xxseldonxx
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sabato 25 gennaio 2014
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homo homini lupus
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Jordan Belfort è un giovane broker famelico e ambizioso che, dopo il lunedì nero del 1987, grazie alla sua grinta e alla totale noncuranza della legge, riesce a rimettersi subito in piedi e guadagnare milioni, fregando prima i piccoli, poi i grandi risparmiatori; la sua vita si trasforma in un attimo: dipendente da svariati tipi di droga, dal sesso e, ovviamente, dal denaro, Jordan si ritrova con ville di lusso, una moglie trofeo, uno yacht da 52 metri e i federali alle calcagna.
Parliamoci chiaro: Martin Scorsese è uno dei più grandi registi della storia del cinema, capace di una narrazione che, al momento, non ha eguali.
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Jordan Belfort è un giovane broker famelico e ambizioso che, dopo il lunedì nero del 1987, grazie alla sua grinta e alla totale noncuranza della legge, riesce a rimettersi subito in piedi e guadagnare milioni, fregando prima i piccoli, poi i grandi risparmiatori; la sua vita si trasforma in un attimo: dipendente da svariati tipi di droga, dal sesso e, ovviamente, dal denaro, Jordan si ritrova con ville di lusso, una moglie trofeo, uno yacht da 52 metri e i federali alle calcagna.
Parliamoci chiaro: Martin Scorsese è uno dei più grandi registi della storia del cinema, capace di una narrazione che, al momento, non ha eguali. Dopo la parentesi romantica di "Hugo Cabret", vera e propria lettera d'amore di Scorsese al Cinema, il buon Martin riprende lo stile di "Casinò" e "Quei bravi ragazzi": ritornano la voce narrante del protagonista, il virtuosismo narrativo, il ritmo veloce ma sempre perfetto e la scatenata e onnipresente colonna sonora. C'è da aggiungere altro? Certo! Ci sono altre tre importanti note di merito.
La prima va indubbiamente ai protagonisti di questo One-man Show: un Di Caprio che così in forma non si era mai visto, a cui il personaggio di Belfort permette, tra siparietti comici, eccessi e momenti drammatici, di mostrare tutta la sua abilità e simpatia (sentito, Academy?!), e al sorprendente Jonah Hill, davvero a suo agio nel ruolo del secondo di Belfort.
La seconda va alla montatrice Thelma Schoonmaker, storica collaboratrice di Scorsese, che ha messo in piedi un film di tre ore incapace di annoiare e dotato di un ritmo narrativo sublime.
La terza va di nuovo a Scorsese. Non tanto per la regia o per l'abilità nel dirigere gli attori (queste lodi sono implicite), ma per il coraggio: è davvero difficile trovare un regista che, passati i settant'anni e con (almeno) una mezza dozzina di capolavori alle spalle, abbia ancora questa capacità e questa voglia di creare scandalo, di buttarsi nella mischia. Monsieur Scorsese, chapeau!
Infine, una considerazione di carattere etico. Molti hanno attaccato il film, accusandolo di glorificare la figura di Belfort e la sua vita di eccessi; guardando alla filmografia del regista, si capisce come Scorsese abbia sempre voluto mostrare gli aspetti più crudi e violenti dell'animo umano, il desiderio di onnipotenza e di riscatto di chi ha vissuto una vita difficile. Questo ultimo film non fa differenza: che Jordan sia un personaggio carismatico, capace di attirare la viscerale simpatia dello spettatore è innegabile; ma in quel mondo, dove più che mai l'egoismo e l'istinto di sopraffazione dell'uomo sono evidenti, è impossibile mantenere dei rapporti affettivi che non siano regolati dal denaro e dal potere. E poi c'è l'immagine esemplificativa di quella ragazza che si lascia rapare a zero per dieci mil dollari: da Wall Street puoi uscire ricco, ma ci lasci l'anima.
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alexr
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venerdì 31 gennaio 2014
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non diventerà un cult
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Passare da Hugo Cabret ad una commedia nera, piena di droga e sesso ovunque è Scorsese. Un ritmo forsennato che incalza sempre di piu con Droga è Sesso, molte volte esplicito, fanno da padroni in questo film, e non dimentichiamo che tutto ciò a mio avviso è molto marcato dall'uso di psicotropi che ha segnato la vita del regista molti anni addietro. E' volgare ma con classe, ma esageratamente lungo, avrebbe potuto chiudere il declino dell'impero di Wolf, circa mezz'ora dal the end. La realtà mostra un bravo ragazzo pieno di valori, trascinato , oserei dire fagogitato, dall'OBLIO di Wall Strett, un vero spaccato di storia contemporanea sul brokeraggio selvaggio, per la distruzione del piccolo, e l'arricchimento personale spropositato.
