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Quel magico '53: Giulio Cesare

Prosegue il focus sui titoli che si contesero l'Oscar nel '53: è la volta di Giulio Cesare, il dramma shakespeariano diretto da Mankiewicz.
di Pino Farinotti

Marlon Brando 2 aprile 1924, Omaha (Nebraska - USA) - 2 Luglio 2004, Los Angeles (California - USA). Interpreta Marco Antonio nel film di Joseph L. Mankiewicz Giulio Cesare.
giovedì 16 novembre 2023 - Focus

Quel magico 1953. Promemoria: “I titoli che si contesero l’Oscar nel 1953: La Tunica, Giulio Cesare, Vacanze romane, Da qui all’eternità, Il cavaliere della valle solitaria. Mi concedo un’affermazione assoluta: non c’era mai stata, e non ci sarebbe mai più stata, una cinquina di quella qualità. Si tratta di film americani.” Ho già raccontato “Il cavaliere” e Da qui all’eternità che fu il vincitore assoluto con ben otto Oscar e La tunica. E’ la volta di Giulio Cesare, il dramma che Shakespeare scrisse nel 1599.
La Metro decise per la trasposizione con una produzione all’altezza del bardo. 
Il cast trabocca di fuoriclasse. Il regista era Joseph Leo Mankiewicz, ebreo di origine polacca, grande stile e cultura, titolare di 4 Oscar, 2 con Lettera a tre mogli e due con Eva contro Eva. Sì, Shakespeare è in ottime mani. Cesare era Louis Calhern, grande caratterista (Giungla d’Asfalto, Notorious). Gli altri protagonisti: James Mason, inglese di matrice teatrale, John Gielgud, inglese, profeta maggiore, insieme a Laurence Olivier, del repertorio shakespeariano; Greer Garson e Deborah Kerr, inglesi, regine autentiche del cinema americano. E poi Marlon Brando, quello che… mai nessuno come lui.

La trama in sintesi. Giulio Cesare, dittatore romano, viene ucciso in una congiura alle Idi di marzo. I suoi assassini tentano invano di sollevare il popolo che, convinto dal discorso di Marco Antonio, vuole la testa dei colpevoli. Questi fuggono e riescono a reclutare un esercito. A Filippi, tuttavia, sono sconfitti. Cassio e Bruto, i principali responsabili del colpo di Stato, si suicidano. 
 


Marlon Brando nei panni di Antonio in Giulio Cesare.

Il monologo di Antonio-Brando sul corpo dilaniato di Cesare è un superclassico della giurisprudenza, a rappresentare la capacità della dialettica di capovolgere un sentimento e un’idea. Bruto crede di aver convinto il popolo che l’uccisione di Cesare sia cosa giusta e legittima. Ma poi arriva… Brando. Comincia.

“Nobili romani! Amici, concittadini romani! Prestatemi orecchio. Sono venuto a seppellire Cesare, non a farne l’elogio. Il male che un uomo fa gli sopravvive, il bene spesso resta sepolto con le sue ossa. E così sia di Cesare. Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso: se era, ebbe grave colpa; e Cesare l’ha gravemente scontata. Qui, col beneplacito di Bruto e degli altri, tutti uomini d’onore, sono venuto a parlare al funerale di Cesare…”

A poco a poco, parte della massa comincia a schierarsi con lui, poi tutta la massa. 
Brando offrì una delle performance più belle e potenti di tutto il cinema. Non aveva mai toccato Shakespeare, stravolse, d’istinto, tutti i classici registri. La sua azione, anche se sbagliata diventava giusta. Buona la prima. Si scatenò un applauso, da parte di attori, tecnici, maestranze, tutti. Gielgud, che di Shakespeare se ne intendeva, abbracciò, commosso, Brando
 


Marlon Brando nei panni di Antonio in Giulio Cesare.

Un canto per Marlon. Nato (3 aprile 1924) da una famiglia povera, ancora ragazzo lascia Omaha e tenta la carta artistica. Fa qualche parte in piccoli teatri e, visto che il talento c'è, a vent'anni è già a Broadway. L'incontro decisivo è con Elia Kazan che dopo avergli soltanto parlato gli affida uno dei ruoli più importanti e difficili di tutto il teatro americano, il semiselvaggio Stanley Kowalski de Un tram che si chiama desiderio, da Tennessee Williams. E' talmente dotato che non ha avuto bisogno di alcuna scuola. Tuttavia Kazan lo introduce all'Actor's Studio, del quale l'attore diventa la bandiera. Hollywood è lo sbocco naturale nel 1950, quando Brando è protagonista di Uomini di Zinneman. Da allora, ogni volta, lascia un segno profondo e per quattro anni (e quattro film) consecutivi ottiene la nomination all' Oscar: Un tram che si chiama desiderio (1951), Viva Zapata! (1952), Giulio Cesare (1953), Fronte del porto (1954). Con quest'ultimo arriva il primo Oscar.

Nel frattempo l'attore è diventato una leggenda vivente, per immagine e per bravura. I capelli di Terry Malloy, il protagonista di Fronte del porto, diventano moda. Il "chiodo", il giubbotto di pelle indossato ne Il selvaggio, diventa moda. Brando è il più grande fenomeno divistico e artistico del cinema. Ha davvero cambiato il cinema. Sono i suoi anni migliori. Temperamento assolutamente istintivo, imprevedibile e incontrollabile, comincia a diventare il nemico di sé stesso. Annoiato, innamoratosi della partner Tarita, che sposerà, abbandona il set del "Bounty" per mesi, con danni economici catastrofici. Girando Queimada fa impazzire Gillo Pontecorvo, che ripudia il film.
Comincia, per denaro, ad accettare parti inadeguate. Declina. Ma Brando è Brando, imprevedibile come sempre. Nel '72 risorge clamorosamente dalle proprie ceneri. Interpreta Ultimo tango a Parigi e costringe Bertolucci a ubbidirgli. Si riaffaccia il mito. L'attore divulga la figura del (quasi) cinquantenne in crisi, angosciato e disperato che porta tanti coetanei all'emulazione, persino con qualche caso di suicidio. Ai tempi del film di Bertolucci, a Parigi un gruppo di signore fondò un “Club Ultimo tango” dove uno dei riti consisteva nel lasciarsi andare alle più intime fantasie erotiche davanti al cartonato di Marlon che fa sesso con Maria Schneider

Nello stesso anno Brando si presenta, truccato, non riconosciuto, al provino per la parte del boss Vito Corleone per Il Padrino (guarda la video recensione). Lo prendono. Vince con quel ruolo il secondo Oscar, che fa ritirare da un'indiana. E' dunque resuscitato due volte, insieme al suo mito. Altra decadenza, altri eccessi, altri errori. Sembra finito. Ma alla fine del decennio rieccolo nel ruolo del famigerato colonnello Curz in Apocalypse Now (guarda la video recensione). Altra resurrezione. Ma è l'ultima. Il resto sono "cammei" remunerativi, come in Superman. I segnali sono sempre più deboli. E la sua vita privata è una tragedia. In un ultimo sodalizio con Johnny Depp lo si è rivisto in Don Juan De Marco e ne Il coraggioso. Era ridotto a un effetto speciale di 150 chili. La più grande "presenza" di tutto il cinema ha cercato in tutti i modi di distruggersi. E si è distrutta.

 


 


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