunti di riflessione. Credo avrebbe ampiamente meritato la Palma d’Oro a Cannes. [-]
[+] commento a angelo48 (di amandagriss)[ - ] commento a angelo48
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IL SOGNO – In uno splendido giardino color oro gli alberi mostrano ombre anomale, un’enorme meridiana segna un tempo alterato; tutto è estremamente rallentato, come se la natura, florida ma rassegnata, perfetta ma turbata, s’ingessasse in ansiosa e statica attesa dell’ineluttabile. Anche i movimenti umani sono quasi impercettibili nella consapevolezza che un passaggio senza ritorno è ormai vicino e non più evitabile.
Sul palco senza fine e dalle infinite luci ed ombre dello spazio, va in scena un evento esiziale per l’umanità ma insignificante in termini cosmici: la grande sfera venuta da lontano fagocita la piccola, e l’Universo continua il suo corso.
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IL SOGNO – In uno splendido giardino color oro gli alberi mostrano ombre anomale, un’enorme meridiana segna un tempo alterato; tutto è estremamente rallentato, come se la natura, florida ma rassegnata, perfetta ma turbata, s’ingessasse in ansiosa e statica attesa dell’ineluttabile. Anche i movimenti umani sono quasi impercettibili nella consapevolezza che un passaggio senza ritorno è ormai vicino e non più evitabile.
Sul palco senza fine e dalle infinite luci ed ombre dello spazio, va in scena un evento esiziale per l’umanità ma insignificante in termini cosmici: la grande sfera venuta da lontano fagocita la piccola, e l’Universo continua il suo corso. IL RITO – Nello sfarzoso castello approntato secondo la liturgia più tradizionale, la sposa Justine si comporta secondo copione: ride, sorride, celia e bacia, ma ogni suo atto non fa che alimentare in se stessa sensazioni opposte a quelle apparenti: l’insofferenza per il rito, predisposto con cura ed amore dalla sorella Claire, il rifiuto di un cerimoniale sociale che considera come una gabbia soffocante, l’incapacità di indossare maschere a lei non congeniali come quella del Recitante o dell’Ipocrita, come in un inarrestabile domino fa esplodere tutto ciò che il rito stesso teneva faticosamente legato. Si sbriciolano le forme, svaporano le promesse, si sfaldano i rapporti, decorticati di falso buonismo ed oppressive convenzioni, in sintonia con un’aura di inquietudine che sembra preludere ad una grave minaccia. L’ATTESA –Depressa e “malinconica”, Justine accetta di condividere la casa e la vita con la sorella ed i suoi familiari (il marito ed il figlio adolescente). Melancholia si avvicina nella sua imponente ed affascinante maestosità, sembra allontanarsi ma poi il “cerchio magico” dà il responso che fuga ogni dubbio: il temibile diventa inevitabile. L’Uomo Adulto, che aveva pervicacemente negato l’inaccettabile, non sostiene la delusione, lasciando il campo alle due sorelle ed all’innocente inconsapevolezza del figlio. Diverse in tutto tranne che nel loro legame, Justine e Claire affrontano il breve futuro tentando di dare un senso all’attesa, l’una nell’ostentare lo scudo di una fredda indifferenza l’altra invece tra convulse resistenze di donna e di madre nel tentare invano di esorcizzare la fine ritualizzandone la negazione con una pagana “ultima cena” L’EPILOGO - Ma l’idea del rito non è condivisa e solo un colpo di “magia” può mettere insieme lucida rassegnazione, composte lacrime e turbamento inconsapevole in un tenero, ultimo abbraccio mentale, mentre la sagoma ormai immensa e troppo vicina di Melancholia invade l’intero orizzonte.