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Passare da Hugo Cabret ad una commedia nera, piena di droga e sesso ovunque è Scorsese. Un ritmo forsennato che incalza sempre di piu con Droga è Sesso, molte volte esplicito, fanno da padroni in questo film, e non dimentichiamo che tutto ciò a mio avviso è molto marcato dall'uso di psicotropi che ha segnato la vita del regista molti anni addietro. E' volgare ma con classe, ma esageratamente lungo, avrebbe potuto chiudere il declino dell'impero di Wolf, circa mezz'ora dal the end. La realtà mostra un bravo ragazzo pieno di valori, trascinato , oserei dire fagogitato, dall'OBLIO di Wall Strett, un vero spaccato di storia contemporanea sul brokeraggio selvaggio, per la distruzione del piccolo, e l'arricchimento personale spropositato. Molto crudo il messaggio sulla cocaina, utilizzata per mantenere il ritmo, ed addirittura nelle devastanti scene finali usata come rimedio per salvare la vita! Porta a Riflettere su uno dei mali dell'epoca! QUESTO FILM NON è per i deboli di stomaco e per chi si imbarazza guardando scene di sesso e perdizione ovunque contro ogni moralismo. Ma alla fine oltre ai tanti messaggi di corruzione, di sognare i soldi, le donne le auto, credo ve ne sia uno più importante, che è quello di arrivare all'apice da soli, nella sua perdizione WOLF aiuta tante persone che non avrebbero avuto una possibilità nella vita, specialmente a NEW YORK. Ma aiuta solo quelli svegli, che hanno una peculiarità, che anche senza alcuna istruzione hanno una visione. Per chi non ha ancora visto questo film focalizzi sul messaggio nelle scene in cui Wolf chiede di vendere la sua penna ad un venditore o a colui che crede di essere tale. Molti tratti sono " devastanti " in lunghezza narrativa e molto Tarantiniani, osando un paragone filmico con altri registi. Non dimentichiamo che è una commedia, ed in molte scene si ride nonostante accadano cose fuori dalla normalità.
Sorsese, sempre così crudo ed incisivo, come in Quei bravi ragazzi, ma la differenza rispetto ad altri è soprattutto il cambio di scena ed il posizionamento della macchina da presa. Ci sono fantastici movimenti di camera e piani sequenza che sottolineano, lo stato d'animo del protagonista. Credo sia uno dei pochi registi che non ha bisogno di effetti speciali o di computer grafica per raccontare per immagini. Nonostante sia Scorsese, non ci sono novità, non ci sono evoluzioni registiche che segnino una svolta per questo tipo di film, forse perchè vi è molto dialogo e tutto si basa su campi e controcampi. La direzione degli attori è da maestro, soprattutto nella scelta del castng. Spero noterete determinate comparse o piccole parti svolte egregiamente da caratteristi non molto belli, questa è una cosa voluta..
Attori: Di Caprio, non sbaglia un colpo sul set, è quasi a suo agio ad essere cocainomane. La scena dell'obblio e della perdizione finale, è quella che mi piace di più, recitazione impeccabile.
Questo è un grade film, non credo però possa diventare un cult, merita sicuramente un Oscar, io personalmente lo darei alla sceneggiatura di Terence Winter
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the_diaz_tribe
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lunedì 3 febbraio 2014
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“schiaccia” et impera
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Quinta prova del duo Martin Scorsese alla regia e Leonardo DiCaprio che interpreta uno sfrenato broker cocainomane e sessualmente incontenibile che da telefonista alla LF Rothschild diventa milionario –dissacrando ogni etica di vendita alla Borsa di New York – con la fondazione della Stratton Oakmont, società di brokeraggio. L’uomo portato sul grande schermo da Scorsese in The Wolf of Wall Street è Jordan Belfort, intelligente, aggressivo ma moralmente discutibile broker che ha scritto un’autobiografia omonima al titolo del film. Per una gigantesca frode finanziaria e riciclaggio di denaro, nel 1998 fu arrestato dall’FBI (con cui collaborò all’arresto dei complici), scontando 22 mesi di carcere federale e risarcendo gli azionisti per circa 110 milioni di dollari.
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Quinta prova del duo Martin Scorsese alla regia e Leonardo DiCaprio che interpreta uno sfrenato broker cocainomane e sessualmente incontenibile che da telefonista alla LF Rothschild diventa milionario –dissacrando ogni etica di vendita alla Borsa di New York – con la fondazione della Stratton Oakmont, società di brokeraggio. L’uomo portato sul grande schermo da Scorsese in The Wolf of Wall Street è Jordan Belfort, intelligente, aggressivo ma moralmente discutibile broker che ha scritto un’autobiografia omonima al titolo del film. Per una gigantesca frode finanziaria e riciclaggio di denaro, nel 1998 fu arrestato dall’FBI (con cui collaborò all’arresto dei complici), scontando 22 mesi di carcere federale e risarcendo gli azionisti per circa 110 milioni di dollari.
