Se scrivessi la recensione di “The Wolf of Wall Street” usando solo le parole “soldi, droga, sesso, soldi, droga, sesso, soldi, droga, sesso, soldi, droga, sesso, soldi, droga, sesso...” pensereste di certo due cose di me: “Originale!” “Però ripetitivo”. Ebbene, questo è esattamente quello che ho pensato di Scorsese dopo aver finito di vedere le lunghe, seppur molto ritmate, 3 ore di pellicola.
Perché un regista dallo stile unico, un mattatore eccezionale come Di Caprio, un gruppo di comprimari di alto livello e una sceneggiatura ricca e stravagante non bastano a realizzare un gran film, quel capolavoro che tutti auspicavano date quantità e qualità degli ingredienti in gioco.
Per fare un buon film (Martin dovrebbe saperlo bene) serve una narrazione fluida e originale, non basta riesumare lo stile di “Quei bravi ragazzi”, non basta mettere Ray Liotta nei panni del “re del mondo” Leo, teletrasportandolo dal mondo della criminalità a quello dell'alta finanza, che sempre criminalità è.
Per fare un buon film serve misura, equilibrio; l'eccesso, l'orgia, l'esaltazione, moltiplicati, esasperati, prolungati, dopo un po' stufano, dopo un po' non stupiscono più.
Per fare un capolavoro serve una storia nuova: la parabola ascendente/discendente del ragazzo venuto dal nulla che diventa ricco, osa, sperpera, insulta, sbaglia, cade, tradisce, paga (e non paga), l'abbiamo già vista con nomi e in modi diversi; qui si è cercato di condirla con l'esagerazione, con il grottesco, col demenziale e con un pizzico di dramma; ma seppur profumata e per molti aspetti gustosa, è rimasta complessivamente indigesta.
Ovviamente non mancano scene esilaranti, momenti di grande spettacolo (fra cui la strepitosa interpretazione di Matthew McConaughey) e qualche frecciatina dritta all'anima dell'America capitalista e a senso unico.
Non c'è però un messaggio, un'emozione, un'affezione ai personaggi; e tre ore sono lunghe da passare all'ombra fredda dell'indifferenza, al ritmo di psichedeliche ballate anni ottanta, che accompagnano 567 variazioni della parola “fuck”. E nulla più.
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hollyver07
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venerdì 31 gennaio 2014
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hai mai parlato con degli americani...?
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Ciao cicciogia, perdona l'intrusione. Non entro nello specifico merito della tua recensione per commentarla, volevo solo farti notare che, anche a dispetto della loro notevole cultura letteraria, l'uso delle 567 variazioni della parola fuck è una pratica consolidata in qualsiasi ambiente yankee e visto il contesto, personaggi e situazioni del film non è così sorprendente l'eccesso nel turpiloquio. Consideralo più o meno un ossessivo intercalare, non necessariamente legato ai soli contesti "ghetto", o se preferisci... una salsa barbecue linguistica che viene spalmata in praticamente tutti i dialoghi del loro quotidiano vivere. Nota: non è che noi italiani ci distinguiamo nel parlato di certi films nostrani.
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Ciao cicciogia, perdona l'intrusione. Non entro nello specifico merito della tua recensione per commentarla, volevo solo farti notare che, anche a dispetto della loro notevole cultura letteraria, l'uso delle 567 variazioni della parola fuck è una pratica consolidata in qualsiasi ambiente yankee e visto il contesto, personaggi e situazioni del film non è così sorprendente l'eccesso nel turpiloquio. Consideralo più o meno un ossessivo intercalare, non necessariamente legato ai soli contesti "ghetto", o se preferisci... una salsa barbecue linguistica che viene spalmata in praticamente tutti i dialoghi del loro quotidiano vivere. Nota: non è che noi italiani ci distinguiamo nel parlato di certi films nostrani... ne tantomeno nei comuni dialoghi. Scusa per il tedio e saluti a te
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bird52
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mercoledì 12 febbraio 2014
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mah!
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Condirla con l'esagerazione? Ma se è tutto perfettamente vero. E' il provincialismo italico, condito con lo snobismo semi-intellettualistico che ci fa vedere tutto con i distinguo, i se ed i ma. Ma gli USA non sono l'italietta ed è tutto forzatamente esagerato, altrimenti noi saremo gli USA e gli USA l'Italia. La persona Belfort come descritta nel film è reale e come, basta andare a farsi una ricerchina sulla rete. La sua società alzava un miliardo di dollari di fatturato, mica bruscolini, nel 1998. Il giro di droga e sesso in quell'ambiente è risaputo. Anche un film molto più onirico e metaforico sul mondo della finanza come quello di Cronenberg tratto dal romanzo di DeLillo ne disegna questi aspetti che sono perfettamente reali, altro che esagerazione.
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Condirla con l'esagerazione? Ma se è tutto perfettamente vero. E' il provincialismo italico, condito con lo snobismo semi-intellettualistico che ci fa vedere tutto con i distinguo, i se ed i ma. Ma gli USA non sono l'italietta ed è tutto forzatamente esagerato, altrimenti noi saremo gli USA e gli USA l'Italia. La persona Belfort come descritta nel film è reale e come, basta andare a farsi una ricerchina sulla rete. La sua società alzava un miliardo di dollari di fatturato, mica bruscolini, nel 1998. Il giro di droga e sesso in quell'ambiente è risaputo. Anche un film molto più onirico e metaforico sul mondo della finanza come quello di Cronenberg tratto dal romanzo di DeLillo ne disegna questi aspetti che sono perfettamente reali, altro che esagerazione. Però l'italietta sarà l'italietta ma quando fa le truffe le fa alla grande, meglio degli USA. In fondo questo tizio ha fregato alla gente solo 100 milioni di dollari (80 milioni di euro circa). E' vero che era quasi 15 anni fa ma nulla in confronto ai 600 milioni di euro della fregatura Deiulemar per non parlare della mitica Parmalat...
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adèledali.
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martedì 25 aprile 2017
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per fortuna scorsese di italiano ha solo il cognom
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Ma i tre elementi del film -soldi,sesso e droga-SONO il tema del film.Forse Scorsese,che non ha un "passato psicotrico",attua una critica di questo mondo nel suo film.Purtroppo però potrebbe anche sembrare che ne faccia la celebrazione.È questa comunque la società americana.Purtroppo invasiva anche con i suoi modelli cinematografici.Giudizio negativo.
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