È stata la vera dea del 1967. Una dea invocata che, con ironia e voglia di stare al mondo, ha scaldato il volto di un giovane giapponese in cerca di un'auto per lui mitica. C'è una certa scintilla nello sguardo di Rose Byrne. Un piccolo fuoco lontano che sembra bruciare solo per certi personaggi e che si spegne quando, con disinvolto distacco, deve recitare parti che non le sono esattamente consone. Come una divinità, quest'attrice australiana, nonostante la giovane età, ha la veemenza di chi il successo (l'Olimpo) se l'ha sudato, cesellando personaggi diversi persino nei desideri, ma che formano un quadro variegato e meno monolito delle carriere di certe altre sue colleghe.
Una bellissima donna senza troppe depressioni private e senza troppi pregiudizi sul lavoro, ormai consapevole che non è più solo la sua carriera in gioco quando sceglie un film, ma anche l'affetto dei suoi devotissimi fans. La Byrne considera il cinema e il fare cinema come qualcosa di sacro, per questo ha sbeffeggiato e snobbato Hollywood con vivo disappunto, colpevole, a suo dire, di proporle ruoli sciocchi e di infelice lettura psicologica. A quella ha preferito la leggerezza e la sagacia di certe pellicole europee. Alla faccia degli Studios!
Origini australiane
Figlia di un'amministratrice in una scuola elementare e di uno statista in pensione, Rose Byrne nasce e cresce a Sydney, sentendo precocemente la passione per la recitazione. Infatti, è giovanissima quando entra a far parte dell'Australian Theatre for Young People, dove conoscerà peraltro l'attrice Nadia Townsend, la sua migliore amica.
Il debutto
Il suo debutto sul grande schermo avviene a soli 12 anni, nel film di Ann Turner Dallas Doll (1994), accanto a Sandra Bernhard, poi frequenterà parallelamente la University of Sydney e i set cinematografici e televisivi che saranno la sua gavetta.
Dopo essere apparsa nel videoclip di Darren Hayes "I Miss You", viene scelta dalla regista Clara Law per il film La dea del 1967 (2000), dove interpreta una ragazza cieca che guida un giapponese per le strade australiane. Grazie a un ballo sfrenato al suono di juke-box, Rose Byrne riesce a vincere la Coppa Volpi come miglior attrice al Festival di Venezia e a imporsi elettricamente all'attenzione di Hollywood.
Hollywood e Londra
Ma lei per il momento declina ogni facile proposta, preferendo di gran lunga il teatro, tanto è vero che reciterà ne "La Dispute" e ne "Le tre sorelle" di Chechov. Scelta da George Lucas per interpretare Dormé in Star Wars: Episodio II - L'attacco dei cloni (2002) con Christopher Lee e Samuel L. Jackson, è accanto a Gérard Depardieu in City of Ghosts (2002) e a Dennis Hopperin The Night We Called It a Day (2003).
Pur sempre preferendo le pellicole indipendenti, viene presa in considerazione per il kolossal-flop Troy (2004) dove doveva interpretare il ruolo della mitica Elena di Troia, ma la Byrne sembrava esprimere più affinità con il personaggio della schiava di Achille (Brad Pitt) Briseide, così la produzione le cede il ruolo.
Fidanzata con l'attore e sceneggiatore Brendan Cowell, lascia Los Angeles (dove si era trasferita per esigenze di lavoro) per vivere a Londra con sua sorella, cogliendo l'occasione di lavorare con il grande Peter O'Toole nel film tv Casanova (2005) e nell'horror 28 settimane dopo (2007) di Juan Carlos Fresnadillo, con Robert Carlyle, nel ruolo dell'ufficiale medico Scarlet, ma diventando anche la star del telefilm Damages (2007).
Commedie e mutanti
Il 2011 la vede protagonista di nuove sfide. Partecipa a ben due commedie, In viaggio con una rock star, con il comico inglese Russell Brand, e Le amiche della sposa. Inoltre è nel cast del prequel X-men: l'inizio, nel ruolo di Moira MacTaggert e nell'horror Oltre i Confini del Male - Insidious 2 (2013).
Recentemente partecipa alle commedie Cattivi vicini e Cattivi vicini 2, Spy e Tumbledown, ma anche al blockbuster fantascientifico di Bryan Singer X Men: Apocalisse.
Cambiare, quindi, si può. E lei l'ha fatto, sorprendendo il cinema americano. Ha scelto di non essere più schiava (esattamente come la sua Briseide) di un contratto milionario ma costituito da pessimi ruoli in pessimi film, migliorandosi e innovandosi da un punto di vista qualitativo, che le permetterà (ne siamo certi) di percorrere comunque la famosa linea rossa che va dall'autore allo spettatore, dissacrando o meno l'indistinto o la differenza femminile.