Notoriamente dotato di genio e sregolatezza, Lars Von Trier ha inventato un affresco imponente e meraviglioso sull’Apocalisse, in questo caso rappresentato dall’inesorabile avvicinarsi di un pianeta in rotta di collisione con il nostro, soffermandosi sulle variegate reazioni di una briciola familiare davanti a tale minaccia. E lo ha dipinto con i colori di un morbido romanticismo, di una struggente poesia, della delicatezza di sentimenti diversi ma fortemente umani, ma anche con le tinte cupe della ferocia con cui attacca senza pietà la vacuità e l’ipocrisia di una società borghese schiava delle proprie convenzioni. Il Tristano ed Isotta wagneriano prorompe d’impeto nell’incipit, sottolineando perfettamente l’atmosfera solenne e vagamente misteriosa espressa mediante immagini che per bellezza e capacità di trasmissione emotiva ricordano il recente L’albero della vita di Malick. La tensione è presente fin dall’inizio, cambia di tono e poi cresce finchè alla fine va letteralmente alle stelle.
Von Trier, che perde il vizio ma non il Dogma, rifugge dagli schemi tradizionali: inizia dove il film finisce (ma rappresentando lo stesso evento da due punti di vista diversi, l’uno onirico-visionario l’altro focalizzato sulle re(l)azioni umane), poi ti spiazza introducendoti nell’apparente normalità di un festoso matrimonio in cui succede di tutto tranne che banchettare allegramente e stappare champagne, insegue scattosamente i protagonisti con la macchina da presa a spalla quasi a rimarcarne le inquietudini e le ansie, quindi riprende una linea sempre più “magica” e piena di vibrante pathos fino all’apoteosi grandiosamente cosmica della Fine.
Metafora di un’umanità che tende a nascondere la propria incapacità di affrontare i triboli della vita con i riti, la negazione, le maschere, addirittura con la fuga anticipata dalla vita, e di rapportarsi con approcci costruttivi alla morte in qualunque sembianza si presenti –ma anche metafora, come indica il titolo, del male oscuro che affligge la società odierna, che porta distacco affettivo, indifferenza, solitudine; tutti elementi che non rendono questo mondo degno di continuare a vivere, sembra dirci l’Autore- Melancholia resta una tappa fondamentale nel cinema autoriale ed indipendente dei nostri tempi, di cui Von Trier, nonostante alcune recenti esternazioni poco edificanti che hanno rischiato di inquinarne la figura e di riflesso la produzione artistica, è uno dei massimi rappresentanti viventi.
Straordinarie le due protagoniste, e dispiace per il mancato ex-aequo per la Gainsburg a Cannes.
Da non mancare. [-]
[+] quasi condivido (di flavia58)[ - ] quasi condivido
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Variazione sul tema della fine del mondo, Melancholia è un intenso dramma che tiene avvinto lo spettatore ricorrendo a un'atmosfera opprimente, presagio di sciagure, nella quale i comportamenti dei personaggi e soprattutto la loro incomunicabilità contribuiscono con la freddezza dell'ambiente natuale a suggerire che qualcosa di terribile sta per accadere, e poco importa se riguarderà l'io interiore delle protagoniste oppure l'intero pianeta.
Chi non ha amato le sequenze di impatto più "estetico" di The Tree of Life di Malick, considerandole magari una sorta di divertissement fine a se stesso del regista, probabibilmente storcerà il naso anche di fronte al lungo prologo, introduzione composta di immagini suggestive a tema cosmico-naturalistico, che tuttavia andrebbero seguite con attenzione poichè non poco svelano sul senso complessivo dell'opera.
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Variazione sul tema della fine del mondo, Melancholia è un intenso dramma che tiene avvinto lo spettatore ricorrendo a un'atmosfera opprimente, presagio di sciagure, nella quale i comportamenti dei personaggi e soprattutto la loro incomunicabilità contribuiscono con la freddezza dell'ambiente natuale a suggerire che qualcosa di terribile sta per accadere, e poco importa se riguarderà l'io interiore delle protagoniste oppure l'intero pianeta.
Chi non ha amato le sequenze di impatto più "estetico" di The Tree of Life di Malick, considerandole magari una sorta di divertissement fine a se stesso del regista, probabibilmente storcerà il naso anche di fronte al lungo prologo, introduzione composta di immagini suggestive a tema cosmico-naturalistico, che tuttavia andrebbero seguite con attenzione poichè non poco svelano sul senso complessivo dell'opera.