Dopo l’ultima interpretazione aristocratica ne Il grande Gatsby, DiCaprio offre una performance attoriale senza freni inibitori, aggressiva, politicamente scorretta, a tratti feroce e nevrotica, di un venditore eccezionale, organizzatore di party dispendiosi, dedito alla lussuria e alla cocaina mischiata a narcotici, subdolo ma capace di vendere l’invendibile e alimentare la sua compagnia di brokeraggio con l’imperiosità dei suoi smaniosi discorsi, plasmando così corpo e mente dei suoi colleghi truffaldini. Donnie Azoff, interpretato da Jonah Hill (al di fuori del suo solito ruolo comico), è la degna e ridicola spalla di Belfort – in una scena è anche infame e si vede proprio bene –, insieme agli altri influenti colleghi che lo circondano durante l’ascesa finanziaria che vede il suo picco verso la metà della pellicola. La sicurezza della compagnia di Belfort inizia a essere minacciata quando l’agente dell’FBI Patrick Denham (Kyle Chandler) comincia a indagare sull’attività della Stratton, tentando di frantumare l’impero del narcisismo speculativo.
Ciclicamente in questo film, con scene esplicite di sesso, droga e turpiloquio filtrate solamente dalla macchina da presa, Scorsese propone un ritratto della violenza animalesca e della dissolutezza utilitaristica dell’animo umano, con tutte le sue sagaci quanto sardoniche espressioni, collocato in una cornice di disprezzo totale di qualunque morale.
Detto questo The Wolf of Wall Street può essere apparentemente immorale, ma è solo una parvenza: c’è un’esorcizzazione grottesca e costante del male, incarnata nella pellicola spudorata ed eccessiva su ogni fronte, anche sulla durata, di circa 3 ore. Bisogna però riuscire a leggere tra le righe questo esorcismo demistificatorio per non rischiare di arrivare al termine della visione con un senso di puro vuoto, come se le continue scene di sesso, droga e inganni fossero fini a loro stesse.
Menzione a parte merita Matthew McConaughey che, seppure presente solo all’inizio, interpreta Mark Hanna, un professionista fraudolento che inizia Jordan Belfort al brokeraggio spietato.
È un film che mostra, raccontando l’ascesa, il declino e successiva ripresa di un “profeta” della finanza, interpretato da un DiCaprio con toni malignamente spettacolari e sfrontati, che riceve una quinta nomination agli Oscar, e si spera, finalmente, in una vittoria.
Adesso il vero Jordan Belfort, uscito dal carcere, tiene seminari in giro per il mondo sulle strategie di vendita.
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stefano minuto
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mercoledì 5 febbraio 2014
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film a tratti esilerante ma debole nei contenuti
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Film biografico che racconta l’ascesa (gli eccessi) e la caduta del broker-truffatore Jordan Belfort nella Wall Street degli anni 80’.
Tra le cose positive del film vi e’ la solita buona interpretazione di Leonardo DiCaprio (sempre piu’ bravo ma forse non ancora da Oscar) a tratti adrenalinico, e alcune scene indubbiamente esilaranti nonostante l’eccessiva volgarita’ che persevera lungo tutta la pellicola. Il film detto cio’ e’ pero’ eccessivamente ripetitivo nel seguire per ben 3 ore (2 ore erano piu’ che sufficienti) un copione fatto per lo piu’ di soldi-droga-sesso , sviluppando poco la trama e la psicologia dei personaggi. Un film appunto esageratamente incentrato per lo piu’ nel mostrare gli eccessi derivati dalla ricchezza ma debole nella narrazione e nei contenuti.
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hanniballectar
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giovedì 20 febbraio 2014
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noioso
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Il connubio Scorsese/ Di Caprio spesso rappresenta l'apoteosi per i cinefili, considerando i capolavori che hanno realizzato. In questo caso il risultato non è così entusiasmante. Il film racconta la vita eccessiva, da ogni punto di vista, del magnate dell'alta finanza Jordan Belfort. Tratto da un'autobiografia, la pellicola ripercorre tutta l'ascesa professionale e personale del protagonista, se di ascesa si può parlare. Una vita portata all'estremo in ogni aspetto, caratterizzata da cocaina, anti.depressivi, sesso, morfina in cui manca qualunque forma di rispetto per se stessi e per gli altri e in cui il Dio denaro domina il mondo. Tuttavia alla fina, inevitabilmente Belfort rimane solo con una pesante pena da scontare.
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Il connubio Scorsese/ Di Caprio spesso rappresenta l'apoteosi per i cinefili, considerando i capolavori che hanno realizzato. In questo caso il risultato non è così entusiasmante. Il film racconta la vita eccessiva, da ogni punto di vista, del magnate dell'alta finanza Jordan Belfort. Tratto da un'autobiografia, la pellicola ripercorre tutta l'ascesa professionale e personale del protagonista, se di ascesa si può parlare. Una vita portata all'estremo in ogni aspetto, caratterizzata da cocaina, anti.depressivi, sesso, morfina in cui manca qualunque forma di rispetto per se stessi e per gli altri e in cui il Dio denaro domina il mondo. Tuttavia alla fina, inevitabilmente Belfort rimane solo con una pesante pena da scontare. Scorsese è molto bravo a non far emergere il suo giudizio sul personaggio e a raccontarlo per quello che effettivamente è: suferficiale, viziato e cocainomane. Di Caprio da parte sua fa il film con una recitazione spettacolare. Purtroppo il film risulta lento e troppo lungo, rischiando di annoiare lo spettatore con scene ripetitive ed inutili.