Le protagoniste del film sono due sorelle, a ciascuna delle quali è dedicata una parte: Justine, interpretata da una sempre efficacemente stralunata e "assente" Kirsten Dunst, si è appena sposata ma durante il ricevimento da matrimonio altoborghese non sembra affatto felice, mentre Claire (Charlotte Gainsbourg), che sin dal matrimonio stesso tenta di riportarla alla razionalità e si impegna per "gestirne" lo stato depressivo, verrà progressivamente a perdere le sue certezze nella seconda parte del film, quando la sua vita familiare ripetitiva e controllata verrà sconvolta dalla preoccupazione per la notizia del passaggio del pianeta Melancholia in un'orbita relativamente vicina a quella terrestre.
Quello che rimane al termine della visione è l'alone di pessimismo e fatalismo che pervade tutta l'opera, accentuato da una fotografia che punta prima su colori come il giallo e il verde ma nelle loro versioni più "fredde", e poi su una patina di azzurrognolo lattiginoso che sembra imprigionare i personaggi, i quali del resto agiscono in una splendida tenuta immersa nella natura in un imprecisato ambiente norderuropeo, ma sostanzialmente, anche per scelta, sono privi di contatto col mondo esterno e con la società.
Efficace in tal senso è l'abbondante ricorso all'estetica dell'immaginario romantico, in particolare a quello leopardiano della "natura matrigna", e magari a quello decadente dei preraffaelliti.
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Come nella creazione di un dipinto, Lars Von trier miscela i colori e li compone in un fragile equilibrio. Film in due parti. Nella prima, l'atmosfera cupa e il dedalo di labirinti (dell'imponente villa palcoscenico del matrimonio di Justine) la fanno da padrona; kirsten dunst- debole sposa sopraffatta dal malessere di vivere, pianta in asso tutto e tutti preda di un richiamo oscuro. Nella seconda parte, invece, sullo sfondo di un'imminente fine del mondo, è proprio l'eroina Justine a prendere per mano la razionale sorella Claire e il nipotino verso la serena accettazione del declino dell'umanità.
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Come nella creazione di un dipinto, Lars Von trier miscela i colori e li compone in un fragile equilibrio. Film in due parti. Nella prima, l'atmosfera cupa e il dedalo di labirinti (dell'imponente villa palcoscenico del matrimonio di Justine) la fanno da padrona; kirsten dunst- debole sposa sopraffatta dal malessere di vivere, pianta in asso tutto e tutti preda di un richiamo oscuro. Nella seconda parte, invece, sullo sfondo di un'imminente fine del mondo, è proprio l'eroina Justine a prendere per mano la razionale sorella Claire e il nipotino verso la serena accettazione del declino dell'umanità. Paesaggi sconsolati, solitudini immense, simbolismi e richiami artistici per palati raffinati disseminati qua e là, il tutto condito da un cast di stelle all'altezza di una grande prova d'autore non accessibile alla massa.
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[+] lascia un commento a avvo1981 »[ - ] lascia un commento a avvo1981 »
L’inizio del film è particolare sembrano delle fotografie che prendono vita, molto suggestivo.
Il regista fa vivere lo spettatore con grande partecipazione tutto il film fin dalla prima scena, lo prende per mano e quasi come per magia lo porta come un entità invisibile dentro le scene, lo fa sentire libero di vagare tra gli attori e la macchina da presa. Ecco il sommo genio.
Ho percepito in tutto il film una latente angoscia, il regista “mi convince” a non credere in nulla al nichilismo più feroce, mi sento affranto perché la vita e la Terra sono “cattive” e meritano un’inesorabile morte, senza speranza di rinascita.
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MELANCHOLIA di Lars Von Trier:
L’inizio del film è particolare sembrano delle fotografie che prendono vita, molto suggestivo.
Il regista fa vivere lo spettatore con grande partecipazione tutto il film fin dalla prima scena, lo prende per mano e quasi come per magia lo porta come un entità invisibile dentro le scene, lo fa sentire libero di vagare tra gli attori e la macchina da presa. Ecco il sommo genio.