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fafia61
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mercoledì 26 febbraio 2014
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l'overdose di scorsese
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La storia che Scorsese decide di trasformare in un film è, purtroppo, realmente accaduta, ed è la storia di un uomo, Jordan Belfort, moralmente orripilante.
Dopo aver iniziato la propria carriera come broker, Belfort riesce a fondare una sua società di brokeraggio, grazie alla quale, ingannando gli investitori sul reale valore delle azioni vendute, diventa rapidamente ricco.
Con i soldi arriva, per l'abile intrallazzatore, anche uno stile di vita differente, fatto di sesso, droga, alcol, feste e sballi continui.
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La storia che Scorsese decide di trasformare in un film è, purtroppo, realmente accaduta, ed è la storia di un uomo, Jordan Belfort, moralmente orripilante.
Dopo aver iniziato la propria carriera come broker, Belfort riesce a fondare una sua società di brokeraggio, grazie alla quale, ingannando gli investitori sul reale valore delle azioni vendute, diventa rapidamente ricco.
Con i soldi arriva, per l'abile intrallazzatore, anche uno stile di vita differente, fatto di sesso, droga, alcol, feste e sballi continui.
L'eccesso di droga lo porta, ovviamente, ad una grave forma di tossicodipendenza, mentre gli intrecci finanziari, le frodi ed il riciclaggio lo conducono in pasto ai federali e al conseguente carcere.
Scegliendo di raccontare la vita distorta e dissoluta di Jordan, Scorsese realizza un film pieno zeppo di eccessi e di provocazioni.
Così, transitano tranquillamente nella pellicola, centinaia di 'fuck' e di parolacce, volgarità grossolane, masturbazioni accanite, sniffate su chiappe voluminose, miscugli di acidi, cocktail di droghe e psicofarmaci, lanci di nani contro bersagli, vomitate spaziali, ecc. ecc.
Scorsese, narrando e mostrando fedelmente l'esistenza di Belfort, realizza così un attendibile reportage, un attendibile riassunto dell'esistenza di uno degli uomini più disgustosi del pianeta.
Le domande che adesso dobbiamo porci sono principalmente due.
1)Era proprio necessario fare un film su una persona, anzi su delle persone, così schifose, rivoltanti e negative?
Beh sì, senz'altro; sono stati fatti film su Hitler, Stalin, su Jack lo squartatore, sul mostro di Firenze, su Bin Laden, ecc. ,perchè, quindi, non mostrare le malefatte di Jordan Belfort e dei suoi compari?
Una volta scelto di rappresentare le peripezie deviate e bestiali di Belfort, Scorsese sceglie la strada del racconto realistico, mostrando scene degradanti in tutte le salse, senza pudori, senza remore, evidenziando i particolari più raccapriccianti, le distorsioni più viscide, le malefatte più subdole e spietate.
Ciò ci conduce inevitabilmente all'interrogativo n°2)Un film attendibile, realistico, credibile, verosimile è anche un buon film?
Non necessariamente.
Anzi, il film di Scorsese non lo è affatto.
Il servizio, il ritratto, il reportage realistico che Scorsese realizza sembra un inno alla droga, un trionfo della libidine, un' apoteosi della truffa, e risultano poco credibili le frasi del regista, e dello stesso Di Caprio, che parlano di condanna verso il mondo disonesto e dissoluto di Belfort.
Come si fa a parlare di condanna se, invece, dilatando all'infinito la durata del film (180') e allargando all'infinito la bestialità delle singole scene, si finisce per produrre soltanto un effetto ammirazione e compiacimento soprattutto nel pubblico maschile!?
E poi, rendendo le suddette scene quasi sempre esilaranti, comiche o divertenti non si finisce per farle accettare e metabolizzare con facilità, mentre si dovrebbe, vista la criminalità del contenuto, dargli un taglio più di condanna, di rifiuto o perlomeno di disgusto?!
E, per evitare tutto questo sfarzo libidinoso e questa tempesta stralunata di vizi e di imperfezioni, non era forse meglio giocare di fioretto ed evitare la spada, usare la pistola ed evitare il cannone, diluendo il tutto(orge, miliardi, acidi e whisky) in metafore, sottintesi, doppi sensi, allegorie?