Ho percepito in tutto il film una latente angoscia, il regista “mi convince” a non credere in nulla al nichilismo più feroce, mi sento affranto perché la vita e la Terra sono “cattive” e meritano un’inesorabile morte, senza speranza di rinascita. E’ un film forte, come la disperata ed inutile fuga della madre verso la città, dove nasconde il significato che davanti all’ineluttabile, nulla ci può salvare. Bellissima e sublime la scena di quando Justine dice alla sorella, dopo avergli detto che lei già sapeva il numero esatto dei fagioli nella bottiglia, che non c’è nulla dopo la morte ma soltanto un vuoto cosmico. Il regista rende palpabile e materializza quell’atmosfera di falsa felicità dove ogni cosa è mascherata ed è finta, dove tutti devono per forza essere felici quasi come se fosse un dogma, la felicità è obbligatoria altrimenti l’umanità ti mette al bando, solo la sorella capiva Justine, impazzita e impotente davanti alla ineluttabile verità di morte, eppure certe volte anche lei la odiava con tutta se stessa. Un film crudo dove i genitori ripudiano i figli perché vuoti e resi schiavi del danaro. Ci sono poi molte metafore e simboli nel film che solo un grande spettatore attento riesce a cogliere, e si potrebbe parlare per ore.
Invece, non mi è piaciuto l’esagerata dominante del giallo nelle scene esterne quasi come se il regista non avesse fatto un corretto bilanciamento del bianco, ma probabilmente è stata una cosa voluta. In ultima analisi, l’opera l’avrei fatta più lunga, mi dispiace tanto quando finisce e sicuramente è da rivedere più volte. Per certi versi mi ricorda un poco il meraviglioso The tree of life by Terrence Malick.
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Una bella e giovane ragazza si trova a festeggiare il proprio matrimonio nella splendida residenza del cognato ma non è affatto felice. Intanto un piccolo pianeta di nome Melancholia si sta avvicinando pericolosamente alla Terra ma a detta degli scienziati non ci sono pericoli.
Splendida l'ultima opera di Trier. Un'opera che sostanzialmente si divide in due parti come per'altro suggerisce lo stesso regista; infatti inizialmente siamo a una festa sontuosa di matrimonio dove però aleggia tensione e la prima a non essere dell'umore è la sposa stessa. La ragazza è schiacciata da una famiglia con una madre esaurita e lei stessa è fragilissima.
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Una bella e giovane ragazza si trova a festeggiare il proprio matrimonio nella splendida residenza del cognato ma non è affatto felice. Intanto un piccolo pianeta di nome Melancholia si sta avvicinando pericolosamente alla Terra ma a detta degli scienziati non ci sono pericoli.
Splendida l'ultima opera di Trier. Un'opera che sostanzialmente si divide in due parti come per'altro suggerisce lo stesso regista; infatti inizialmente siamo a una festa sontuosa di matrimonio dove però aleggia tensione e la prima a non essere dell'umore è la sposa stessa. La ragazza è schiacciata da una famiglia con una madre esaurita e lei stessa è fragilissima. Infatti da lì a poco si aprirà il baratro di una buia disperazione e depressione. Inutili saranno i tentativi della sorella e del piccolo nipotino per farla riemergere. Ma anche la sorella è a sua volta facilmente impressionabile e assai distaccata. Solo il cognato vive nell'eccitazione per il passaggio di questo nuovo pianeta che non farà altro che portare i personaggi ad interrogarsi su una propria eventuale fine nel caso in cui il pianeta entrasse in collisione con la Terra. Cinica e distaccata la bionda Dunst (assolutamente splendida nel ruolo) sarà quella che aspetterà senza paura l'evento in quanto ormai lei stessa è già stata ingoiata dalla malinconia. Sarà la sorella (un altrettanto splendida Charlotte Guinsburg) ad avere i problemi maggiori cercando anche una inutile e isterica fuga verso il villaggio. Detto anche di Sutherland perfetto comprimario il film si apprezza anche e non solo per l'azzecata colonna sonora wagneriana che domina l'intero film ma anche perchè affronta il tema dell'Apocalisse senza bisogno di isterismi di massa o scene di inutile catastrofismo. Sicuramente uno dei migliori lavori di Trier. [-]
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"Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, perché molta sapienza, molto affanno: chi accresce il sapere, aumenta il dolore."