E, invece di questa illogica celebrazione dell'orrido, quale sembra il film di Scorsese, non sarebbe stata meglio una condanna, un biasimo, una disapprovazione per un uomo che ha imbrogliato e raggirato migliaia di persone, che ha riempito di prostitute i suoi due matrimoni, che ha educato e cresciuto la sua prole sempre sotto l'effetto di droghe e stupefacenti, e che, infine, ha pure tradito e rinnegato i suoi vari compagni di merende e di malefatte?!
Quando si esce, delusi, confusi e disorientati, dal cinema e si sente, nel brusio dei vicini, risolini di compiacimento e battutacce di apprezzamento, si capisce, casomai serpeggiasse qualche dubbio, che il regista ha fallito nel suo intento, ed anzi, ha ottenuto l'effetto opposto: non condanna ma simpatia, non accusa ma apprezzamento.
Peccato, uno Scorsese(voto 4) così malmesso non si era mai visto!!
E' difficile pensare che il mirabile regista di 'Taxi driver', 'Toro scatenato', 'The departed', 'Shutter island',ecc., abbia potuto girare un film del genere, con scene così banali, grottesche e grossolane!
Una, in particolare, merita di essere rammentata; quella, preannunciata dalla musichetta e dal cartone animato, in cui la cocaina fa su Di Caprio lo stesso effetto che gli spinaci fanno su Braccio di Ferro!?
Un film disastroso, quindi, lunghissimo e inguardabile, un film che, forse, solo grazie alla straordinaria bravura di Leonardo Di Caprio (voto 8) si riesce a sopportare, con molta, molta fatica, fino alla fine.
Ma, forse, la verità sta in un'altra frase, captata anch'essa alla fine della proiezione, di un signore che, evidentemente disgustato quanto noi, affermava:"Ma che s'è fumato Scorsese stavolta?"
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giorpost
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mercoledì 6 maggio 2015
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biopic romanzato e ritmato ma fine a se stesso
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Siamo alla fine degli anni ’80 nella New York dei colletti bianchi affamati di soldi e dei vari Gordon Gekko pronti a tutto, una sete di potere di giovani laureati col sogno di scalare la vetta. The wolf of Wall Street (USA, 2013) è la vera storia di uno di questi intraprendenti arrampicatori, Jordan Belfort, truffatore senza scrupoli che grazie alla vendita di penny stock (ovvero titoli senza valore, spazzatura finanziaria) riuscì a crearsi un impero dal nulla, tra barche, residenze faraoniche e Ferrari. Ma il suo non era bisogno di stabilità economica, nulla di più lontano da questo. Quello di Belfort era bisogno di lusso sfrenato e vizi, tra droghe di ogni genere, prostitute, alcol e tutto quanto possa portare un uomo ad eccedere.
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Siamo alla fine degli anni ’80 nella New York dei colletti bianchi affamati di soldi e dei vari Gordon Gekko pronti a tutto, una sete di potere di giovani laureati col sogno di scalare la vetta. The wolf of Wall Street (USA, 2013) è la vera storia di uno di questi intraprendenti arrampicatori, Jordan Belfort, truffatore senza scrupoli che grazie alla vendita di penny stock (ovvero titoli senza valore, spazzatura finanziaria) riuscì a crearsi un impero dal nulla, tra barche, residenze faraoniche e Ferrari. Ma il suo non era bisogno di stabilità economica, nulla di più lontano da questo. Quello di Belfort era bisogno di lusso sfrenato e vizi, tra droghe di ogni genere, prostitute, alcol e tutto quanto possa portare un uomo ad eccedere. Interpretato da quel Leonardo Di Caprio che sempre più divide opinioni e critica, questo personaggio crea una sorta di precedente pericoloso: nonostante sia arrogante, sporco, falso e bugiardo, l’ empatia che si prova nei suoi confronti provoca quasi una sensazione di pudore.
Considero Martin Scorsese un maestro, un genio del Cinema, un cineasta che ha contribuito a farmi avvicinare alla settima arte come pochi suoi colleghi; un regista che con Taxi Driver, giusto per citare un titolo, ha scavato un canyon tra se stesso e la sua generazione cinematografica, la New Hollywood, e non è tutto: ha saputo anche, con il passare degli anni, reinventarsi e riformarsi, riuscendo a creare pellicole d’ avanguardia stilistica che nulla hanno da invidiare ai registi di culto emersi nell’ ultimo decennio. Ma, perché purtroppo c’ è un ma, dopo i recenti The Departed (grande poliziesco) e Hugo Cabret (omaggio commovente e visionario al Cinema stesso) si è perso un attimo, e cerco di spiegare il mio punto di vista. In quasi tutti i suoi film è nota la focalizzazione sul personaggio principale, quasi sempre negativo o comunque tempestato da demoni che lo inducono a violare la legge, ma negli stessi c’è sempre stata un’ attenzione particolare ai coprotagonisti e comprimari (basti pensare a Good Fellas, Cape Fear e Casino). In questo caso, invece, Martin si è morbosamente aggrappato alla figura di Leo, alla sua fisicità longilinea ed al suo viso angelico ed attraente, tralasciando tutto il contorno, chiamando alle armi una serie di attori bravini, certo, ma assolutamente non all’ altezza del compito, a cominciare da Margot Robbie, a mio avviso esageratamente sopravvalutata. Forse solo il paffuto Jonah Hill è ben calato nella parte, ma è in un periodo di eccessiva sovrapposizione mediatica e la cosa mi puzza un poco (saprà farsi ben volere da produttori e registi?).
Mettiamo le cose in chiaro: The wolf of Wall Street è godibile, ritmato e la sua prima ora e mezza è gradevole, ma diventa ridondante e passivo nella lunghissima seconda parte allorquando la scalata del broker numero uno d’ America diventa tragedia greca, senza offrire validi spunti di riflessione.
Leo è bravo, ma è troppo narcisista, non sa indossare panni altrui come hanno saputo fare De Niro o Bale, non riesce a osare, preferisce andare sul sicuro e se a questo aggiungiamo uno Scorsese troppo attento alle mode (la fotografia del bravissimo Rodrigo Prieto rispecchia il periodo filo-messicano che si vive in California) e distante da quello riflessivo, pur spettacolare, di un tempo. Certo, la sua tecnica è sublime, parliamo di un regista che fin dagli esordi ha una sua impronta ben definita che sbalordisce per quegli effetti freeze frame, il montaggio rapido, le sequenze MOS oltre ai tanti piani sequenza cui ci ha abituati (non presenti, però, in quest’ opera) , ma il passato è…passato.
The wolf of Wall Street è una parabola della crisalide in chiave finanziaria impregnata di una follia fine a se stessa che implode in una continua orgia di sesso e droga che non sfocia mai in una morale o in una redenzione palpabile, con scene di dubbio gusto alternate a sequenze oniriche difficilmente verificabili nel mondo reale.
A mio modesto avviso è stata davvero sprecata una delle occasioni migliori di raccontare al mondo lo squallido dietro le quinte dell’ America borsistica che, invece, ha saputo cogliere alla perfezione quel J. C. Chandor di Margin Call, film riuscitissimo con un cast perfetto.
Di questo film resteranno la qualità visiva e la verve frizzante di un Di Caprio in ogni caso bravo a ricalcare la vita reale di un uomo reale ma eccessivamente romanzata in un racconto che ammicca troppo alla commedia brillante per esser considerato un biopic a tutti gli effetti.
Voto: 6,5
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shingotamai
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giovedì 20 luglio 2017
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50 sfumature di cocaina
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Nel leggere la recensione del sito,sembra che Scorsese abbia girato il miglior film della sua vita.
Eppure a pochi anni dalla sua uscita mi sembra che nessuno ne parli più,d'altronde tranne parolacce continue,uso smodato di cocaina e momenti da Circo Togni,cosa ci sarebbe di così splendido da raccontare?
Ascesa e discesa di un imbroglione in giacca e cravatta che produceva inganni nel luogo delle truffe autorizzate,ovvero Wall Street.
E così per ben centottanta minuti,si consuma la celebrazione della feccia dell'umanità che ti abbraccia e ti pugnala allo stesso momento, in puro stile politico,con il sorriso beffardo di chi vende fumo.
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Nel leggere la recensione del sito,sembra che Scorsese abbia girato il miglior film della sua vita.
Eppure a pochi anni dalla sua uscita mi sembra che nessuno ne parli più,d'altronde tranne parolacce continue,uso smodato di cocaina e momenti da Circo Togni,cosa ci sarebbe di così splendido da raccontare?
Ascesa e discesa di un imbroglione in giacca e cravatta che produceva inganni nel luogo delle truffe autorizzate,ovvero Wall Street.
E così per ben centottanta minuti,si consuma la celebrazione della feccia dell'umanità che ti abbraccia e ti pugnala allo stesso momento, in puro stile politico,con il sorriso beffardo di chi vende fumo.
Di Caprio è bravissimo,sia chiaro,ma contesto una sceneggiatura,chiaramente innaffiata di esagerazione americana,che quasi gratifica il concetto di lestofante.
Quotidianamente rimaniamo Inorriditi da truffe bancarie,assicurative,governative e poi dovremmo forse applaudire questo prodotto che è spettacolo e inganno allo stesso tempo?
Aggiungo che la volgarità,ad un certo punto, sfiora lo snervante.
Capisco i giudizi positivi degli americani ,che non comprendendo il concetto di umiltà ,esaltano qualsiasi impresa dal sapore di magnificenza,anche se truffaldina.
Ma da cittadino europeo attendo il lancio del DVD da ogni finestra del nostro continente.
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pisa93
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domenica 26 gennaio 2014
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il lupo si scorsese
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Jordan Belfort è un broker senza scrupoli, segnato dagli eccessi e dall'avidità, ma con l'arrivo dell'FBI la situazione potrebbe cambiare. Eccessi, droga, soldi e donne bellissime: benvenuti a Wall Street.