Libro di Qoelet
La storia prende avvio con una limousine enorme che resta bloccata in una stretta strada di campagna. A bordo dell'auto ci sono Justine (Kirsten Dunst) e Michael (Alexander Skarsgård, figlio di Stellan), novelli sposi, che si stanno recando al loro ricevimento nuziale, il quale si tiene nella lussuosa tenuta di John (Kiefer Sutherland) e Claire (Charlotte Gainsbourg), sorella di Justine.
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"Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, perché molta sapienza, molto affanno: chi accresce il sapere, aumenta il dolore."
Libro di Qoelet
La storia prende avvio con una limousine enorme che resta bloccata in una stretta strada di campagna. A bordo dell'auto ci sono Justine (Kirsten Dunst) e Michael (Alexander Skarsgård, figlio di Stellan), novelli sposi, che si stanno recando al loro ricevimento nuziale, il quale si tiene nella lussuosa tenuta di John (Kiefer Sutherland) e Claire (Charlotte Gainsbourg), sorella di Justine. A causa del contrattempo provocato dalle imponenti dimensioni della limousine, gli sposi arrivano al ricevimento con un ritardo di due ore, facendo infuriare il direttore di cerimonia (Udo Kier). Ben presto, durante il ricevimento, la sposa alterna momenti di brillante euforia ad altri che sono indice di un profondo disagio interiore. Questo suo stato psicologico calato in un parnaso di personaggi assolutamente al di sopra delle righe fa naufragare il ricevimento nel peggiore dei modi possibili. Lars von Trier da tempo ha abituato il pubblico ad assistere a film i cui tempi sono scanditi in capitoli. "Melancholia" si compone di un prologo e di due segmenti narrativi, ciascuno dei quali è incentrato su una delle due protagoniste. La prima parte è dedicata a Justine, la seconda è dedicata a Claire. I registri narrativi sono assolutamente differenti, ma perfettamente complementari.
Il film si apre con un intenso primo piano di Kirsten Dunst, il cui personaggio ancora non ha un nome, e da una serie di immagini oniriche struggenti che si alternano al moto dei corpi astrali. L'intera sequenza è accompagnata dalla musica del preludio al primo atto dell'opera "Tristano e Isotta" composta da Richard Wagner. Su questo prologo torneremo in seguito passando prima ad analizzare le due parti del film. I due segmenti cinematografici si reggono sull'antitesi caratteriale delle rispettive protagoniste.
Justine è passionale, carnale, palesemente irrazionale, emotivamente instabile, vive al di fuori degli schemi. Sua sorella Claire è una moglie e una madre e prima che in qualsiasi altro ruolo, lei si cala in questi due. È una donna dal carattere controllato, amante delle forme e che cerca le proprie sicurezze nel controllo e nell'organizzazione del mondo che le ruota intorno.
Il ricevimento per il matrimonio di Justine e Michael è il teatro in cui le due differenti personalità si avvicinano e si distanziano, s'incontrano e si scontrano. A facilitare il tutto ci sono i veleni familiari, l'odio e il disprezzo mai sopito fra i loro genitori (Charlotte Rampling e John Hurt), le meschinità di alcuni invitati fra cui spicca il testimone dello sposo (Stellan Skarsgård) che è anche il datore di lavoro di Justine. È in questo contesto che il film perde una parte del proprio valore artistico a causa di una scrittura cinematografica non sempre compiuta.
Lars von Trier ha dichiarato di essersi inspirato all'opera del commediografo francese Jean Genet e, in particolare, alla sua pièce "Le Serve" per costruire le atmosfere ed i personaggi della festa. Purtroppo, quella che inizialmente sembra essere una sintesi dell'umanità in scala assai ridotta, si rivela ben presto un'accozzaglia di personaggi fuori dalle righe con manifestazioni eccessive delle loro rispettive individualità. Manifestazioni che in più casi si rivelano gratuite o parzialmente gratuite.
Tuttavia, fra eccessi quali quello esternato dal direttore di cerimonia che si copre la faccia per non vedere Justine ogni volta che la incrocia accusandola di aver rovinato il matrimonio, come se questo appartenesse a lui e non fosse la festa di lei, fra datori di lavoro che prima promuovono la sposa per poi sguinzagliarle dietro un apprendista affinché prima della fine festa lei gli fornisca un nuovo slogan pubblicitario per la sua agenzia, fra padri davvero così "qualunque" da dimenticarsi il nome della figlia, troviamo una serie di legami e di equilibri precari perfettamente descritti e analizzati sapientemente.