Scorsese ci accompagna nel nevrotico e perverso mondo della Borsa, dove ogni eccesso è permesso e niente sembra essere illecito. I soldi sono la chiave di tutto, ma sono anche i perfetti sostituti dei sentimenti. Wall Street è un mondo che facilmente ti "ingoia", ma difficilmente ti restituirà "sano" alla vita che hai sempre vissuto.
Il film è una caduta verso il nero dell'eccesso e della perversione, ma il tutto è raccontato in maniera giocosa e simpatica, risultando una commedia nera che difficilmente non strapperà qualche risata allo spettatore.
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Jordan Belfort è un broker senza scrupoli, segnato dagli eccessi e dall'avidità, ma con l'arrivo dell'FBI la situazione potrebbe cambiare. Eccessi, droga, soldi e donne bellissime: benvenuti a Wall Street.
Scorsese ci accompagna nel nevrotico e perverso mondo della Borsa, dove ogni eccesso è permesso e niente sembra essere illecito. I soldi sono la chiave di tutto, ma sono anche i perfetti sostituti dei sentimenti. Wall Street è un mondo che facilmente ti "ingoia", ma difficilmente ti restituirà "sano" alla vita che hai sempre vissuto.
Il film è una caduta verso il nero dell'eccesso e della perversione, ma il tutto è raccontato in maniera giocosa e simpatica, risultando una commedia nera che difficilmente non strapperà qualche risata allo spettatore. Scene come quella del "telefono da strafatti" sono da antologia e difficilmente verranno dimenticati, ma fanno anche riflettere su quanto l'asticella della depravazione umana si sia spinta in là. Neanche film come "Paura e delirio a Las Vegas" avrebbero osato tanto, ma Scorsese non ha paura di sferzare lo spettatore con la sua immanente realtà, confermando ancora una volta la passione per i personaggi dannati.
Jordan Belfort è impersonato da un Leonardo Di Caprio immenso. Sempre in scena ed onnipresente, cattura lo spettatore con monologhi da antologia e riesce quasi a convincere sulla bontà di ciò che sta facendo. La sua interpretazione è talmente strabordante che talvolta annulla la finzione cinematografica, ignorando il contesto e parlando direttamente allo spettatore attraverso la telecamera. Forse i tempi sono finalmente maturi per un Oscar e questo nuovo Gordon Gekko potrebbe valere più di quanto lasci intendere.
In conclusione, Scorsese ha confezionato un film potente che non ha paura di estenuare lo spettatore con le sue tre ore di palpitazioni e monologhi infervorati. Il tutto è, però, rappresentato in maniera troppo buonista. Il regista sembra essere una mamma che rimprovera amorevolmente il suo bambino per una marachella, senza condannarlo veramente.
Il finale è un loop rappresentante un nuovo inizio e non una consapevolezza del male perpetrato. Nonostante ciò, Scorsese non delude e sale in cattedra ancora una volta per insegnare il grande cinema.
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catcarlo
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martedì 28 gennaio 2014
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the wolf of wall street
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Per raccontare la vita sciagurata di Jordan Belfort, Scorsese recupera la struttura di uno dei suoi film migliori in assoluto, ‘Quei bravi ragazzi’. In entrambi i casi, alla base c’è la (auto)biografia del protagonista che racconta la propria parabola esistenziale senza risparmiarsi le peggiori abiezioni, ma lasciando una vaga sensazione di nostalgia per i giorni di gloria a dar l'impressione che il pentimento non sia proprio completo: la sceneggiatura (qui firmata da Terence Winter) la trasforma in un racconto in prima persona, con la voce sopra del protagonista che, d'ogni tanto, si rivolge direttamente allo spettatore guardando in macchina mentre attorno a lui la sua storia procede a ritmo adrenalinico, quell'adrenalina che – grazie ad abbondanti aiuti chimici – sostiene gli insaziabili personaggi che la popolano.
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Per raccontare la vita sciagurata di Jordan Belfort, Scorsese recupera la struttura di uno dei suoi film migliori in assoluto, ‘Quei bravi ragazzi’. In entrambi i casi, alla base c’è la (auto)biografia del protagonista che racconta la propria parabola esistenziale senza risparmiarsi le peggiori abiezioni, ma lasciando una vaga sensazione di nostalgia per i giorni di gloria a dar l'impressione che il pentimento non sia proprio completo: la sceneggiatura (qui firmata da Terence Winter) la trasforma in un racconto in prima persona, con la voce sopra del protagonista che, d'ogni tanto, si rivolge direttamente allo spettatore guardando in macchina mentre attorno a lui la sua storia procede a ritmo adrenalinico, quell'adrenalina che – grazie ad abbondanti aiuti chimici – sostiene gli insaziabili personaggi che la popolano. Se Henry Hill aveva sempre voluto essere un gangster, Jordan Belfort ha come unico scopo i soldi a qualsiasi costo per fare la bella vita (non per niente, la sua ispirazione è stato il Gordon Gekko de ‘l'avidità è bella’ in ‘Wall Street’): entrambi verranno fregati, alla fine, dalla sensazione di onnipotenza che un'impunità troppo prolungata procura loro, oltre alla perdita del controllo dovuta ai troppi stupefacenti. Belfort è un ingordo: di sesso, alcool, droga e, ovviamente, del denaro che serve a comprarli. Forte di una grande capacità di venditore con un tappeto sullo stomaco, inizia a piazzare titoli spazzatura a sprovveduti piccoli investitori confidando sulla magnetica attrattiva che i soldi facili hanno su chiunque: quando, dal piccolo gruppo di disperati che ha raccolto, la sua società inizia a diventare una potenza grazie anche a commissioni salatissime, comincia una caccia all'investitore istituzionale e, da una posizione in bilico su ciò che è consentito, ci si inoltra sempre più nei territori dell'illegalità, inevitabile calamita per l'attenzione dei federali che - un po’ per testardaggine, un po’ per fortuna – finiranno per incastrarlo. Varie critiche sono piovute sul film perché non mostra le conseguenze delle azioni del protagonista e della sua società, soprattutto per quanto riguarda la gente che ha distrutto i propri risparmi inseguendo i sogni di ricchezza promessi da un pugno di truffatori senza scrupoli: sarebbe però stato uscire dal seminato del racconto, tanto più che, dalle loro azioni, si capisce benissimo che genere di persone fossero Jordan e compagnia (se non bastasse la brutale spiegazione su come funziona il brokeraggio affidata al trasformista McConaughey poco dopo l'inizio). Il giudizio su di loro è difatti spietato, un gruppo di persone moralmente abiette, pronte a bruciare le montagne di soldi malamente fatti in orge propulse da quantità industriali di droghe: i rapporti sessuali, anche di gruppo, e gli intossicamenti vari si sprecano – compreso un corso in Quaalude per chi si fosse perso quello nei romanzi di Ellroy – e non stupisce allora che il film abbia una produzione indipendente, lontana dagli studios. Di questa bella gente, Belfort è il leader assoluto, un avido e spietato bastardo dentro che distorce il mito, molto statunitense, dell'uomo che si è fatto da sé, ma che è una sorta di dio per chi lavora per lui e ne condivide gli ‘ideali’. Interessato solo a se stesso, non si limita a fregare gli sconosciuti clienti, ma chiunque gli stia intorno se solo c'è da guadagnarci in qualche modo: ovviamente fedifrago nei confronti delle due mogli (anche se la seconda ha le mirabili fattezze di Margit Robbie) e, infine, disposto a tradire i suoi soci per scampare una pena ben più dura dei tre anni che gli vengono comminati. Nei suoi panni, DiCaprio – che è stato il motore del progetto – è semplicemente perfetto, dando un'ulteriore testimonianza di una maturazione attoriale ormai compiuta: non da meno è il resto dello smisurato cast, nel quale non si può non sottolineare la bravura di Jonah Hill nei rotondi, esagitati panni del sodale di sempre Donnie. Scorsese racconta le loro avventure puntando sul registro dell'ironia acida piuttosto che su quello del dramma, tenendo alto il ritmo grazie alla serrata scrittura di Winter (sulla quale gli attori sono stati spesso liberi di improvvisare) e a scelte visive che sanno colpire per la loro efficacia, a partire dalla decisione di utilizzare un montaggio irregolare e lenti anamorfiche (la fotografia è di Rodrigo Prieto) quando i personaggi, e in particolare Jordan, sono strafatti. Ne escono così numerose scene da ricordare, ad esempio quando Belfort incontra per la prima volta l'agente Denham (Kyle Chandler) a bordo del proprio yacht oppure tutto il lungo episodio dello sballo da Quaalude. Quest'ultimo dà anche lustro a una terza ora complessivamente più debole e faticosa delle due, al limite della perfezione, che la hanno preceduta: una perdita di ritmo che abbassa di qualche decimale il giudizio complessivo anche per colpa della sconcertante banalità dell'episodio ‘italiano’ (che conferma lo sguardo provinciale sull'Europa al quale non si sottrae neppure la Svizzera, con il banchiere al limite della caricatura di Jean Dujardin). Così ‘Gloria’ finisce nella bella colonna sonora curata da Robbie Robertson con, per il resto, ben altro gusto: nella prima parte è soprattutto il blues elettrico a prevalere, poi ci si sposta di più verso il pop per finire con l'indovinata (e solo all'apparenza stravagante) scelta di utilizzare la versione di ‘Mrs. Robinson’ dei Lemonheads per accompagnare l'irruzione dei federali nella società di Belfort: l'uso delle musiche (e delle canzoni in special modo) risulta essere, peraltro, un altro punto di contatto con ‘Quei bravi ragazzi’.
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(di hollyver07)
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