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Il pianeta fino a quel momento sconosciuto Melancholia si sta avvicinando alla Terra. Per gli scienziati non ci sarà collisione, ma per molti astrologi non presi sul serio sì. Durante i giorni di attesa, la bella Justine si sposa con una cerimonia organizzata dalla sorella e dal cognato. Ma non si sente felice, spesso si allontana dai festeggiamenti, al punto da stancare già lo stesso marito. La sorella Claire vive invece con timore l'avvicinamento del pianeta, temendo l'impatto con la terra. Più il pianeta si avvicina e più i loro umori e stati fisici cambiano: postivamente per la prima, in negativo per la seconda.
Lars von Trier torna a stupire con un film anti-convenzionale, tra il drammatico e il fantascientifico.
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Il pianeta fino a quel momento sconosciuto Melancholia si sta avvicinando alla Terra. Per gli scienziati non ci sarà collisione, ma per molti astrologi non presi sul serio sì. Durante i giorni di attesa, la bella Justine si sposa con una cerimonia organizzata dalla sorella e dal cognato. Ma non si sente felice, spesso si allontana dai festeggiamenti, al punto da stancare già lo stesso marito. La sorella Claire vive invece con timore l'avvicinamento del pianeta, temendo l'impatto con la terra. Più il pianeta si avvicina e più i loro umori e stati fisici cambiano: postivamente per la prima, in negativo per la seconda.
Lars von Trier torna a stupire con un film anti-convenzionale, tra il drammatico e il fantascientifico. Scava nei personaggi, ce li fa sentire come sempre molto vicini, ci fa una radiogradia delle loro sensazioni. Più la fantomatica Melancholia si avvicina, più le loro vite si ribaltano, con una trama che li accompagna lentamente a un tragico destino. [-]
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Lar Von Trier non conosce mezze misure e, per questo, o lo ami o non lo sopporti come la maggior parte delle sue opere. Lars è un Tarantino più colto e raffinato e, come tale, spesso tende ad esagerare, ma come mi disse un giorno un professore: "Un po' di sana esagerazione ogni tanto fa giusto che bene" e come mi disse un'amica "Il cinema non deve per forza rappresentare la realtà della vita". Questo film l'ho metabolizzato dopo una settimana averlo visto. Forse perché necessita di un certo distacco. Lars come sempre ci accompagna, talvolta abbandonandoci,nel suo mondo di fobie ed idiosincrasie più o meno confessate... Bellissima la fotografia di Claro, ottima l'interpretazione della Dunst (premiata giustamente a Cannes come migliore protagonista), peccato per alcuni buchi di sceneggiatura (inevitabili in una pellicola che dura più di due ore) ed i soliti autocompiacimenti di Von Trier, alcuni personaggi (come quello interpretato da Sutherland) un po' sfocati.
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Lar Von Trier non conosce mezze misure e, per questo, o lo ami o non lo sopporti come la maggior parte delle sue opere. Lars è un Tarantino più colto e raffinato e, come tale, spesso tende ad esagerare, ma come mi disse un giorno un professore: "Un po' di sana esagerazione ogni tanto fa giusto che bene" e come mi disse un'amica "Il cinema non deve per forza rappresentare la realtà della vita". Questo film l'ho metabolizzato dopo una settimana averlo visto. Forse perché necessita di un certo distacco. Lars come sempre ci accompagna, talvolta abbandonandoci,nel suo mondo di fobie ed idiosincrasie più o meno confessate... Bellissima la fotografia di Claro, ottima l'interpretazione della Dunst (premiata giustamente a Cannes come migliore protagonista), peccato per alcuni buchi di sceneggiatura (inevitabili in una pellicola che dura più di due ore) ed i soliti autocompiacimenti di Von Trier, alcuni personaggi (come quello interpretato da Sutherland) un po' sfocati. Qualche riferimento di troppo alla letteratura classica (la Dunst ci viene presentata come una sorta di rediviva Ophelia Shakesperiana) che tendono ad appesantire inutilmente l'intreccio narrativo.
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